Gli attori di questa vicenda si muovono su un palcoscenico, su un territorio sconosciuto, lo abbiamo detto più volte. Bene, dopo il discorso, l’attesissimo discorso di Puigdemont, questo territorio è ancora più sconosciuto.
Fino a un certo punto il presidente della Generalitat ha fatto un intervento molto chiaro, anche molto utile nella ricostruzione del conflitto catalano. Parole nitide, chiare, sincere. Tutto un altro tono rispetto a quello che si era sentito finora da Madrid, anche rispetto al discorso di Re Felipe VI.
“Il nostro è un progetto democratico che guarda all’Europa, non siamo dei pazzi e nemmeno dei golpisti. A volte la democrazia – ha detto Puigdemont – va oltre la costituzione”.
Ma la dichiarazione d’indipendenza e la sua immediata sospensione sono per molti, a prescindere dalla loro posizione politica, di difficile comprensione. Nel popolo indipendentista c’è chi parla di tradimento e chi invece di grande mossa strategica. Non si esclude una crisi della maggioranza di governo. Tra chi è contrario alla secessione prevale invece la paura per una situazione che appare ancora più confusa di prima.
Di sicuro Puigdemont ha voluto tranquillizzare la comunità internazionale e le capitali europee. Questo è anche quello che dicevano la notte scorsa fonti del governo catalano. E di sicuro il leader indipendentista ha evitato un’escalation pericolosissima. Con quella mano tesa al dialogo Puigdemont ha lanciato la palla nel campo avversario.
Qui a Barcellona però, e arriviamo al passaggio chiave, sanno bene che con ogni probabilità Madrid non aprirà alcuna trattativa. E così saremo tornati al punto di partenza.
È difficile capire la natura di questo passaggio, ma in fondo la situazione in cui ci troviamo conferma semplicemente una cosa: l’enorme complessità della crisi catalana, una contrapposizione antica di secoli che non si può certo risolvere in poche settimane.