Il fallito golpe in Turchia è stato il prodotto dello storico contrasto tra l’esercito, che si fregia da sempre di essere il custode della laicità dello stato, e il regime di Erdogan che da dieci anni almeno conduce una guerra sotterranea, ma anche palese, contro i generali.
L’ha vinta il Sultano che dopo essere riuscito a lanciare un appello ai suoi fedeli (i vertici della polizia e alcuni importanti settori della società) attraverso un discorso con un telefonino che la CNN ha diffuso in onda.
Erdogan ha incassato nella serata del golpe e nelle prime ore del mattino successivo l’appoggio dell’Europa, degli Stati Uniti, addirittura della Russia con la quale la Turchia aveva duellato nei cieli della Siria e poi sul piano diplomatico.
Nessuno poteva permettersi di appoggiare un golpe, ma quasi certamente in molti hanno visto nel golpe una possibilità di scongelare la guerra in Siria e di rivedere gli equilibri regionali e i contrasti tra Arabia Saudita e Qatar da una parte e paesi come Egitto e Iran.
Niente di tutto questo. Erdogan ha ripreso in mano le redini del potere e il golpe, paradossalmente, lo ha rafforzato.
Addirittura con la vittoria sui golpisti Erdogan è riuscito a far passare in secondo piano alcuni suoi punti deboli: per esempio il sospetto sostegno allo Stato Islamico in Siria e l’acquisto di petrolio da Al Baghdadi attraverso le frontiere con la Siria.
Infine questo golpe e la vittoria di Erdogan mostrano che comunque il suo regime ha un sostegno popolare. Significative le immagini, ieri sera, della popolazione disarmata che si oppone su un ponte sul Bosforo ad una unità di golpisti con i carri armati e che, alla fine li costringono alla resa.