“No, la rivoluzione non è compiuta. Restano ancora molte cose da fare”. Ne è convinta Amira Yahyaoui, l’attivista tunisina che ha fondato la Ong Al Bawsala per monitorare la situazione dei diritti umani nel Paese. Proprio lei, che è stata perseguitata dal regime di Ben Ali, bandita per quattro anni dalla sua casa e arrivata clandestinamente in Francia, è stata protagonista della prima edizione del Festival dei diritti umani.
Durante la seconda giornata di incontri, Amira ha portato la sua testimonianza di attivista, ma prima di tutto di donna impegnata nella società civile e spinta, mai come ora, a portare avanti il processo di democratizzazione della Tunisia. “Il ruolo delle donne nella politica è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni – ha raccontato Amira – e più del 30 per cento del parlamento è composto da donne, ma ora dobbiamo conquistarci un posto nel mondo degli affari, dove si concentra effettivamente il potere. E poi c’è da portare avanti ancora la rivoluzione, intesa come cambiamento”.
Per Amira, quella che è stata definita dai media “rivolta dei gelsomini” ha funzionato, certo, perché il popolo ha conquistato una nuova Costituzione più progressista, ma il sogno non è ancora esaudito. “Abbiamo bisogno di formare una nuova generazione di politici – ha specificato – che combatta davvero la corruzione e che accetti quelle che sono le richieste sui diritti sociali di tutti”. Negli ultimi cinque anni in Tunisia si è lavorato molto per i diritti umani, ma la situazione è ancora molto complicata, per esempio, per la comunità LGBT, perseguitata e non riconosciuta. E al Bawsala si è impegnata molto per questo problema. “Sto tentando di fare pressione sul governo tunisino e sui nostri partner al livello internazionale – ha aggiunto Amira – per essere più dalla loro parte, in generale dalla parte dei diritti umani e non dei soldi”.
Ha un sorriso dolce, Amira, e se non la si conosce, appare quasi una ragazzina che si prepara ad affrontare il mondo. E forse è proprio questa una delle sue carte vincenti, perché poi, con la grinta e l’esperienza, all’improvviso stupisce e colpisce. Lei il mondo, invece, lo ha conosciuto bene e sa quali sono le difficoltà di chi combatte per un ideale e si scontra contro un tiranno per portare avanti le sue battaglie. Oggi ha avuto il suo riscatto, perché con la sua Ong ha vinto il premio Vital Voices global trailblazer come “Women Transforming the Middle East and North Africa”, il premio norvegese Linderbraeke per i diritti umani e il premio sulla prevenzione dei conflitti dalla fondazione francese Chirac. Inoltre, è stata classificata da una rivista araba di business come una delle donne arabe più potenti e da Jeune Afrique come una delle donne africane più influenti. “Sono contenta perché il mio sogno era quello di costruire la città, non di lottarle contro – ha raccontato – e ora il mio obiettivo è quello di vedere la mia terra agli stessi livelli dell’Italia, più o meno, o anche meglio”.
Certamente la Tunisia ha bisogno ancora di lavorare su se stessa e, soprattutto in questo momento, deve difendersi dal terrorismo islamico. La minaccia non arriva solo dai jihadisti dell’Is ma, come ha confermato Amira, anche dai vecchi sostenitori del regime che vogliono far apparire la democrazia come un qualcosa di fallace, che non sa arginare la il pericolo. “Quindi per noi, adesso, c’è un doppio lavoro. Da un lato dobbiamo lottare per andare avanti e dall’altro dobbiamo combattere per non tornare indietro”.