E’ la gig economy, letteralmente l’economia del “lavoretto”, inteso come il lavoro che volentieri farebbe uno studente o un ragazzo per arrotondare, pagarsi gli studi e il divertimento.
Il problema è che non è solo così, e la crisi e la necessità di trovarsi un secondo lavoro o uno nuovo e in fretta dopo un licenziamento, ha alimentato la gig economy anche di altre tipologie di lavoratori.
Si girano le grandi città con i propri mezzi di trasporto, biciclette e motorini, per consegnare i pasti ordinati dai clienti online al ristorante. Tra questi i rider che a Torino da ottobre vedono circa 50 di loro in una forma di protesta contro Foodora, una delle prime società di consegna a domicilio, perché vogliono alcune garanzie e maggiori diritti. A cominciare dalla regolamentazione del lavoro che è sostanzialmente pagato a cottimo, più consegne si fanno nel tempo che si è dato disponibile, più si viene pagati, e così si corre, sotto la pioggia o il freddo, nel traffico di città come Torino o Milano, cercando di guadagnare più commesse possibili.
Una forma di lavoro che definiscono “caporalato digitale”. I lavoratori firmano contratti per prestazioni coordinate e continuative, ma a loro parere di autonomo c’è ben poco, si tratterebbe di lavoro subordinato e come tale chiedono che venga regolamentato. Uno dei lavoratori che sta protestando a Torino è Giuseppe, un ragazzo giovane, “sloggato” via wapps, racconta, dopo aver aderito alla protesta.
Sono sempre più diffuse le società che operano in questo settore, e i ristoranti che vi si affidano perché allargano a una clientela, spesso giovane, che preferisce mangiare a casa piuttosto che al ristorante. E i lavoratori sono sempre più numerosi e non sono solo ragazzi. Sentiamo ancora Giuseppe.
Sinistra italiana ha presentato una proposta di legge per allargare i diritti di tutela, ferie e malattie anche a questi lavoratori. Giorgio Airaudo se ne è fatto promotore: