Oggi è venerdì. In Turchia, come in tutti i Paesi islamici, è giorno di preghiera. Il primo venerdì dopo il tentato colpo di Stato. Durante il golpe, la notte tra venerdì e sabato della scorsa settimana, le moschee avevano invitato la gente a scendere in piazza contro i golpisti e a favore del presidente Recep Tayyip Erdogan. Insieme al messaggio video via iphone dello stesso presidente turco uno dei passaggi che hanno tenuto in piedi il governo di Ankara.
Da quando è al potere Erdogan ha usato l’Islam anche come strumento per consolidare il suo potere. E molti temono che a un certo la repressione di questi giorni contro gli oppositori possa colpire anche chi non segue la religione islamica.
A metà giornata la Moschea di Haci Bayram, la più antica e importante moschea di Ankara nel quartiere di Ulus, è piena di gente. All’interno non c’è più spazio. Molti pregano fuori. Gli uomini da una parte le donne dall’altra. Gli altoparlanti trasmettono la voce dell’imam. La presenza della polizia è molto discreta. Non sembra certo di essere in un Paese in stato d’emergenza.
Questo per la Turchia non è un venerdì come tutti gli altri. Per la prima volta gli imam possono condannare ufficialmente il colpo di Stato e la gente può ringraziare Allah perché il governo non è stato rovesciato. Quasi tutte le persone che sono qui sostengono Erdogan.
“Erdogan garantisce la nostra democrazia – ci dice un signore mezza età che ha molta voglia di parlare – e poi lo ha votato il 52% dei turchi”. Gli chiediamo come risponde a chi teme che il governo usi la religione islamica per arrestare altri oppositori. “Non è vero, come pensate voi in Europa, che Erdogan stia discriminando i non islamici. In Turchia puoi essere di qualsiasi religione. Le minoranze vengono sempre tutelate”.
In queste ore, almeno sul grande spiazzo alberato davanti alla più antica moschea di Ankara, l’oggetto di discussione è uno solo: il presidente turco è un vero salvatore. Ne stanno parlando anche alcune donne sedute sotto un albero, l’unico modo per sfruttare la poca ombra disponibile. “Erdogan – ci spiega una signora anziana – è il miglior presidente che io possa avere. Garantisce la mia religione e mi permette di fare una vita decente. Prima di lui non avevo nemmeno i soldi per comprare un vestito. Speriamo che adesso riesca a sradicare tutta la cricca di Fetullah Gulen”.
I luoghi di culto sono fondamentali per la popolarità di Erdogan. Il presidente ha usato a suo favore una struttura, le moschee controllate dalle Stato, che è sempre esistita nella repubblica turca. L’imam della moschea di Haci Bayram, come gli imam di tutte le moschee del paese, ha letto una preghiera scritta da Diyanet, l’Agenzia Governativa per gli Affari Religiosi, che controlla le moschee turche. La preghiera condanna gli autori del colpo di stato, ringrazia Allah per aver salvato la democrazia, e chiede alla gente di pregare per i martiri morti nei giorni scorsi per difendere il paese.
Lasciamo la moschea e andiamo all’Università di Bilkent, la più importante Università privata di Ankara, che sorge all’interno di un enorme parco alla periferia della città. Il nostro obiettivo è capire quale sia il legame tra Erdogan, Islam e potere.
Ci facciamo aiutare da Berk Esen, un giovane docente di Scienza politica e relazioni internazionali, molto critico con il governo. “Erdogan ha sempre usato l’Islam per mobilitare le masse e in questi ultimi anni di crisi economica per mantenere le sua base sociale, soprattutto quando ha dovuto prendere decisioni impopolari. Ma non sta costruendo uno stato islamico. Non eliminerà le politiche secolari, non potrebbe farlo. Il suo non è un discorso radicale. Sono molto più radicali alcuni suoi seguaci. È molto evidente nelle piazze di questi giorni”.
Nonostante il momento Berk Esen ci parla liberamente e ci spiega che fa lo stesso anche quando ha lezione con gli studenti. Gli chiediamo come sia possibile spiegare la stretta di questi giorni. “La Turchia è uno Stato sempre più autoritario, io lo definisco un regime ibrido, dove la democrazia è quasi scomparsa. Ma qui l’Islam non c’entra. Sei a rischio se critichi il governo, non se non sei islamico. A Erdogan importa solo una cosa: la fedeltà. Se nel tuo lavoro e nella tua vita pubblica non prendi posizione, o ancora meglio se sostieni il governo, non avrai mai alcun problema, anche se non sei di religione islamica”.
La repressione quindi andrà avanti. Ma il governo turco – a differenza di quello che pensano molti in Occidente – non la farà in nome dell’Islam.