Questa, forse, non se l’aspettava.
Donald Trump non si aspettava che lo scontro con i genitori di un soldato musulmano ucciso in Iraq si trasformasse nella prima vera crisi della sua campagna presidenziale. E invece è così. Tutto il mondo politico, democratico e repubblicano, tuona contro Trump. Ma questa volta l’indignazione della politica non sembra tramutarsi in un vantaggio di Trump in termini di opinione pubblica.
La storia parte dall’ultimo giorno di Convention democratica, quando sul podio salgono Khizr Khan e sua moglie Ghazala. La coppia aveva un figlio, Humayun, ucciso in Iraq nel 2004. Il ragazzo, un capitano di 24 anni, è morto per l’esplosione di un’autobomba, dopo aver messo al sicuro i commilitoni.
I coniugi Khan dicono di “essere onorati di trovarsi alla Convention in quanto genitori… di un musulmano patriota con un’eccezionale lealtà al suo Paese”. L’uomo ricorda che Hillary Clinton ha definito il figlio “il meglio d’America” e poi si lancia nell’attacco a Donald Trump: “Se fosse per Donald Trump, Humayun non sarebbe mai stato in America. Trump offende continuamente il carattere dei musulmani. Non mostra alcun rispetto per le altre minoranze, per le donne, per i giudici, persino per i leader del suo stesso partito”. In un crescendo sempre più emotivo, Khan tira fuori dalla tasca una copia della Costituzione statunitense e chiede a Trump: “L’hai mai letta? Ti presto volentieri la mia copia. In questo documento, cerca le parole “libertà” ed “eguale protezione della legge”. Pochi giorni prima il candidato repubblicano aveva promesso di voler difendere “l’articolo 12 della Costituzione”, che peraltro non esiste.
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E’ stato, quello di Khan, l’intervento forse più carico di pathos della Covention; quello che rimarrà più a lungo nella memoria.
Donald Trump ha ovviamente risposto com’è sua abitudine. Attaccando. Sparandola grossa. Ha accusato il padre del ragazzo ucciso di essere manovrato dalla campagna di Hillary Clinton: “Il discorso gliel’hanno scritto gli speechwriters di Clinton”. Ha fatto notare che la madre del ragazzo è rimasta tutto il tempo accanto al marito, senza parlare: “Probabilmente, non le è stato consentito parlare“, ha spiegato, alludendo al fatto che la famiglia è di fede musulmana. Poi, all’accusa di “non aver sacrificato niente, e nessuno”, Trump ha risposto che lui in realtà di sacrifici ne ha fatti: “Ho costruito case e ho dato lavoro”.
E’ a questo punto che scoppia il caso. Da una chiesa di Cleveland, Hillary Clinton accusa Trump di aver mostrato scarso rispetto per i Khan e per le tradizioni americane di tolleranza religiosa. “Che cosa ha dovuto subire Khan? – si è chiesta Clinton-. Insulti, commenti degradanti sui musulmani, una totale incomprensione di cosa rende grande il nostro Paese”.
Hanno risposto anche i due genitori. Khizr Khan ha affermato che Trump manca del carattere morale e dell’empatia basilare per diventare presidente. “Imploro i patrioti americani che voterebbero probabilmente per Trump a novembre: non votate per l’odio, non votate per chi solleva paure. Votate per la bontà di questo Paese. Votate per la libertà”. In un pezzo sul “Washington Post”, Ghazala Khan ha spiegato di non aver potuto parlare perché sopraffatta dall’emozione: “Tutto il mondo, tutta l’America sente il mio dolore… Donald Trump ha dei figli che ama. Ha davvero bisogno di chiedersi perché non ho parlato?”
Le reazioni negative non sono venute soltanto dal campo democratico. Il senatore repubblicano del South Carolina, Lindsey Graham, ha criticato Trump, spiegando che”stiamo toccando una sfera mai toccata prima: quella dei genitori dei caduti”. Stessa condanna da parte di un deputato repubblicano del Colorado, Mike Coffman, secondo cui Trump avrebbe “mancato di onorare i sacrifici dei nostri soldati coraggiosi persi in guerra”.
Dopo l’esplosione del caso, Trump ha tentato un, almeno parziale, passo indietro. Ha detto che Humayun è “un eroe”, che il padre l’ha però “malevolmente attaccato”, costringendolo a reagire.
La risposta è parsa debole.
Per la prima volta da mesi, Trump è davvero in difficoltà. In realtà, lo stereotipo etnico lo aveva già usato in almeno un’altra occasione: quando aveva attaccato un giudice federale, Gonzalo P. Curiel, per “le sue origini messicane”. Questo caso è però sostanzialmente diverso. La battuta con un forte risvolto di pregiudizio viene rivolta contro la famiglia di un soldato ucciso in guerra e decorato al valor militare: un simbolo ben più sacro, per l’immaginario collettivo americano, rispetto a un semplice giudice.
Negli ultimi giorni, del resto, Trump e il suo team stanno cercando di rivedere, rendendola meno etnicamente orientata, anche la proposta del bando ai musulmani. Trump non parla più di Islam, quanto piuttosto di bandire quelli che “arrivano da aree a rischio”. Il criterio etnico-religioso è quindi diventato geografico.
La vicenda del soldato Khan rivela però quanto difficile sia, per lo stesso Trump, gestire la radicalità di certe affermazioni fatte durante le primarie. E’ anche il contesto che è mutato. Se, durante le primarie, il referente delle affermazioni di Trump era il popolo repubblicano, ora è l’elettorato più generale che lo ascolta e giudica.
C’è infine un altro tema, che probabilmente dovrà essere preso in considerazione dal team Trump nel proseguio della campagna. Le dichiarazioni esplosive, la retorica che spazza via codici di comunicazione consolidati, valgono quando prendono di mira la vecchia politica o il sistema dell’informazione mainstream. Quando invece il furore retorico si scontra con la vita e il dolore veri, anche Trump appare drammaticamente falso e fuori tono.