“Per molti di noi surfare fu una scelta politica, magari non del tutto consapevole. Fu anche una scelta egoista perché fare surf significa non pensare a altro, praticare un’attività improduttiva. Io amo il lato barbaro della vita, non ho mai amato l’Impero: nel libro ho cercato di riportare la tensione interiore tra il rifiuto della società e delle responsabilità e la volontà di dare comunque un contributo”.
Ha sempre vissuto in questo modo William Finnegan: negli anni ’60, quando prese a girare il mondo in cerca di onde sempre più alte e sfidanti, oggi che è un notista politico apprezzato in tutta America per i suoi libri e gli articoli sul New Yorker.
Nato nel 1952 a New York, cresciuto tra Los Angeles e le Hawaii, ha vinto il premio Pulitzer nella categoria Autobiografie per il suo Barbarian days: a surfing life, da pochi giorni pubblicato in Italia da 66th&2nd con il titolo Giorni selvaggi.
Il volume riavvolge il nastro e racconta la sua adolescenza da globetrotter della tavola da surf: “giorni fondamentali, che mi sono stati fortemente d’aiuto nella ricerca del mio vero io”.
Negli scorsi giorni William Finnegan era a Milano per presentare il suo libro. Questa la chiacchierata che abbiamo registrato con lui: