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“Vittime della chiusura della frontiera UE”

Erano le prime ore del 3 ottobre di cinque anni fa, il 2013, quando le imbarcazioni civili e i pescherecci al largo di Lampedusa hanno visto i primi naufraghi dirigersi verso la piccola isola italiana e hanno iniziato a notare i primi corpi, le prime vittime di quella che da lì a poco si sarebbe rivelata una delle più grandi tragedie del Mediterraneo.

368 morti accertati e solo 155 superstiti riusciti a mettersi in salvo grazie anche alla collaborazione delle piccole imbarcazioni locali e della Guardia Costiera, giunta sul luogo della tragedia circa un’ora dopo il naufragio.

Oggi, a cinque anni da quella tragedia, l’isola di Lampedusa ricorda quei momenti che hanno aperto gli occhi dell’Unione Europea e del Mondo intero su quanto stava accadendo da tempo nel Mar Mediterraneo.

Ne abbiamo parlato con l’ex sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini.

Si fa molta fatica a rivivere quei momenti terribili in cui ci siamo resi conto che la tragedia aveva dimensioni enormi. Poi il susseguirsi dei naufragi ci ha dimostrato che quello non fu più il più grande naufragio del Mediterraneo, poi ci fu quello dell’aprile 2015.

Quel giorno è come se fosse stato il momento in cui tutti ci siamo resi conto che era possibile che centinaia di persone a negassero a 200 metri dall’Italia.

Sì, perchè il mare aveva coperto quelle morti che erano rimaste sommerse. Aveva sommerso i nomi, le facce, le età, le ragioni, le storie.
Tutto era sommerso fino a quel momento, perché la rotta dalla Libia verso l’Europa passando per Lampedusa è una delle più pericolose. È la più lunga e la più difficile perché le profondità sono enormi. Invece quel naufragio, avvenuto a pochissimi metri dalle coste di Lampedusa, ha restituito i corpi e per fortuna ha restituito anche superstiti. Vedere quei corpi messi in fila dentro le bare era la prima volta. Era la prima volta che una tragedia prendeva corpo in questo modo e assumeva sostanza. Il mondo intero si rese conto di quello che avveniva nel Mediterraneo e di quello che alcuni mesi prima Papa Francesco era venuto a denunciare proprio da Lampedusa.
L’8 luglio 2013 Francesco si rivelò un profeta, perché poi il 3 ottobre il mare ci restituì quei corpi.

Questa mattina a Lampedusa c’è stato un piccolo corteo con un po’ di associazione, un po’ di migranti e qualche studente. Hanno fatto una marcia verso la porta dell’Europa, la scultura che è diventata simbolo di Lampedusa e dei migranti in mare. Che giornata è stata oggi a Lampedusa?

Il 3 ottobre è diventato la Giornata nazionale della memoria per le vittime della chiusura della frontiera europea, io non le chiamo vittime del mare, e ogni anno il Ministero della Pubblica Istruzione aveva inserito nei piani e nei programmi educativi la commemorazione di questa giornata. Quest’anno invece no, quindi non sono stati stanziati fondi e le scuole non sono state incentivate. Lampedusa è lontana, costa raggiungere Lampedusa e quindi a differenza degli altri anni non sono arrivati gli studenti che in passato arrivavano da tutta Italia e da ogni parte d’Europa.
Questa giornata avrebbe dovuto essere così e mi auguro che un giorno tornerà ad essere il luogo dove i giovani vengono a vedere l’assurdità delle politiche europee sull’immigrazione, perché da Lampedusa si ha una prospettiva completamente diversa. Un giovane che arriva qui dalla Germania o dalla Francia si rende conto delle dimensioni minuscole di questa isola e non solo comprende l’eroismo di Lampedusa, che per decenni era stata lasciata abbandonata a se stessa, ma comprende anche le dimensioni della tragedia e incontra i superstiti, ragiona sulle soluzioni e su quello che bisognerebbe fare. Questo apre gli occhi apre e apre il cuore e in questo momento ci sarebbe tanto bisogno di questo.

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RIASCOLTA L’INTERVISTA

intervista Giusi Nicolini

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    Alessandro Principe
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    Riarmiamoci e partiamo. La spesa militare ha la priorità in Europa. Ursula von der Leyen sostiene che questa “è un’era di riarmo” e mette sul piatto 800 miliardi di euro. Il futuro governo tedesco di Friederich Merz si è detto disposto ad allentare l’austerità per finanziare l'aumento della spesa militare in Germania. Una situazione in completo movimento che parte dalla decisione degli Stati Uniti di Trump di far saltare il banco della difesa europea, dicendo no al modello di finanziamento della spesa militare in Europa a prevalente capitale pubblico americano. E così la difesa europea, anziché essere un pilastro istituzionale di una futura Europa politica, si trasforma in un sinonimo di “corsa agli armamenti”, una corsa per soddisfare gli appetiti dell’industria bellica. Mentre la “difesa europea” dovrebbe essere sinonimo di “sovranità europea sulla spesa militare”, un recupero di sovranità dell’Europa nel campo della difesa dopo decenni di dominio degli Stati Uniti. Pubblica ha ospitato Francesco Lenzi, economista, e Stefano Zamagni, economista, ex presidente dell'agenzia per il terzo settore, fino a due anni fa è stato presidente della Pontificia accademia delle scienza sociali.

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