Manipolare geneticamente le cellule del sistema immunitario per renderle capaci di riconoscere e attaccare il tumore. Lo hanno fatto i medici dell’ospedale Bambin Gesù di Roma con un bambino di quattro anni affetto da leucemia linfoblastica acuta. E’ il primo paziente italiano curato con questo metodo innovativo. Un mese dopo l’infusione delle cellule riprogramate, il paziente sta bene ed è stato dimesso: nel midollo non sono più presenti cellule leucemiche.
Concetta Quintarelli è la responsabile del Laboratorio di Terapia Genica dei tumori dell’ospedale Bambin Gesù di Roma.
“La terapia che è stata messa a punto al Bambin Gesù di Roma nel dipartimento di oncologia del professor Franco Locatelli riguarda la modifica genetica dei linfociti T del paziente per renderli specifici verso la leucemia dello stesso paziente, il primo che abbiamo trattato al Bambin Gesù. E’ una terapia innovativa perché è il primo studio accademico che riesce a trattare un paziente su territorio italiano”.
Si può dire che il paziente sia guarito?
“Il paziente è stato trattato ma in campo oncologico ci preme non definirla cura. Siamo a un mese dal trattamento e siamo molto fiduciosi, perché questa è la prima terapia a cui il paziente sta rispondendo. Lo stesso paziente non aveva risposto a trattamenti precedenti: per esempio, aveva subito ben due trapianti ed era ricaduto, non aveva risposto ad altri approcci chemioterapici, o a terapie immuno”.
In che cosa consiste questo nuovo tipo di approccio?
“Vengono prese delle cellule dal paziente, vengono portate in laboratorio in camere bianche e vengono geneticamente modificate, in modo da renderle specifiche per la leucemia, quindi poi rinfuse al paziente stesso. Ci troviamo quindi di fronte a una terapia mirata, paziente-specifica”.
Cosa fanno queste cellule che voi reimmettete nell’organismo del paziente?
“Queste cellule sono in grado di fare “homing”, come si dice in gergo, quindi di andare direttamente nel midollo, dove risiedono le cellule leucemiche, le riconoscono grazie alla modifica genetica che noi abbiamo fatto, e le eliminano, dopo averle riconosciute”.
Cioè, in sostanza, invece di eliminare le cellule tumorali con un trattamento di chemioterapia o altri trattamenti tradizionali, vengono istruite delle cellule del paziente allo scopo di distruggere le cellule tumorali. E’ così?
“Esatto. Si sfruttano le capacità innate e specifiche delle cellule del sistema immunitario, quelle che di solito ci difendono dalle influenze o da un’infezione qualsiasi, e le si riprogrammano per essere specifiche per il tumore, quindi per bersagliare direttamente le cellule del tumore”.
E’ una sperimentazione che voi considerate promettente per il futuro, per il trattamento di altri tipi di tumori? Che potenzialità ci sono?
“Le potenzialità sono veramente elevate. Quello che si è riuscito a ottenere nel campo delle leucemie purtroppo non è ancora stato realizzato per altri tipi di neoplasie, come per esempio i tumori solidi. Ci stanno lavorando in tanti ricercatori di tutto il mondo. E al Bambin Gesù, oltre a questa terapia specifica per le leucemie, ne abbiamo anche una per bambini affetti da neuroblastoma. E, anche in questo caso, lo studio clinico è cominciato da pochi giorni”.
Quindi diciamo che il passaggio ulteriore sarà quello di provare ad applicare questo trattamento, oltre ai tumori del sangue, a quelli che colpiscono gli organi . E’ lì il passaggio che porterà a degli sviluppi?
“Esatto. Stiamo lavorando per questo. I tumori solidi hanno una struttura diversa rispetto alle leucemie, e presentano una difficoltà maggiore”.
Lei pensa che questo sarà comunque il futuro della cura al tumore?
“Andare verso le terapie target paziente-specifiche è sicuramente quello che ci permetterà di ridurre al minimo le tossicità dei chemioterapici classici che si utilizzano oggi”.