Donald Trump, nel firmare l’ordine esecutivo che fa partire la costruzione del muro con il Messico, ha detto che gli Stati Uniti si trovano nel mezzo di una “crisi epocale” a causa dell’immigrazione. “La costruzione inizierà immediatamente – ha spiegato il presidente -. Ne abbiamo bisogno in modo così disperato. Voi tutti sapete quale aiuto può portare un muro”.
Collegato all’ordine esecutivo sul muro, Trump ne ha firmato un altro, che prevede il taglio dei finanziamenti federali a quelle città, definite “sanctuary cities”, che non seguono le direttive del governo federale in tema di immigrazione. Tra queste ci sono New York, Los Angeles, Denver, Chicago, Washington D.C., restie soprattutto a consegnare gli illegali agli agenti federali per la deportazione.
La firma dei due ordini esecutivi si è svolta nell’edificio del Department of the Homeland Security; un contesto che è servito a Trump per riaffermare, anche simbolicamente, la sua lotta contro l’immigrazione illegale. Oltre le prese di posizione simboliche, e le dichiarazioni di facciata, è però interessante capire quanto realistica è davvero la costruzione del muro.
A parte problemi politici non indifferenti – nelle stesse ore in cui Trump firmava l’ordine, Luis Videgaray, il ministro degli esteri messicano, arrivava a Washington per colloqui; Videgaray ha già fatto sapere che la scelta di costruire un muro potrebbe influire sulla rinegoziazione del Nafta – sono soprattutto le questioni economiche e logistiche a costituire un problema non indifferente.
Anzitutto, c’è il tema di chi pagherà per il muro. In campagna elettorale, Trump ha spesso detto che il muro l’avrebbero pagato i messicani. Di fronte al netto no del presidente Enrique Peña Nieto, Trump e i suoi hanno rivisto la proposta. Il muro verrà pagato con i soldi dei contribuenti americani, che però dovrebbero solo anticipare la spesa. Questa, come ha ripetuto Trump in un’intervista trasmessa in queste ore da ABC, sarà alla fine “rimborsata al 100 per cento dai messicani… attraverso qualsiasi transazione che noi faremo con il Messico”.
Lo stesso Trump, nei mesi scorsi, ha fatto anche balenare i modi in cui questo rimborso potrebbe essere effettuato: si pensa a forme di tassazione più alta per le merci che entrano negli Stati Uniti dal Messico; o imposte più alte sulle rimesse che i messicani che vivono e lavorano negli Stati Uniti mandano nel Paese d’origine. Ma, appunto, non si tratta di una certezza. Si tratta di una promessa di Trump, che chiede di credere alla sua parola senza che vi sia nulla di stabilito con il governo messicano.
C’è poi l’enorme problema dei costi del progetto. Anche qui, Trump la fa molto facile. Il nuovo presidente ha previsto una spesa di 8-10 miliardi di dollari. Il Government Accountability Office ha da parte sua spiegato che ogni miglio di muro di frontiera dovrebbe costare tra i 2,8 e i 3,9 milioni di dollari ogni miglia “su un terreno pianeggiante” (le miglia del confine sono 2000). Ma il terreno, come vedremo, non è pianeggiante e le difficoltà di costruzione saranno imponenti.
Stime più realistiche parlano di una spesa di circa 30 miliardi di dollari. Per un’opera di questo tipo, saranno infatti necessari almeno 4 miliardi di dollari in cemento e 6 miliardi di dollari in acciaio (che dovranno essere trasferiti in zone spesso poco ospitali o inaccessibili). Un’opera di questo tipo necessiterà ovviamente di anni di lavoro – almeno 5 – e di una manodopera di 40mila persone. La cosa paradossale è che saranno proprio compagnie messicane – per esempio Cemex – a fornire uomini, materiali, mezzi per la costruzione. E quindi saranno i messicani ad arricchirsi.
Per finire, c’è poi il tema delle difficoltà logistiche. Il confine tra Stati Uniti e Messico attraversa aree metropolitane come El Paso–Ciudad Juarez e San Diego-Tijuana; zone rurali, fiumi, deserti, catene montuose e parchi nazionali. Non sarà facile costruire una struttura omogenea su un territorio così diverso. Delle circa 2000 miglia di confine, 653 sono peraltro già in qualche modo dotate di reticolati e sistemi di protezione costruiti a partire dalla fine degli anni Novanta e implementati durante le amministrazioni di George W. Bush e Barack Obama. Anche qui, si tratterà di uniformare il muro già esistente con quello in costruzione.
Infine, esiste già un accordo firmato da Stati Uniti e Messico nel 1970, che stabilisce cosa è possibile costruire e cosa no al confine. Per esempio, sul confine non è possibile elevare alcuna struttura che blocchi il regolare corso dei fiumi. E tutta la frontiera tra Texas e Messico è segnata da un fiume, il Rio Grande.
Il muro può dunque essere “un grande, bellissimo muro”, secondo l’espressione di Donald Trump. Molto difficile, e faticoso, sarà però costruirlo.