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Sì al waterboarding per i presunti terroristi

Il waterboarding? Si può. Anzi, si deve.

E’ quello che sembrano pensare i due candidati repubblicani alla presidenza 2016, Donald Trump e Ben Carson.

Dopo gli attacchi di Parigi, Trump ha detto a ABC che, nel caso diventasse presidente, “riporterebbe assolutamente in auge il waterboarding“, la pratica di “interrogatori avanzati”, come veniva chiamata ai tempi di George W. Bush, che consiste nell’immobilizzare un detenuto durante gli interrogatori, con i piedi più in alto rispetto al volto, innaffiandolo quindi abbondantemente d’acqua per dargli l’impressione dell’annegamento.

“Non usano il waterboarding in quei posti”, ha spiegato il magnate americano, alludendo alle terre sotto il controllo dell’ISIS. “Quello che fanno è tagliare le teste… Sono abituati ad annegare la gente… li mettono in gabbia e poi li annegano nell’oceano e quindi li tirano fuori dalla gabbia”.

Trump ha anche aggiunto che il waterboarding equivale a “noccioline, rispetto a quello che loro fanno a noi”. Il candidato repubblicano ha anche ricordato la fine del giornalista, e ostaggio dell’ISIS, James Foley, ucciso proprio attraverso la decapitazione.

Anche Ben Carson è apparso poco dopo sugli schermi di ABC. Alla richiesta di commentare le dichiarazioni di Trump, il neurochirurgo ha detto: “Sono d’accordo sul fatto che non esista la correttezza politica, quando si tratta di combattere un nemico che vuole distruggerti”.

Il waterboarding è stato usato dall’amministrazione di George W. Bush tra il 2002 e il 2003 contro almeno tre sospetti terroristi: Khalid Sheikh Mohammed, una delle menti dell’11 settembre, Abu ZubaydahAbd al-Rahim al-Nashiri. Mohammed fu soggetto all’annegamento simulato per almeno 183 volte.

George Bush sospese la pratica nel 2006, ma negli anni successivi diversi esponenti dell’amministrazione americana hanno difeso la pratica. Per il vice-presidente Dick Cheney, “un tuffo nell’acqua non è una forma di tortura… ma è uno strumento importante per ottenere informazioni vitali nella lotta al terrorismo”.

Trump e Carson sono i due candidati alle primarie repubblicane più lontani dall’establishment del partito. Il loro essere outsider lontani dalla politica ufficiali ha sinora pagato. In gran parte dei sondaggi effettuati nel mese di novembre, Trump si trova al 32 per cento circa dei consensi, tra gli elettori repubblicani delle primarie. Carson lo segue con il 22 per cento. Lontano terzo, con l’11 per cento dei consensi, è Marco Rubio, il senatore della Florida su cui l’establishment del partito repubblicano punta molto.

Soprattutto Trump ha costruito gran parte della sua campagna sulla minaccia terrorismo e sulla necessità di rafforzare i  controlli alla frontiera con il Messico per evitare l’arrivo dei migranti. Tra le sue prime proposte, l’estate scorsa, c’è stata la costruzione di un “muro” al confine meridionale. La sua affermazione, secondo cui il Messico manda negli Stati Uniti “i suoi peggiori criminali” ha sollevato le proteste ufficiali del governo di Città del Messico.

Le parole di Trump possono aver sollevato un polverone diplomatico, ma hanno pagato dal punto di vista politico. Oggi il 40 per cento degli elettori delle primarie repubblicane dice di fidarsi del magnate dell’immobiliare in fatto di terrorismo, contro il 18 per cento che invece preferisce Jeb Bush.

Sull’onda di affermazioni e proposte shock, che hanno spesso sollevato reazioni negative e preoccupate della dirigenza repubblicana, Trump è andato avanti. Dopo i fatti di Parigi, a George Stephanopoulos di ABC, ha detto di non escludere “un database che identifichi tutti i musulmani americani”.

Sulle moschee presenti in territorio americano, ha spiegato che “non intende chiuderle, ma qualcosa va fatto”. Per rimarcare poi la radicale alterità che a suo parere esiste tra l’American Way of Life e i musulmani, Trump ha raccontato di “aver visto migliaia e migliaia di persone festeggiare mentre le Due Torri venivano giù. Era in televisione. Li ho visti”.

Trump fa probabilmente riferimento al fatto che immediatamente dopo la distruzione delle Torri Gemelle, ci furono notizie non confermate su manifestazioni di entusiasmo della comunità musulmana di Newark e Paterson. Da allora, le voci sono state più volte smentite. In risposta a Trump, il sindaco di Jersey City, Steven Fulop, ha detto che il candidato repubblicano “si sbaglia, e sta vergognosamente politicizzando una questione così piena di risonanze emotiva. Nessuno a Jersey City festeggiò l’11 settembre. Fummo anzi noi a fare arrivi i primi aiuti”.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    E’ stata una giornata di scambi di dichiarazioni all’insegna dell’apertura e della cordialità tra Trump e Putin, sull’Ucraina. Ha iniziato il presidente Usa: “abbiamo avuto delle discussioni molto buone e produttive ieri con Vladimir Putin e ci sono ottime possibilità che questa orribile e sanguinosa guerra possa finalmente giungere alla fine". Gli ha risposto Putin: “Trump sta facendo di tutto per ripristinare i rapporti con noi anche se è un processo non facile per non dire complicato”. Trump poi ha chiesto a Putin di non massacrare i soldati ucraini nel Kursk e Putin ha risposto che gli ucraini nel Kursk devono deporre le armi. Kiev si è fatta sentire affermando che le sue truppe nel Kursk non sono accerchiate. E Zelensky ha accusato Putin di voler boicottare la tregua. Una giornata di parole insomma, in attesa degli sviluppi reali. Gianluca Pastori, professore di relazioni internazionali alla Cattolica di Milano.

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