“Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino sono state al centro di uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza che, nel marzo 2017, ha visto condannati all’ergastolo – per l’assassinio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta – i boss Salvo Madonìa e Vittorio Tutino. E’ il processo Brosellino quater.
Un falso pentito, Vincenzo Scarantino, pilotato da un gruppo di investigatori. “Un proposito criminoso”, lo definiscono i giudici di Caltanissetta. Che parlano, nelle motivazioni della sentenza, di “suggeritori esterni”, della “attività di investigatori che esercitarono in modo distorto i loro poteri”. Tra questi investigatori c’è Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, coordinatore delle prime indagini sulla strage di Via d’Amelio, morto nel 2002.
I giudici fanno riferimento a lui quando scrivono che “c’è un collegamento tra il depistaggio (nei processi) e l’occultamento della agenda rossa di Paolo Borsellino”.
“Un collegamento – scrivono sempre i giudici di Caltanissetta – che è sicuramente desumibile dall’identità di uno dei protagonisti di entrambe le vicende”: e cioè, appunto, Arnaldo La Barbera.
Ma perché il depistaggio fu messo in pratica, qual era il suo movente?
I giudici indicano un’ipotesi sul movente che portò alla costruzione del falso pentito Scarantino: la volontà di nascondere la responsabilità di altri soggetti per la strage di Via d’Amelio. “Nel quadro – si legge nelle motivazioni – di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera di Borsellino”.
Quei centri di potere sarebbero “gli ambienti imprenditoriali e politici”, interessati a fare affari con Cosa Nostra, di cui ha parlato un importante pentito – citato dai giudici di Caltanissetta – come Antonino Giuffrè.
“Quanto scrivono i giudici di Caltanissetta è dirompente”, ci ha detto Salvatore Borsellino, fratello di Paolo.
“La cosa più importante è che in questa operazione sono stati messi in bocca a Scarantino elementi veri, reali: che quindi erano conosciuti a chi ha ordito il depistaggio”.
“Mio fratello – prosegue – stava indagando sui rapporti tra imprenditoria, mafia e ambienti massonici. E questo si lega anche alla sparizione della sua agenda rossa”.
Agenda che – si legge sempre nelle motivazioni della sentenza di Caltanissetta – “conteneva una serie di appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato a una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci” (in cui venne ucciso Giovanni Falcone).
Ascolta qui l’intervista a Salvatore Borsellino