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“Usiamo la ragione”, da Parigi alla Mesopotamia

Carlo Rovelli, fisico, lavora a Marsiglia dove dirige il Centro di ricerca in gravità quantistica. E’ autore del fortunatissimo libro “Sette brevi lezioni di fisica”. Si occupa di storia e di filosofia della scienza. E’ l’ospite di oggi a Memos. Con lui, però, non abbiamo parlato di scienza, ma di una sua – cito tra virgolette – “proposta per la Mesopotamia”.

In questi giorni,  dopo le stragi di Parigi, Rovelli ha scritto un testo in cui esaminando le tessere del puzzle “mesopotamico” – e ricomponendole in una proposta – indica una possibile via d’uscita per mettere fine allo stato di guerra da cui è nato e in cui prospera Daesh, il cosiddetto stato islamico. «Il motivo per cui ho voluto parlare – racconta Rovelli – è che sento che c’è una esplosione di irrazionalità. La stessa cosa, con tutt’altra scala intellettuale, che faceva Einstein all’inizio della prima guerra mondiale, quando diceva “non facciamo la guerra, è una stupidaggine assoluta”. Anche allora c’era stato un mondo intellettuale che diceva “non cadiamo in questo orrore di ammazzarsi l’un l’altro”. Quando la società intera si lascia andare alla paura o all’orrore si comporta in maniera irrazionale, credo che sia il dovere di tutti gli intellettuali, non perché sono scienziati ma perché sono intellettuali, di dire “fermi, usiamo la ragione!”. Io voglio mettere delle cose sul piatto, non sono un politico, spero che queste idee vengano discusse in maniera razionale e non emotiva, e non nella logica del “c’è un conflitto, quindi dobbiamo ammazzare gli altri”, ma nella logica “c’è un conflitto, cerchiamo di risolverlo nel modo che crei meno dolore possibile nel mondo”».

Cosa ha provato quando ha avuto la notizia della strage di Parigi? «Ho provato – dice Rovelli – una grande tristezza di fronte a quella strage così come una settimana fa di fronte alla strage di Beirut e alle stragi che ci sono in continuazione. Ho avuto paura che l’emozione fortissima che provo io e che provano tutti ci renda meno razionali e ci faccia fare degli errori. Credo che occorra evitare due cose quando c’è una situazione di conflitto. La prima: la rincorsa a dire “è colpa tua”, “hai cominciato tu”. E’ una rincorsa senza fine. La seconda: cadere nell’emozione, nell’urlo di dire “quanto siete cattivi, voi, dall’altra parte”, e cioè la demonizzazione dell’altro. Succede sempre in un conflitto ed è il modo in cui i conflitti crescono».

La “proposta per la Mesopotamia” di Rovelli è una normalizzazione dello stato islamico. Che cosa significa? «Se ci liberiamo dalle emozioni e dall’orrore generati dal conflitto – risponde Rovelli – mi sembra che ci sia una strada possibile verso il futuro e cioè che questo stato islamico si trasformi in qualche cosa di più ragionevole. Il problema non è far sparire lo stato islamico. Credo invece che il problema sia parlare con queste persone e lasciare che la parte sunnita, che c’è nello stato islamico e non è certamente quella visibile, possa entrare in gioco visto che chiede soltanto di esistere. Penso che la soluzione, alla fine, dopo la demonizzazione sarà necessariamente che si formi uno stato sunnita in quell’area, come moltissimi preconizzavano fin dall’invasione americana dell’Iraq. Sto parlando della spartizione dell’Iraq in tre parti: uno stato curdo nel nord, uno stato sciita a est e uno stato sunnita. Quest’ultima parte fa comodo a tutti: fa comodo a Israele, all’Occidente, all’Arabia Saudita e penso che, alla lunga, si evolverà in qualche cosa di più ragionevole rispetto alla situazione attuale, come è accaduto in passato in tantissime insurrezioni violente. Nessuno oggi ha la voglia o la forza di fare un’invasione con la fanteria armata in quella zona, pian piano questo delirio che è l’attuale stato islamico evolverà in uno stato sunnita. In un bellissimo articolo apparso ieri sul New York Times si diceva che il vero pericolo per quel mondo è esso stesso. Nella misura in cui resta così com’è, travolto dalla propria ideologia, resta debole. Nel momento in cui si mette tranquillo, allora diventerà lo stato sunnita e verrà riconosciuto dal resto dei paesi».

«Da sempre in una situazione di conflitto la cosa da fare è deporre le armi e cercare di parlare, anche con i nemici più cattivi. E’ difficile parlare con i nemici, anche con quelli dello stato islamico che sono certamente disgustosi, ma bisogna parlare con loro. Il problema non si risolve bombardando con gli aerei. Si cerchi, invece, di parlare con loro e si offra loro uno stato in cambio della normalizzazione di questo stato».

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    Raffaele Liguori
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    Andiamo in Cisgiordania. Continua ormai da tre giorni l’operazione militare lanciata dall’esercito israeliano sul campo profughi di Jenin. Centinaia di persone hanno lasciato il campo su ordine israeliano che tramite megafoni collegati a droni e veicoli militari, ha ordinato alla popolazione di evacuare. Il capo di stato maggiore militare israeliano e il capo dell'agenzia di sicurezza Shin Bet hanno rilasciato oggi una dichiarazione: "Siamo pronti a svolgere una serie di operazioni nel campo di Jenin che porteranno il campo a una situazione diversa", si legge nella dichiarazione, che poi aggiunge: "Siamo in una guerra su più fronti e ora tocca alla zona settentrionale della Cisgiordania". Diana Santini ha intervistato l’ingegnere palestinese, a Jenin, Ahmad Odeh.

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    L’ultima volta era successo 22 anni fa. Il Comune di Milano oggi ha consegnato le prime cinque nuove licenze per taxi. Nei prossimi mesi le nuove abilitazioni arriveranno a 336, per effetto del bando di marzo dell’anno scorso per 450 licenze. L’amministrazione comunale ha l’obiettivo di arrivare a circa mille nuovi permessi in città. Per questo ha dichiarato che porterà avanti la richiesta di altre autorizzazioni anche con Regione Lombardia. Stamattina c’è stata una piccola cerimonia di consegna a palazzo Marino: tre nuove licenze sono ordinarie, due per il servizio notturno. “Lavorare di notte mi preoccupa un po’ per quello che sta succedendo in città a livello di sicurezza, ma il trasporto pubblico ha bisogno di taxi soprattutto nella fascia serale” ha detto Matteo Grappoli, uno dei tassisti che ha ricevuto la licenza, nell'intervista fatta da Luca Parena.

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    1) “Ora tocca alla Cisgiordania”. L’esercito israeliano annuncia l’ampliamento dell’operazione militare su Jenin, mentre le famiglie vengono costrette all’evacuazione e il campo profughi della città inizia ad assomigliare sempre più alla striscia di Gaza. (Ahmad Odeh da Jenin) 2) Stati Uniti. I Proud Boys sono pronti a tornare e vogliono vendetta. I leader del gruppo di estrema destra appena rilasciati dal carcere dalla grazia di Trump chiedono al presidente una rivincita. (Roberto Festa) 3) Colombia, crolla il piano di pace del presidente Petro. Nel paese riscoppia la guerriglia per il controllo del narcotraffico. (Eleonora Cormaci - Terres des Hommes) 4) Il divorzio per violazione del dovere coniugale non esiste. La Francia condannata dalla Cedu. (Francesco Giorgini) 5) La dittatura Brasiliana, l’occupazione israeliana in Cisgiordania e la storia di Emilia Perez, narcotrafficante transgender. Le nomination per gli Oscar 2025 vanno contro corrente. (Mauro Gervasini - Film TV) 6) World Music. Il saxofonista Haitiano Jowee Omicil lancia il suo nuovo album puntando sui podcast. (Marcello Lorrai)

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    Oggi a Jack, Matteo Villaci e Luca Santoro hanno parlato di JPEGMafia e del suo concerto di ieri sera all'Alcatraz di Milano. JPEGMafia, pseudonimo di Barrington DeVaughn Hendricks, è un rapper americano sperimentale dai molteplici talenti, produttore, interprete e leader della scena rap underground.

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