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“Who Let the Dogs Out” – Il mondo in fiamme delle Lambrini Girls

Lambrini Girls
“Il mondo è letteralmente in fiamme, la società si sta sgretolando per mano del capitalismo all’ultimo stadio.” La fotografia del momento che stiamo vivendo arriva così nelle parole di Phoebe Lunny, voce e chitarra delle Lambrini Girls, gruppo punk che condivide con Lilly Macieira. Da sempre molto esposte e schierate in ambito civile e politico, il loro primo disco ufficiale, Who Let the Dogs Out, arrivato a due anni di distanza dall’EP di debutto You’re Welcome, mette subito le cose in chiaro. E lo fa anche da un punto di vista stilistico e sonoro. Perennemente in movimento, quasi in maniera frenetica, il lavoro attraversa tematiche quali molestie, brutalità della polizia, maschilismo, ma anche anoressia e neurodivergenza. Ed è proprio dal disco che parte la lunga intervista ospitata a Jack, a cura di Matteo Villaci e Piergiorgio Pardo.

Intorno a Who Let The Dogs Out, vostro primo disco ufficiale, si è creata molta attesa. Ora è fuori. Ci raccontate da dove è iniziato il suo percorso?

Beh, abbiamo iniziato lo scorso febbraio. Abbiamo dovuto inserire nel nostro calendario una settimana di pausa dal tour per dedicarci alla scrittura intensiva. La prima settimana non abbiamo fatto molto. Avevamo una specie di base per circa quattro canzoni, ma nessuna di esse sembrava davvero giusta o sviluppata. Così abbiamo dovuto mettere in agenda un’altra settimana e abbiamo dovuto rifiutare concerti e altre cose solo per tenere libera quella settimana, perché eravamo anche impegnate con il tour. Questa seconda settimana è stata in aprile, abbiamo prenotato lo studio per registrare alla fine di aprile. E ci siamo dette:”cazzo, dovremmo registrare un album in meno di tre settimane e non abbiamo nessuna canzone!” Quindi sì, direi che la maggior parte della scrittura dell’album è stata creata nella settimana di inizio aprile. Avevamo prenotato una sala prove in una fattoria qui in Inghilterra, tipo in mezzo alla campagna, e ci siamo chiuse lì, lontane da tutto, per una settimana e abbiamo spaccato il più possibile. E sì, abbiamo finito tutte le canzoni, a parte Cantology, che in realtà abbiamo scritto in studio il giorno del compleanno di Phoebe, il che è molto appropriato.

Nel disco i testi arrivano in maniera molto forte, anche grazie alla vostra attitudine. È come se comunicaste una grossa urgenza in quello che volete dire. Quanto è importante questo per voi in un momento storico così particolare in cui, anche politicamente, tutto nel mondo è così complicato?

Phoebe: Sì, credo che l’album sia una sorta di accumulo di molte osservazioni che abbiamo fatto. Il mondo è letteralmente in fiamme, la società si sta sgretolando per mano del capitalismo all’ultimo stadio. Sarebbe stato impossibile scrivere di qualsiasi altra cosa per il modo in cui l’album è stato realizzato. Non è stato un caso in cui ci siamo dette “vogliamo scrivere un album su questo”. È successo che è andata così. E credo che non avrebbe potuto essere diverso. Credo che ci siano anche molte cose che non abbiamo toccato nell’album. Ma il fatto è che dipende da ciò che arriva nel momento, non ci si prefigge mai di scrivere di questo, e poi di questo, e poi di questo. È solo che, letteralmente, scrivi di ciò che traspare in maniera naturale in quel momento. E credo che, a causa dello stato delle cose nel mondo, sia per questo che l’album è uscito così, non è un caso. È naturalmente una sorta di album di protesta, ma non era intenzionale. È solo che è come se quello che abbiamo intorno a noi fosse una specie di carburante. E questo rende impossibile scrivere di qualcos’altro.

Lilly: Credo che sia anche dovuto al fatto che, come ho avuto modo di notare, Phoebe è naturalmente una scrittrice molto politica. Da quello che ho visto, credo che questo sia il suo modo di esprimersi. Ed è uno sfogo per le nostre frustrazioni e cose del genere. Penso che, guardando Phoebe al lavoro, sembri sempre estremamente naturale. Quindi, sì, credo che sia un processo molto organico quello di scrivere di queste cose che preoccupano le masse, e quindi anche lei.

Sembra che questo processo sia naturale, ma anche molto diretto e profondo in ogni argomento che decidete di trattare. Per esempio, mi stupisce la forza dei testi, in cui si parla anche di neurodivergenza.

Phoebe: Grazie. Sì, credo che sia stato qualcosa di cui ho sempre voluto scrivere, così come volevo che fosse una canzone in cui le persone neurodiverse potessero rivedersi. Perché credo che si parli poco di questo per quanto riguarda, ad esempio, la musica, anche se la maggior parte delle persone nell’industria musicale sono neurodiverse e sono davvero in difficoltà. Ma non ci sono molte canzoni che parlino di neurodiversità in modo esplicito, particolarmente azzeccato. Quindi è stato qualcosa di cui credo fosse importante scrivere, in modo che ci fosse qualcosa in cui le persone potessero rivedersi. Ma è stata anche catartica per me. È stata scritta in modo che fosse palesemente molto evidente il tema della canzone e non fosse lasciata all’interpretazione, perché volevo che fosse davvero un riferimento.

Lilly: È una delle mie canzoni preferite, anche dal punto di vista del testo. E dall’esterno sembra così autentica. Credo di trovarla una delle canzoni più commoventi e toccanti proprio perché riesco a sentire il tipo di dolore nel testo di ciò che è l’esperienza della neurodiversità, anche se il testo parla di un certo tipo di neurodiversità. Per esempio, i versi dicono tipo:”Non dirmi di sedermi, non dirmi di stare fermo”. Io sono neurodiversa, ma non ho mai avuto questo problema. Mi hanno sempre detto di essere più forte e di mettermi in gioco, anche se io non sono così. Ma comunque, a prescindere da questi scenari più specifici, il sentimento della canzone è speciale, diverso. Perché quando ti fanno notare certe cose, non lo fanno mai con gentilezza. Penso che sia un testo così viscerale, che non importa di quale tipo di neurodiversità si faccia parte. Penso che questo esatto sentimento si rivolga a tutti, e credo che sia ciò che rende questa canzone davvero, davvero potente.

Come dite voi, questa canzone parla a tutti. Percepite la giusta attenzione da parte dei giovani che ascoltano la vostra musica? Pensate che alla gente arrivi il significato e la forza profonda delle canzoni?

Phoebe: Penso di sì, ma non saprei dirti. Una volta che fai uscire la tua musica, il modo in cui la gente la percepisce è una loro prerogativa. Credo che “non so” sia la risposta corretta.

Lilly: Credo che al momento non abbiamo avuto molte interazioni con i fan con questo album, non abbiamo suonato dal vivo, è uscito solo da 10 giorni. Ma penso che in generale i testi siano molto comprensibili. Mi piacerebbe sapere come la gente lo recepisce. Ma credo che questo verrà col tempo. Siamo una live band, principalmente, è quello che facciamo di più. Ed è il modo in cui entriamo più in contatto con il nostro pubblico. Quindi, credo che sia troppo presto per dirlo o per giudicare, non abbiamo ancora avuto molte interazioni faccia a faccia con le persone che ascoltano l’album. Ma sono sicura che una volta che saremo in tour e inizieremo a suonarlo dal vivo ce ne faremo un’idea più precisa.

Da un lato c’è quello che accade nel mondo ma, come dicevate prima, è importante anche parlare di voi stesse. Quando avete iniziato a creare musica? Quali sono stati i vostri riferimenti per quanto riguarda la musica, ma anche i testi?

Phoebe: Credo che musicalmente io e Lily abbiamo influenze diverse che funzionano molto bene insieme, perché si finisce per creare una sorta di fusione di cose diverse. E penso che questo dia varietà. E penso che si possano vedere le espressioni dirette di entrambe all’interno della musica, il che è davvero bello. E non credo che sarebbe altrettanto speciale se non fosse così, non credo che la musica sarebbe altrettanto buona. I miei gruppi preferiti, quelli che hanno influenzato il mio modo di suonare la chitarra sono i Metz, penso che siano fantastici. Adoro i Manequin Pussy e anche Joey Santiago dei Pixies, credo sia uno dei migliori chitarristi di tutti i tempi. Quindi sono una sua grande fan. E poi, dal punto di vista dei testi, mi piacciono molto i poeti. Mi piace Philip Larkin, è il mio poeta preferito. E mi piace molto anche Cooper Clarke. Sorprendentemente, entrambi uomini. Però amo anche Patti Smith.

Lilly: Sì, credo che per me le influenze siano una cosa piuttosto strana, perché ho iniziato a suonare il basso solo durante il lockdown più che altro come hobby. In realtà, lo strumento principale mio e di Phoebe è il pianoforte. Entrambe amiamo molto la musica classica e il resto. Ma ovviamente non riusciamo a incorporare queste influenze nel tipo di musica che facciamo. Per quanto riguarda il basso, durante l’isolamento ho letto il libro di Kim Gordon, Girl in a Band. Prima in qualche modo mi sentivo inibita nel fare musica. Sono anche una cantante, e non sapevo proprio come approcciare la cosa. Ho studiato all’università, quindi venivo da un luogo molto precisino, perfezionista. Leggendo il libro di Kim Gordon, lei descrive il modo molto informale e libero in cui è arrivata a suonare il basso, senza avere quel senso di perfezione per cui si sentiva come se dovesse imparare tutto secondo le regole e avere un approccio molto calcolato o disciplinato, il che è assolutamente incredibile. Credo che questo mi abbia liberato un po’ e che mi abbia permesso di prendere in mano uno strumento e di divertirmi con esso. E anche accettare il fatto che all’inizio potevo essere un po’ una merda, ma continuare a suonare. Credo che questo sia un problema di molte donne nella musica: la sindrome dell’impostore e la paura di non essere prese sul serio. Quindi devi sapere tutto in modo impeccabile. Credo che sia un concetto davvero difficile da superare, soprattutto per le giovani musiciste. L’aver frequentato i Sonic Youth e Kim Gordon è stato sicuramente determinante nel darmi la possibilità di essere creativa, di divertirmi con le cose e di avvicinarmi a uno strumento da una prospettiva non tradizionale. Puoi sentirlo anche nel mio modo di suonare. Ad esempio, uso gli effetti come parti. Suono con i suoni e con i toni piuttosto che con le note. Anche i Gilla band sono una grande influenza in questo senso, perché usano i loro strumenti in modo molto poco tradizionale. Mi affascina molto il modo in cui addomesticano il rumore in qualcosa di musicale e ballabile.

Ho letto nelle vostre interviste che non vi piace essere definite come una Riot Grrrl Band. C’è una ragione particolare per cui non siete d’accordo con questo tipo di definizione? La trovate stereotipata?

Lilly: Credo che il punto fondamentale sia perché non suoniamo come nessun gruppo Riot Grrrl. La nostra musica non assomiglia alla musica delle Riot Grrrl. Quindi non c’è motivo per cui dovremmo essere etichettate come una Riot Grrrl Band, perché non suoniamo affatto così, essenzialmente.

Phoebe: Nessuno ha mai chiamato Amyl and the Sniffers una Riot Grrrl Band. Non credo che siano mai stati chiamati Riot Grrrl. Sono stati definiti un gruppo punk perché non sono Riot Grrrl. Ad esempio, cantano canzoni sul patriarcato, come Knifey, che è un ottimo esempio di una canzone di questo tipo, dove sono diretti sostenitori delle questioni femminili. La visibilità che suscitano è davvero importante. Ma credo che sia perché siamo entrambe donne, l’intera band per quanto riguarda le Lambrini Girls è composta da sole donne. Se avessimo, ad esempio, non so, un fottuto percussionista maschio, la gente non ci chiamerebbe Riot Girl. È perché siamo donne. Adoro le Bikini Kill, non fraintendetemi, sono cresciuta ascoltandole e ho preso molte influenze dal modo in cui usano la loro critica sociale. Ma noi non suoniamo come loro. È perché siamo donne che cantano di questioni femminili. E questo è sufficiente per essere etichettate come Riot Grrrl. Ma noi siamo un gruppo punk politico e basta. Non siamo Riot Grrrl, perché non suoniamo come loro.

Come dicevate, la parte live è una parte fondamentale, che contribuisce a definire la vostra identità. Come la vivete voi? Sia da un punto di vista del contatto con il pubblico che come esperienza in sé, che immagino possa essere anche liberatoria…

Phoebe:
Penso che una parte importante del suonare dal vivo sia la connessione con il pubblico. È una cosa che personalmente trovo molto appagante, perché si tratta di creare uno spazio sicuro e una comunità dove tutti possono incazzarsi insieme. E non è solo, tipo, tu sul palco che ti esibisci per un gruppo di persone. Tu e il pubblico siete tutti insieme in questa esperienza. E trovo che sia davvero essenziale condividere e trovare quella connessione. Anche se stai suonando per un gruppo di sconosciuti, stai vivendo un’esperienza condivisa in un unico momento. E penso che anche quando sei sul retro di un furgone per un mese di fila, momenti come questo possono darti molto carburante. Per il fatto di alimentare la folla e aiutare a mobilitarsi, credo di trovare molto appagante e rivitalizzante continuare a spingere. Credo che la creazione di spazi del genere sia una parte importante. È molto importante essere coinvolti in spazi sicuri e coltivare spazi sicuri e assicurarsi che le persone sentano che c’è un posto dove possono essere autentici e divertirsi, considerando che il mondo è orribile.

Lilly:
Il solo fatto di suonare musica a tutto volume è di per sé molto catartico. Il tour è duro. Spesso ci capita di viaggiare e di infilarci in un locale e io sono esausta, ansiosa, infelice. Poi, non appena ci sistemiamo, tipo durante il sound check, penso: “Oh, ok, no, ora sto meglio. Sto facendo qualcosa che mi piace fare, qualcosa in cui mi sento sicura e in cui ho fiducia”. In termini di connessione con il pubblico, non ho la stessa esperienza di Phoebe, perché faccio davvero fatica a entrare in contatto con la gente. Mi ci vuole molto tempo per sentirmi a mio agio. Quando ti trovi davanti a centinaia di persone ogni sera, non è una cosa che mi viene affatto facile. Gli estranei mi fanno molta paura. Ma senti comunque, a prescindere, l’energia nella stanza, e il fatto di essere completamente circondati da un rumore che distrugge le ossa è incredibilmente catartico.

In Cantology 101 fate uso di synth e tastiere. È forse una nuova direzione del vostro sound?

Lilly:
Sarebbe divertente. Io e Phoebe ascoltiamo molta musica pop e ci piace la musica pop, amiamo l’hyperpop. E sapevamo di voler fare una canzone atipica per le Lambrini Girls, un pezzo molto pop. E come ho detto, Cantology 101 è una canzone che abbiamo scritto in studio. Abbiamo usato i sintetizzatori Moog Model D che erano lì. Quindi non sono i nostri soliti strumenti. Se dovessimo scrivere altre canzoni pop, sarebbe di nuovo in studio, credo. Penso che sia molto divertente e ci ha dato la possibilità di giocare con diverse strumentazioni e con un approccio diverso. È stata una bella sensazione provare qualcosa di nuovo. Forse un giorno diventeremo un gruppo pop a tutti gli effetti e pubblicheremo la nostra versione di Brat. Chi lo sa? Probabilmente no. Invece che una Brat Summer, sarà una Rat Summer, l’estate dei ratti.

  • Autore articolo
    Matteo Villaci
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