Il risultato che nessuno aveva previsto, il sostanziale testa a testa tra Daniel Scioli e Mauricio Macri che ha determinato il ricorso al secondo turno, è ricco di indicazioni sul passaggio politico che sta vivendo l’Argentina.
La principale “vittima” della mancata vittoria del candidato peronista Scioli è la presidente Cristina Fernandez Kirchner, ormai a pochi giorni dalla fine del suo secondo mandato. Il peronismo rivisitato da Nestor Kirchner e poi da sua moglie aveva guidato il paese sudamericano fuori dalle secche del default del 2001, ottenendo nei primi anni sorprendenti risultati in economia, con una crescita sostenuta e il riposizionamento dello Stato al centro della società dopo gli anni del neoliberismo fallimentare.
Redistribuzione del reddito, intervento a sostegno dei più poveri, concessione di diritti sociali e individuali, nazionalizzazione di compagnie in precedenza privatizzate sono stati i capisaldi dei Kirchner dopo la frattura economica e sociale del 2001. La macchina del consenso si è però inceppata negli ultimi due anni – e cioè da quando si sono riaffacciati i problema endemici del paese: inflazione sopra il 30% annuo, restrizione del mercato dei cambi con il ritorno del mercato nero del dollaro, indebitamento dello Stato e sostegno ai poveri diventato assistenzialismo spicciolo.
Il kirchnerismo, che ha dominato per oltre un decennio con una sua visione di società e di Paese, è diventato a un certo punto soltanto mediocre amministratore dello status quo. L’inizio della sconfitta si era determinato anche con l’uscita dal governo di Sergio Massa, ex capo gabinetto della Kirchner fino alla rottura e alla corsa solitaria che lo ha premiato con un consistente 21% dei consensi.
La sconfitta del kirchnerismo brucia di più per la perdita, clamorosa, della provincia di Buenos Aires – dove vive un terzo dell’elettorato argentino. Qui Anibal Fernandez, chiacchierato capo gabinetto del governo nazionale, è stato distanziato di 5 punti per la corsa a a governatore da Maria Eugenia Vidal, vice-capo di Governo della Ritta’ di Buenos Aires, bastione di quel Mauricio Macri che ora contenderà la Casa Rosada a Scioli.
E’ cosi’ il peronismo, che insieme avrebbe quasi il 60 per cento dei consenso, rischia di perdere la corsa. La logica direbbe che al secondo turno del 22 novembre dovrebbe vincere Daniel Scioli, ma ora si apre una nuova campagna elettorale dagli esiti imprevedibili. Questo soprattutto perché i due candidati che si misureranno hanno molto in comune: rampolli di famiglie ricche di origini italiane, cultura liberale, simpatia o collaborazione diretta con il campione neoliberale degli anni ’90, Carlos Menem, esperienza nel governo locale, passione sportiva. Scioli è stato campione mondiale di motonautica e Mauricio Macri presidente del Boca Juniors, la principale squadra di calcio argentina.
Macri, liberale, e Scioli, peronista conservatore, dovranno ora invertire i ruoli per pescare nell’elettorato che ha votato Massa e il centrosinistra di matrice socialista uscito fortemente ridimensionato. Macri dovrà impegnarsi per dimostrare che governerà in modo trasparente e democratico rispetto agli interessi che rappresenta, rassicurando l’elettorato peronista sull’intangibilità del generoso e costoso Welfare.
Dovrà in sostanza spostarsi a sinistra. Scioli dovrà invece prendere le distanze maggiormente da Cristina Kirchner, dandosi un profilo maggiormente moderato che possa attirare gli indecisi. Anche se il vento soffia in poppa per Macri, il risultato del ballottaggio di novembre è al momento assolutamente aperto e si deciderà negli ultimi giorni di questo supplemento di campagna.
Chiunque vinca, il dato certo è che il kirchnerismo è stato consegnato alla storia e che per l’Argentina si apre l’ennesima transizione. I rischi di ritorno agli anni ’90 esiste, ma d’altra parte l’autarchia kirchnerista che ha prodotto il blocco dell’arrivo di capitali e la distorsione del mercato locale per la maldestra gestione economica degli ultimi due anni non poteva reggere ancora a lungo.
Visti da fuori, i due candidati sono molto simili, ma il dato di fatto è che l’egemonia cultural-politica del kirchnerismo non scomparirà’ velocemente. Il peronismo, che rimane un rebus avvolto in un enigma, è vivo e vegeto, pronto a una nuova mutazione.