Le ultime notizie parlano di intensi combattimenti nei quartieri alla periferia est di Mosul. Le truppe speciali irachene sono appoggiate dalla coalizione internazionale anti-ISIS, guidata dagli Stati Uniti. Secondo alcuni testimoni sul posto nelle ultime ore ci sono stati diversi bombardamenti aerei.
La battaglia per Mosul e le scelte politiche che verranno fatte dopo la sua eventuale liberazione segneranno il futuro dell’Iraq e il destino dell’ISIS. Siamo di fronte a un momento cruciale per il Medio Oriente, ma ci sono ancora tante incognite.
Quella cominciata nelle scorse ore sarà una complessa guerriglia urbana strada per strada. La sensazione è che l’ISIS si sia ritirato sulla sponda ovest del fiume Tigri, che taglia in due Mosul. Quindi la vera e ultima battaglia per la seconda città irachena non sarebbe ancora iniziata. Stiamo ovviamente facendo delle ipotesi. Come già successo in questi due anni di Califfato è difficilissimo avere notizie dall’interno dello Stato Islamico.
Un’altra ipotesi è che l’ISIS decida di lasciare la città, per colpirla poi con attentati kamikaze. Ma questa strategia non sarebbe di facile realizzazione. Mosul è praticamente circondata. A ovest, verso il confine siriano (quella sarebbe la via di fuga), ci sono le milizie sciite. Oltre che da est l’esercito iracheno si sta avvicinando a Mosul anche da sud.
La campagna per strappare Mosul allo Stato Islamico, cominciata poco più di due settimane fa, sta procedendo più rapidamente del previsto. Il territorio sotto il controllo del Califfato si sta riducendo. I profughi iniziano ad arrivare nei campi allestiti nel Kurdistan iracheno. Esercito di Baghdad, Peshmerga curdi, milizie sciite e sunnite, si stanno avvicinando a Mosul su diversi fronti, con il fondamentale appoggio della coalizione internazionale a guida americana.
Come è già successo in Siria l‘ISIS sta perdendo terreno. Lo stato dichiarato nel 2014 su un territorio che cancellava il confine tra Siria e Iraq si sta gradualmente riducendo. A Mosul sarebbero stati mandati a combattere anche diversi miliziani siriani. I loro cadaveri sarebbero rientrati nei giorni scorsi a Raqqa, la capitale del Califfato.
Proprio Raqqa, nel nord-est della Siria, dovrebbe essere la prossima tappa della campagna anti-ISIS. Probabilmente una volta liberata Mosul, alcuni dicono anche prima. Il Pentagono ha fatto capire che si tratterebbe di settimane. La Turchia, il principale sponsor dell’opposizione siriana, ha già detto che ci sarà, gli americani sperano di poter tenere insieme curdi e ribelli anti-Assad (che si stanno facendo la guerra in altre zone nel nord della Siria), anche le milizie sciite irachene sarebbero pronte ad andare a combattere contro lo Stato Islamico a Raqqa.
Non dimentichiamo che in Siria ci sono già milizie sciite che combattono al fianco del regime. La guerra all’ISIS conferma quindi come i conflitti in Medio Oriente siano conflitti ad alleanze variabili. Non ci sono fronti chiari e continui. Chi combatte insieme da una parte molte volte si fa la guerra dall’altra. Queste divisioni, fratture, spaccature, sono armi potentissime nelle mani dello Stato Islamico. L’ISIS sta perdendo terreno e continuerà a farlo, che la battaglia per Mosul duri ancora giorni, settimane o mesi. Ma questo non vuol dire che l’ISIS stia per essere sconfitto. La forza militare arriva solo fino a un certo punto. L’ISIS ha dimostrato più volte in passato di poter rinascere dalle sue ceneri. E lo potrebbe fare tranquillamente anche adesso, sia in Iraq che in Siria.
Le domande sono molte. Cosa succederà in quei territori dopo l’ISIS? Chi governerà Mosul? Chi garantirà la convivenza tra sunniti, sciiti e curdi? Chi cercherà un accordo tra le diverse fazioni dei sunniti iracheni? E cosa succederà a Raqqa?
Da oltre un anno l’ISIS punta sugli attentati kamikaze, proprio perché materialmente non si può permettere un’altra strategia. La trasformazione per la sua sopravvivenza è già cominciata. Adesso bisogna capire cosa si farà sull’altro fronte. Senza una precisa strategia politica l’ISIS potrebbe infatti tornare, a cominciare da quei territori che oggi sta perdendo.