In questi giorni politicamente convulsi alcune notizie rischiano di perdersi.
Il Corriere della Sera ha riportato alcuni estratti di un’interessante ricerca curata da Iref sulla generazione Millenials, ovvero quei “giovani” nati dall’inizio degli anni ’80 alla fine degli anni ‘90. Una generazione di cui si è detto molto, spesso a sproposito. Definita “choosy” (schizzinosa), dei “bamboccioni” e di quelli “sfigati che a 28 anni non sono ancora laureati”. Tutte parole di ex Ministri, tecnici o politici poco importa.
Ecco, secondo le anticipazioni riportate da questo studio risulta esattamente il contrario. I Millenials non sono una generazionale nativa digitale, ma “nativa precaria” poiché questa è l’unica condizione che hanno conosciuto nel mercato del lavoro.
Come se la storia fosse avesse messo la retromarcia, molti Millenials sono disposti a rinunciare a diversi diritti sul lavoro per ottenere un impego, o raggiungere le proprie ambizioni professionali. La precarietà, condizione quasi antropologica, considerata “un imprinting” che orienta preventivamente le scelte dei giovani italiani.
Qualche anno fa, quando buona parte della classe dirigente di questo paese tesseva le lodi potenziali della “flessibilità”, molti giovani (e non) avevano già iniziato a parlare della precarietà intesa come condizione esistenziale. Si intendeva esattamente quello che sembra emergere da questa ricerca. Uno stato o una percezione di ricattabilità permanente che porta i giovani (ma non solo) a mettere in conto preventivamente che per raggiungere i propri obiettivi professionali (o addirittura per lavorare) dovranno rinunciare a diritti che si pensavano acquisiti: le ferie, i giorni di riposo e i festivi, la malattia o perfino una giusta retribuzione.
Per i ragazzi “più fortunati”, queste rinunce potrebbero essere lo scotto da pagare per raggiungere le proprie aspirazioni. Per gli altri, sarebbero le condizioni da accettare per avere o non perdere il proprio posto di lavoro.
Tutto ciò aiuta, in parte, a spiegare come mai siamo oggi alle soglie di un governo Movimento 5 Stelle/Lega.
Altro che tattica e attesa, la sinistra riparta da qui. Altrimenti non potrebbe non ripartire proprio.