Alla fine il mondiale più lungo della storia, con i suoi 22 gran premi, si è giocato tutto nell’ultimo giro. Con il campione che precede lo sfidante, ne subisce l’attacco, tenta la reazione fino all’ultimo e solo allora si arrende, praticamente sulla linea del traguardo. Da ieri Verstappen è campione del mondo di Formula 1. Quando lo sport regala questo tipo di spettacoli, degni di una sceneggiatura, poche cose possono competervi a livello di coinvolgimento emotivo. Un coinvolgimento emotivo che questa categoria non sperimentava da lustri, essendo riuscita a trasformare l’adrenalina e il brivido della velocità che l’hanno sempre caratterizzata in complicati e spesso noiosi spettacoli da pennica pomeridiana.
Il più grande merito di questo improvviso risveglio va ai due protagonisti di quest’annata da ricordare. Due personaggi perfetti per sostenere la trama e arricchire la narrazione umana sportiva e romanzesca intorno a uno dei topos più classici, quello della sfida della tenzone. Due personaggi perfetti perché agli antipodi. Il campione navigato, carico di esperienza e consapevole della sua forza e di quella, invero, del suo mezzo. E lo sfidante, giovane, volitivo, spigoloso in pista al limite del rischio, e veloce. Ma veloci lo sono tutti e due. Così come entrambi non propriamente simpatici fuori dalla cerchia dei loro tifosi, ma questo spesso si accompagna a chi è vincente. Due piloti in grado di presentarsi all’ultima partenza con lo stesso esatto punteggio, dopo ventuno gare. E poi di presentarsi appaiati fino all’ultimo giro, quasi fin sotto la bandiera a scacchi. Questo anche grazie a una gara che ha ricompattato il plotone quando alla fine mancava poco per un intervento della safety car, che ha lasciato il circuito proprio per l’ultima tornata. Cosa che ha fatto infuriare non poco il muretto della Mercedes, ma di polemiche quest’anno ce ne sono state tante. Del resto, veramente avremmo voluto vedere chiudersi questo mondiale dietro la Safety Car? Hamilton probabilmente si, avrebbe mantenuto la posizione, ma c’è da riconoscergli che, a parte uno sbotto a caldo via radio, anche nella sconfitta questa volta è riuscito a dare lezioni di stile, dimostrando a 36 anni di avere acquisito una delle abilità più rare, di aver imparato una delle lezioni più dure per uno sportivo. La capacità di saper perdere.
Una menzione finale va per Kimi Raikkonen, che con il ritiro di ieri chiude una carriera che lo ha visto portare alla Ferrari il suo ultimo titolo piloti. “Ciao Kimi, ora ti lasceremo in pace” gli hanno scritto i meccanici sulla fiancata della sua alfa romeo, citando un suo famoso rimprovero via radio. “Ciao Kimi, ora puoi bere quanto ti pare”, recitava invece uno striscione a bordo pista, citando un’altra, meno nobile, passione di uno degli ultimi piloti vecchio stampo del circus.