
Una trattativa lunghissima e complessa ha portato all’annuncio della formazione del governo incaricato libico, guidato da Fayez Sarraj. Un gestazione durata 16 mesi che ha visto ostacoli insormontabili. Soltanto la pazienza dei mediatori internazionali, inviati speciali del segretario generale dell’Onu, prima lo spagnolo Bernardino Leon, poi il tedesco Martin Kobler, ha permesso di districare la matassa del groviglio libico.
Questo governo, che nasce in applicazione dell’accordo di Skhierat firmato lo scorso 17 dicembre dalle due parti libiche, doveva essere reso noto entro un mese, ma all’ultimo momento la formazione era stata rinviata di 48 ore per dissidi sull’attribuzione dei ministeri chiave: Difesa, Interno, Esteri, Energia e Finanza.
Un governo elefantiaco composto da 32 ministri e 57 sottosegretari e viceministri, scelti con un originale manuale Cencelli libico, che ha tenuto conto del peso demografico e politico-militare di ciascuna delle tre regioni nella quale è divisa amministrativamente la Libia, occidentale, orientale e meridionale (la denominazione geografica dei punti cardinali è stata assunta per evitare i riferimenti alla denominazione coloniale Tripolitania, Cirenaica e Fezzan).
È un governo che ha davanti a sé tanti ostacoli e si incammina su una strada in salita. Il primo scoglio è quello della fiducia del parlamento eletto nel 2014 e da allora esiliato a Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. Il parlamento in realtà non è ancora riuscito a riunirsi per approvare l’accordo di Skhierat, per la posizione ricalcitrante degli autonomisti cirenaici, compreso lo stesso presidente Aqila Saleh, che di fatto ha boicottato la convocazione delle sedute. Domenica scorsa, l’inviato dell’Onu Kobler lo ha messo di fronte alle sue responsabilità invitandolo a convocare la seduta, pena l’inserimento del suo nome nella lista delle sanzioni internazionali che comprende i capi delle milizie che hanno ostacolato il processo negoziale.
Già nella serata di martedì 19, un gruppo di deputati ha emesso un comunicato annunciando che il governo sarebbe illegittimo perché è stata annunciata la sua composizione dopo la scadenza dei termini fissati dall’accordo di Skhierat. Come dire: mentre la casa brucia, loro cercano il pelo nell’uovo. La questione seria è che la prima votazione che dovrebbe approvare l’accordo di Skhierat richiede il voto favorevole dei due terzi del parlamento.
Il secondo ostacolo che aspetta il premier incaricato Sarraj, riguarda le milizie islamiste che controllano Tripoli. La maggior parte di queste è ostile all’accordo, ma assume un atteggiamento dissimulatore per allontanare o almeno rinviare il momento dello scontro con la comunità internazionale. Di fatto è in corso una guerra sotterranea tra queste milizie per il controllo della capitale. Lunedì sera è stato trovato a Ain Zara, sobborgo di Tripoli, il corpo senza vita del colonnello Anis Sahly, comandante della Sala operativa congiunta di Sicurezza della capitale. Il colonnello era scomparso da tre mesi e il suo corpo è stato trovato abbandonato in una costruzione con segni profondi di lacci stretti alle mani e ai piedi.
Il terzo pericolo per il nuovo governo è l’espansione di Daesh. I miliziani del Califfato nero stanno attaccando nella zona centrale della Libia raggiungendo la periferia di Ajdabie, hanno ancora una presenza in alcuni quartieri di Bengasi e soprattutto stanno indirizzando i loro attacchi nei pressi della capitale Tripoli. Oltre all’attacco di Sliten contro la scuola di polizia, dove sono state uccise settanta reclute della Guardia costiera, il sedicente Califfato si è assunto la responsabilità di un attacco contro la località di Sorma, a 70 chilometri a ovest di Tripoli.
La sfida è ad alta tensione, ma il premier incaricato sembra determinato ad affrontare l’impresa confidando nelle promesse della comunità internazionale che lo ha scelto a guidare questa fase di transizione. Si è detto forte della “consapevolezza che la stragrande maggioranza dei libici è stufa di vivere in condizioni di insicurezza e con la prospettiva di povertà, mentre le potenzialità del Paese sono atte a garantire il benessere per tutti”.
La popolazione libica in effetti vive in condizioni drammatiche e in alcune zone è sottoposta a una vera e propria emergenza umanitaria, per mancanza di medicine e derrate alimentari nelle zone periferiche, a causa delle incursioni incrociate tra le milizie e Daesh. Ma l’aspetto drammatico finora non percepito è quello degli sfollati all’estero. Circa due milioni e mezzo di libici si sono trasferiti in altri Paesi limitrofi, principalmente Egitto e Tunisia, ma anche Marocco ed Emirati Arabi. Lo possono fare in condizioni dignitose fino a quando gli stipendi dei dipendenti pubblici saranno pagati anche in mancanza di presenza sul posto di lavoro. Una sorta di welfare deciso subito dopo la caduta della dittatura, ma non lo si potrà garantire fino all’infinito, anche perché le riserve auree e in valuta straniera stanno esaurendosi e l’esportazione di petrolio è praticamente ridotta al minimo. Una volta chiuso questo flusso di denaro, gli sfollati diventeranno profughi e respinti dai Paesi ospitanti.
Probabilmente questa consapevolezza ha indotto le due parti libiche a sedersi al tavolo del negoziato e avviare questo percorso sotto le pressioni delle potenze internazionali preoccupate per i loro investimenti nel settore petrolifero che sta rischiando di cadere nelle mani degli jihadisti. L’espansione territoriale di Daesh ha riunificato le forze politiche, ma il prevalere degli interessi di parte è ancora forte e impedisce un processo lineare.
In questa fase delicata, il ruolo delle potenze internazionali è fondamentale. Senza la presenza di una forza militare terrestre, di peacekeeping, che garantisca la sicurezza delle città, disarmi le milizie e sostenga il processo della loro integrazione nelle forze armate e di sicurezza dello Stato, questo nuovo governo non potrà andare lontano. Il piano Onu prevedeva la presenza di cinquemila unità a guida italiana e il generale Serra, consulente per la sicurezza della missione Onu, ha già predisposto il piano di sicurezza della capitale e trattato con le principali milizie, ma secondo molti esperti per assolvere al compito ci sarebbe la necessità del doppio di effettivi. Le nazioni che hanno dichiarato la loro disponibilità, oltre all’Italia, sono Gran Bretagna, Francia e Germania. Al Consiglio di sicurezza, Russia e Cina non hanno ostacolato l’approvazione di questo accordo di Skhierat e alla riunione di Roma del 13 dicembre 2015, la presenza del ministro degli Esteri russo Lavrov è stata significativa.
Ma il passo più importante – secondo il governo libico – è la fine dell’embargo nei confronti dell’esercito, per poterlo mettere in condizioni far fronte al pericolo daeshista, perché è chiaro a tutti che con i soli bombardamenti dal cielo non verrà mai depennato questo cancro. Siria e Iraq sono lì sotto gli occhi.