Innanzitutto ci vuole molta prudenza. L’accordo tra Russia e Stati Uniti per un cessate il fuoco, di cui conosciamo solo pochi elementi, ha scarse possibilità di successo. Ma allo stesso tempo è anche l’unica via per provare a fermare una guerra che va avanti da cinque anni e mezzo. Quindi bisogna sperare che alleggerisca almeno la pressione sulla popolazione civile, che vive in condizioni drammatiche.
Kerry e Lavrov non hanno voluto rendere pubblico il testo dell’accordo. Che cosa possono aver concordato sottobanco? Difficile che ci sia un’intesa politica sul futuro della Siria. Diversi funzionari americani hanno spiegato più volte che il nodo è sempre stato su questioni tecniche legate alla tregua. E poi ricordiamoci che le relazioni tra russi e americani sono ai minimi storici (l’Ucraina, il presunto hackeraggio informatico russo su alcuni siti americani, lo scambio di complimenti tra Putin e Trump). Improbabile che in queste condizioni Mosca e Washington abbiano già delineato una road map da implementare nel caso in cui i combattimenti si dovessero fermare sul serio.
L’intesa non esplicitata da Kerry e Lavrov riguarda probabilmente le modalità con le quali verranno individuati gli obiettivi da colpire in quelle che dovrebbero essere le operazioni congiunte delle due aviazioni, quella russa e quella americana.
Ma questo è anche uno dei principali ostacoli al successo di questa intesa. Mosca e Washington hanno concordato di colpire insieme i gruppi islamisti, in sostanza ISIS e al-Nusra, da sempre la milizia più efficace sul campo contro il regime. La fattibilità dei raid russo-americani sulle postazioni di Jabhat Fateh al-Sham, il nuovo nome di al-Nusra, fino a poche settimane fa il braccio siriano di al-Qaida, è tutta verificare. Al-Nusra combatte insieme a molte altre fazioni ribelli. Difficile immaginare come si possa tenerle separate e come si possano evitare, in questi eventuali raid congiunti, altre vittime civili. In questi mesi Jabhat Fateh al-Sham è stata per esempio fondamentale nella resistenza al regime ad Aleppo.
Sul medio e lungo periodo, nel caso in cui la tregua dovesse reggere, c’è poi il solito problema dell’affidabilità del regime. Da una posizione di forza, grazie all’appoggio russo, Assad sarà disposto a fare concessioni politiche? Probabilmente no.
Infine c’è l’ostacolo della guerra regionale. In Siria s’incrociano interessi molteplici. Se si dovesse arrivare alla ripresa dei negoziati tra governo e opposizione bisognerà tenere in considerazione gli obiettivi dei tanti attori esterni, soprattutto Turchia, Arabia Saudita e Iran. Attori esterni che vorranno mantenere la loro influenza anche quando la guerra sarà finita. Motivo in più per dubitare che ci sia già un’intesa di massima sul futuro politico della Siria.
Tra gli elementi che non conosciamo c’è per esempio l’applicazione della tregua alle milizie sciite che appoggiano il regime, in testa gli Hezbollah libanesi, che sono state fondamentali nei successi del regime di questi ultimi mesi. Nella prospettiva di una possibile soluzione della crisi siriana questa tregua è un primo passo di un percorso che però ancora non si vede.