Se qualcuno fosse interessato a capire cosa sia il bello, dovrebbe riascoltare il meraviglioso radiodramma di Sergio Ferrentino, Uno di noi, trasmesso il 23 aprile da Radio Popolare e da allora in podcast sul sito della Fonderia Mercury, che ha prodotto l’opera.
Non è facile, infatti, imbattersi in una forma altrettanto convincente e matura di ciò che la nostra contemporaneità può creare come bellezza. In questo racconto radiofonico, infatti, in questo originale incontro tra teatro, radio e narrazione partecipata e commossa, più ancora che recitata, possiamo sperimentare come anche il racconto di una storia così spaventosa e incredibile possa diventare un’esperienza memorabile e altamente formativa.
Senza mai perdere coscienza di sè e attraverso un montaggio complesso e brillantemente polifonico, il racconto ci mostra la realtà del dramma per come si crea e si distrugge nella concitazione, negli spari improvvisi, nei silenzi increduli; nelle telefonate senza risposta, nei ricordi, nelle accelerazioni.
Ferrentino racconta la strage dei ragazzi sull’isola di Utoya mantenendo un fortissimo senso dell’intollerabile grazie al quale, però, evita il vittimismo, i violini da radionovela, le filippiche contro i nazisti dell’Illinois (che tutti giustamente odiamo, peraltro). Questi effetti speciali del sentimentalismo, infatti, ostacolerebbero la forza del racconto, la sua estetica.
L’ascolto di UNO DI NOI ci ha emozionato, certo, ma solo perché prima ha fatto altro: ha raccontato in modo forte e potente, senza addossarsi al dramma, senza mescolarsi con la tragedia, ha detto cose serie e importanti e ci ha guidato, mostrandoci la realtà per quello che è. Solo dopo, solo dopo aver “capito”, sentiamo che tutto questo ci ha riempito di qualcosa di meraviglioso, universale ed etico, qualcosa che chiamiamo bello e che forse è qualcosa di ancor più importante.
Andrea Pedrazzini