È da poco passata mezzanotte quando Peter Marki Zay sale sul palco dell’evento organizzato dall’opposizione per l’election night in Ungheria. L’ampio spazio solitamente usato come pista per pattinare sul ghiaccio dietro piazza degli Eroi, a Budapest, doveva accogliere centinaia di persone in festa, e i food truck allestiti per la serata si erano preparate per lunghe code di persone. Invece, quando Marki Zay sale sul palco, la maggior parte delle persone è già andata via, i cartelli preparati dal comitato elettorale e le bandierine con il nome del candidato sono abbandonati per terra o sui tavoli, tra una lattina di birra e un bicchiere di plastica. Il clima gelido non aiuta, ma la musica allegra che esce dalle casse sul palco stride enormemente con le facce e lo spirito di chi è rimasto.
Qualcuno si consola con un Langos, lo street food più diffuso a Budapest, una ragazza piange. Le bandiere europee usate come mantello, ora, lasciano un sapore ancora più amaro.
La delusione è fortissima, soprattutto tra i più giovani. Per tanti era il primo voto, e credevano davvero di poter cambiare le cose.
RAGAZZO 1: “E’ triste. Non so, non c’è nient’altro da aggiungere, è solo triste. Lo puoi vedere, non c’è nessuno qui, questo è quello che sono gli ungheresi“.
Eri fiducioso?
“Lo ero, lo ero. Ma i sogni sono svaniti veramente velocemente“.
RAGAZZO 2: “Ero un po’ pessimista, ma non mi aspettavo che andasse così male“.
RAGAZZO 3. “Io sono devastato. Credevo davvero in un risultato migliore per l’opposizione e siamo veramente tristi. Ero fiducioso perché credo che Peter Marki Zay era il candidato migliore per poter sconfiggere Viktor Orban e il suo regime. Oggi però non ha avuto successo, noi non abbiamo avuto successo. Ma spero che tra 4 anni saremo qui a festeggiare“.
RAGAZZO 4. “Non sappiamo cosa è successo. Ci aspettavamo un cambiamento in queste elezioni così importanti, e di sicuro un altro risultato“.
RAGAZZO 3. “Se Orban dovesse avere anche la maggioranza in parlamento significherebbe che potrebbe fare quello che vuole. Esattamente come sta facendo da 12 anni. Siamo distrutti“.
RAGAZZO 5. “Abbiamo votato, ma non per questo“.
Invece, poi, questa mattina ciò che si temeva questa notte è stato confermato. Non solo Orban ha vinto, ma è anche riuscito a riconfermare la sua super maggioranza di due terzi in parlamento, ottenendo 135 seggi su 199, due in più dell’ultima volta.
Come se non bastasse, poi, per la prima volta, il partito di estrema destra Mi Hazank, che significa “la mia patria” è riuscito a portare a casa sette seggi. A Mi Hazank, sono andati i voti degli elettori di Jobbik, che non devono aver apprezzato la scelta di unirsi ad una coalizione in cui erano presenti anche i socialisti.
Ora l’Ungheria si ritrova con un parlamento ancora più a destra e ancora più estremista di quanto non fosse stato fino ad ora. La sensazione, tra chi a Budapest sperava in una svolta, è che ormai il treno sia passato e la democrazia illiberale di Orban sarà sempre più illiberale e sempre meno democrazia.
Per chi si chiede che forma prenderà l’Ungheria per i prossimi quattro anni, basta ascoltare il discorso che ha fatto stanotte il premier dichiarando la vittoria. Ha individuato sei nemici sconfitti: la sinistra domestica, la sinistra internazionale, i burocrati di Bruxelles, Soros, i media internazionali e Zelensky, il presidente ucraino. Sei nemici che quasi sembrano un programma a punti. “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che la vedranno dalla luna” – ha detto – “e certamente la vedranno da Bruxelles”. La sfida, in questo ultimo mese e passa di campagna elettorale era tra Oriente e Occidente. È chiaro chi e cosa abbia vinto.
“I risultati mostrano che dopo 12 anni di lavaggio del cervello, Orban può sempre vincere qualunque elezione in questo paese” ha detto Peter Marki Zay parlando con la stampa internazionale, riferendosi al controllo sui media e alla propaganda sfrenata che il leader di Fidesz ha portato avanti in questi anni. “Rimarrò qui, ha detto, dopo aver dormito un po’ tornerò con qualche nuova idea per il mio paese”.
Abbiamo fatto tutto bene, ha detto, ma sul palco è solo. Dietro di lui c’è solo la sua numerosissima famiglia, ma nessun leader dei 6 partiti che compongono la coalizione di opposizione, che già – dopo una caduta così disastrosa – sembra iniziare a spaccarsi. Segno forse del fatto, che se tra quattro anni si vorrà tentare nuovamente di battere Orban, non sarà sufficiente unire tutta l’opposizione, ma bisognerà essere in grado di offrire una vera alternativa, e non semplicemente una seconda scelta.