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Vicine al risarcimento le “donne di conforto”

Manca la ratifica dei due parlamenti e manca – non da poco – l’approvazione delle protagoniste su cui il governo di Seul sta premendo – ma l’accordo che il ministro degli Esteri sudcoreano ha definito “finale e irreversibile” dovrebbe realizzarsi entro poco.

I governi di Tokyo e Seul hanno raggiunto il 27 dicembre un compromesso che dovrebbe mettere fine a un contenzioso non solo lungo ma particolarmente doloroso tra i due Paesi. Al centro le “donne di conforto”, sudcoreane in maggioranza, utilizzate come schiave sessuali dalle truppe imperiali durante le loro campagne militari.

Tra 50.000 e 200.000 secondo le fonti, in maggioranza coreane ma anche filippine, indonesiane, cinesi e europee catturate nelle colonie in Asia le cui vicende non solo costituiscono una testimonianza drammatica della brutalità della guerra in Estremo Oriente, ma che hanno pesato e continuano a pesare sull’onore e sulle responsabilità del Giappone post-bellico.

Non a caso il ministro Yun Byung ha indicato, alla fine dei colloqui con la controparte giapponese Fumio Kishida, che l’attestazione di “profonda responsabilità” nipponica dovrà essere seguita da atti che la concretizzino. Tra questi, un miliardo di yen, (7,6 milioni di euro) sarà destinato a compensare quante sono ancora in vita di quante, tra 50mila e 200mila secondo le fonti e le valutazioni, molte anche giovanissime, finirono nei bordelli allestiti negli acquartieramenti militari su vari fronti di conflitto. Le superstiti sono oggi divise tra un cedimento alle esigenze di buon vicinato e normalizzazione e a quelle della loro memoria e di quella collettiva coreana.

“Il premier Abe ha ancora una volta espresso i suoi sentimenti di sincere scuse e rimorso a tutte coloro che, come ‘donne di conforto’, sperimentarono tali sofferenze e riportarono per questo ferite psicologiche e fisiche incurabili”, ha ribadito Kishida, ammettendo apertamente che “il problema delle donne di conforto è “stato reso possibile dal coinvolgimento delle forze armate giapponesi” e il governo giapponese “sente acutamente la sua responsabilità”.

A conferma che la lunga e dolorosa vicenda potrebbe essere giunta al termine con una telefonata tra il capo di governo giapponese Shinzo Abe e la presidente sudcoreana Park Geun-hye, che già si erano incontrati a novembre nel primo dialogo diretto in oltre tre anni. Al centro proprio la spinosa vicenda delle scuse sincere e dei risarcimenti giapponesi alle sopravvissute.

Una disputa che da un lato ha visto per molti anni Tokyo accettare le proprie responsabilità pur considerando chiusa la vicenda con in compensi di guerra versati a Seul, mentre per i sudcoreani le scuse non erano mai state sincere e apertamente rivolte alle vittime che non hanno avuto sostegno economico ufficiale da Tokyo, ma elargizioni di iniziativa privata.

Un punto, quest’ultimo, diventato centrale ma non tanto sul piano pratico, dato che beneficerebbe un numero limitato di sopravvissuto perlopiù ottuagenarie, ma ideale che va di pari passo con la richiesta di una conferma aperta e sincera, pubblica da parte del governo giapponese della questione e delle responsabilità del paese.

A alzare i toni del contrasto il nazionalismo nipponico, che proprio sotto Abe, ha posto il prestigio delle forze di autodifesa e il loro utilizzo anche in ambio internazionale – oltre che un’ardua revisione costituzionale che metterebbe fine al pacifismo ufficiale dell’ultimo settantennio – al centro di un nuovo ruolo di protagonista in Estremo Oriente. Da tempo Abe ha chiarito che – pur riconoscendo come ha fatto lo scorso agosto nell’anniversario della sconfitta – le responsabilità belliche del paese, è finito il tempo delle scuse ai paesi coinvolti dalle sue guerre d’aggressione e conquiste coloniali. La rimozione è nel Dna della maggior parte dei giapponesi attuali e il revisionismo parte integrale delle iniziative culturali e educative del governo in carica.

A sottolineare comunque il senso dell’accordo appena raggiunto, il fatto che quello delle “donne di conforto” è stato nel dopoguerra uno dei tre nodi che hanno mantenuti aspri i toni tra i due paesi. Nazioni accomunate da crescenti e necessari rapporti commerciali e strategici mediati anche dal comune alleato statunitense, ma in cui un peso di rilievo hanno avuto, appunto, esperienza coloniale, donne di conforto e vertenze territoriali. In prospettiva, l’ultima resta ancora da definire ed è da tempo al centro delle iniziative degli opposti nazionalismi. A focalizzarle, il minuscolo arcipelago delle Tokdo/Takeshima (internazionalmente Liancourt) abitato solo da una guarnigione di poliziotti sudcoreani. La contessa territoriale che lo riguarda ha avuto nel tempo toni anche aspri, con iniziative di fanatici nazionalisti delle due parti che potrebbero concretizzare il rischio di conflitto.

  • Autore articolo
    Stefano Vecchia
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