La premessa in questo caso è doverosa: oltre agli annunci servono i testi. In una manovra fatta di poche novità e soprattutto tagli. La spesa netta, il nuovo parametro imposto da Bruxelles e irrigidito dal governo, si traduce in un taglio lineare del 5% di spesa pubblica, sanità esclusa. Giorgetti li definisce sacrifici per i ministeri, ma sono i nostri sacrifici: quasi 600 milioni in meno a infrastrutture e trasporti, circa 150 alla cultura, 400 all’istruzione, oltre 60 all’ambiente. Servizi essenziali con conseguenze concrete soprattutto sui più deboli.
Quali voci taglieranno? La mannaia cala anche per gli enti locali, che dovranno dare 1,5 miliardi in due anni. Graziate invece le banche. Al di là della retorica nessuna nuova tassa, di fatto un prestito: un anticipo sui soldi già dovuti per le imposte del prossimo biennio. Oltre alla carta elettorale del bonus bebè, l’altra novità è il quoziente familiare nelle detrazioni, sulle quali sarà introdotto un tetto, sulla base del numero dei figli e del reddito, che penalizzerà single e coppie senza figli. Aggiustato, togliendolo dal computo ISEE, l’assegno unico che però avrà bisogno di altre modifiche, intuitivamente con soglie di reddito, per non incorrere nell’infrazione europea.
L’altro aggiustamento è al taglio del Cuneo; durerà 5 anni, diventerà fiscale e non contributivo dopo gli squilibri creati al sistema previdenziale, e per evitare il fiscal drag che ha penalizzato molti lavoratori dipendenti sarà esteso con una sorta di calo graduale da 35 a 40mila euro. Sulle pensioni resta la via di allungare la vita lavorativa, con forti disincentivi a interromperla: vantaggi per chi resta al lavoro che aumenteranno l’impressione di più occupati. Nel complesso il governo conferma una visione di corto respiro, dove l’austerità del piano strutturale di bilancio condizionerà le politiche economiche dei prossimi anni, e poco crescita.