A 48 ore dal tentato colpo di Stato in Turchia, c’è un acceso dibattito tra chi sostiene che si sia trattato di un golpe fasullo, orchestrato dallo stesso Erdogan per poter epurare ulteriormente forze armate e magistratura, e chi invece è convinto che i nemici di Erdogan abbiano semplicemente fatto degli errori di valutazione.
Probabilmente la verità non la sapremo mai. Quello che è certo è che oggi la Turchia è ancora più instabile e la sua instabilità è una brutta notizia per il Medio Oriente e per l’Europa. Insomma, anche se sul breve periodo il colpo di stato ha rafforzato il presidente turco, consentendogli di far fuori altri avversari, sul lungo periodo non favorisce nessuno.
La Turchia è sempre più fragile. Le spaccature interne sono sempre più profonde. La situazione nel nord della Siria, dove la Turchia esercita una discreta influenza, sarà ancora più confusa. E l’Europa, che puntava su Ankara per controllare il flusso di migranti, avrà di fronte un interlocutore ancora più imprevedibile. Da ultime sono arrivate anche le frizioni con gli Stati Uniti, un alleato importante per i turchi all’interno della NATO.
Sul fronte interno il colpo di Stato e le manifestazioni che ne sono seguite hanno alimentato ulteriormente le differenze tra i sostenitori e gli oppositori di Erdogan e hanno mostrato come le tensioni possano facilmente degenerare in violenze. Nessuno pensa che il paese possa sprofondare in una guerra civile, ma di sicuro la crescente instabilità sta creando un clima nel quale diversi soggetti si sentiranno legittimati a fare uso della violenza. Tutto questo in un paese dove c’è già una guerra tra l’esercito e i curdi del PKK e dove sono presenti molte cellule dell’ISIS.
Sul fronte internazionale le cose non vanno meglio. Oltre a essere il famoso ponte tra Europa e Asia la Turchia confina tra gli altri con Siria, Iraq e Iran, tre Paesi che per diversi motivi sono molto importanti in Medio Oriente. Una politica poco chiara e un organigramma del potere che viene continuamente modificato non fanno altro che indebolire l’immagine della Turchia, fino a pochi anni fa considerato l’unico Paese in grado di portare stabilità in Medio Oriente.
In questi anni uno degli errori più gravi di Ankara è stato quello di avere una politica ambigua nei confronti dell’ISIS e dei gruppi dell’estremismo islamico. Usati contro il regime siriano ma poi diventati una minaccia anche per lo stato turco. Gli attentati dell’ultimo anno lo dimostrano.
Nell’immediato, il prezzo più alto di questa crescente instabilità la pagheranno i cittadini turchi, per i quali il boom economico è ormai un ricordo del passato. Sul medio e lungo periodo, invece, bisognerà mettere in conto anche una maggiore instabilità regionale e la perdita di un interlocutore per i governi occidentali, che hanno dimostrato più volte di non saper anticipare e interpretare quello che stava succedendo in Medio Oriente.