Il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo cinese ha ratificato l’Accordo di Parigi approvato informalmente nel dicembre scorso, che impegna il paese a ridurre le emissioni di gas serra. Un grande passo per la Cina che in passato aveva spesso ostacolato le trattative. Un passo piccolo, tardivo, insufficiente perché lo scopo dell’Accordo è di limitare entro fine secolo il riscaldamento globale a più 1,5-2 °C rispetto alla temperatura media nel 1800. Sommando gli impegni virtuali e confermati, se va bene nel 2100 ci saranno 2,5-3,0 °C in più.
Poco dopo Pechino, anche gli Stati Uniti hanno annunciato la mondo la ratifica di quello stesso Accordo: dunque hanno mantenuto le promesse fatte a Parigi i paesi che emettono il 40% circa della CO2 aggiunta ogni anno all’ atmosfera. Dal 2015 supera 400 parti per milione (ppm) rispetto a 270 ppm nel 1800 e con gli effetti che tutti vediamo. Anni “record” si susseguono dall’inizio del secolo e ognuno dei 15 mesi scorsi è stato il più caldo mai registrato dal 1850.
A tutto gas invece di alzare il piede dall’acceleratore.
Così aumentano l’intensità e la frequenza di siccità, alluvioni, tempeste; accelerano la fusione dei ghiacciai, della banchisa artica e della calotta antartica, l’innalzamento del livello del mare e l’acidificazione degli oceani; si allungano le “stagioni degli incendi”; si spostano verso i poli gli habitat di animali e vegetali. Sono gli effetti che i modelli climatici prevedono dal 1965, quando nei computer si infilavano schede perforate a mano e c’erano 315 ppm di CO2 atmosferica (vedi il diagramma). I modelli lo prevedevano con più precisione nel 1981 quando ce n’erano 350, la concentrazione alla quale bisogna tornare di corsa, ripetono da anni i climatologi. Una volta superata, anche i rischi si sommano velocemente.
La cosa preoccupante è che oggi l’aumento della temperatura è di 1,3°C. Non rispetto al 1800, bensì alla media per il periodo 1961-1990, a riscaldamento già avviato. I costi non sono ripartiti esattamente come il calore sulle mappe termiche del pianeta. Li pagano innanzitutto i paesi più poveri, che nel passato hanno emesso meno gas serra e ora sono i più colpiti dalle conseguenze.
La cosa un po’ rassicurante è che sempre più governi sembrano accorgersi che insieme alla temperatura aumentano i danni economici e sociali dovuti alla loro inerzia, alle buone intenzioni espresse al vertice di Rio nel 1992 e rimaste sulla carta.
Ci sarebbe parecchio da dire sull’incapacità di risolvere problemi globali, sulla tendenza a scaricarli sulle prossime generazioni. Ricordo soltanto che nella storia dell’Homo sapiens, cambiamenti climatici molto più graduali e modesti di quello iniziato a fine Settecento hanno sempre innescato grandi migrazioni. Migrare risolveva il problema.
La nostra specie se l’è sempre cavata, è vero che si è lasciata dietro tante vittime, ma ha anche creato nuove civiltà. Eravamo in pochi, senza frontiere, con le risorse del pianeta a disposizione. Oggi abbiamo inquinato suoli, aria e acqua, vero anche questo, per di più siamo 7,5 miliardi. Ma dall’ultima glaciazione che quasi ci sterminava abbiamo accumulato abbastanza risorse intellettuali per smetterla di comportarci da Homo insipiens.