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Appunti sulla mondialità

G7 e Global Tax: governare la globalizzazione? L’attivismo geopolitico

Evento epocale o solo un primo passo? I giudizi sulla proposta di introdurre una global tax sui profitti aziendali che i ministri dell’Economia del G7 presenteranno al prossimo G20 e all’OCSE sono diversi. Andando per ordine, da un lato è vero che si introduce il concetto di “tassa mondiale” prendendo atto, in grande ritardo, che la globalizzazione non può essere governata da un singolo Stato ma deve essere gestita in modo multilaterale. E questo dato è senza dubbio epocale.

Dall’altro lato, i critici mettono in discussione l’aliquota al 15% della tassazione, considerata un compromesso al ribasso rispetto al 21% proposto da Joe Biden. In effetti, il 15% si avvicina molto al 12,5% applicato dall’Irlanda, che è uno dei Paesi con la tassazione corporate più bassa. Inoltre c’è da considerare che la proposta deve essere ancora approvata dal G20 e dall’OCSE, e poi bisognerà trovare una formula che permetta di varare in contemporanea la stessa legge almeno nei 38 Paesi dell’OCSE. Soprattutto, rimane aperta una questione tecnica di portata gigantesca che riguarda la soglia dell’area “no tax”. Nella sua formulazione attuale, infatti, la tassa si applicherebbe solo alle aziende con margini di profitto sopra il 10% rispetto al fatturato: una soglia che raramente le grandi multinazionali superano. Ad esempio Amazon nel 2020, il suo anno “straordinario”, ha registrato un margine di profitto pari al 6,2%: ad anni luce dalla soglia minima. E le pochissime imprese che oggi superano la soglia del 10% lavorerebbero con i consulenti fiscali per “limarla”, così da restare nell’area “no tax”.

Il problema vero, quindi, non è l’aliquota del 15%, ma il fatto che i grandi gruppi – quelli che si vorrebbe colpire – raramente ufficializzano percentuali di redditività tali da far entrare in gioco la global tax, almeno così com’è prevista. Un pronostico semplice è che alla fine, se dopo il lungo iter questa proposta sarà approvata, i soldi veri che entreranno nelle casse degli Stati dove le multinazionali producono reddito saranno molto pochi, quasi nulla. Eppure il segnale dato dal G7 è importante lo stesso, perché suona come una sorta di avvertimento ai grandi operatori economici. Soprattutto, è importante perché arriva dal Paese che fino a pochi mesi fa, con la presidenza Trump, sabotava tutti gli organismi multilaterali e qualsiasi tentativo di intesa tra Stati. Se gli Stati Uniti decidono che la globalizzazione va governata, ci sono buone chances che qualcosa succeda.

Simbolicamente si segna un precedente inedito, che oggi vale per il fisco e domani potrebbe valere per l’ambiente, l’altro grande fronte sul quale l’azione isolata dei singoli Stati non può portare ad alcun effetto. Anche sul cambiamento climatico poco si è fatto negli ultimi quattro anni perché gli USA “negazionisti” di Donald Trump hanno boicottato qualsiasi iniziativa multilaterale. Uno scossone unitario su questo tema potrebbe, almeno a livello simbolico, far capire che si vuole voltare pagina anche qui. Per non parlare di democrazia e diritti umani, ma ora scivoliamo nell’utopia.

Comunque sia, la proposta del G7 sulla global tax non è “epocale”, ma nemmeno “poca cosa”. È un segnale di un nuovo approccio alla globalizzazione, accelerato dalla pandemia. Gli Stati si sono indebitati, hanno finanziato la ricerca e acquistato apparecchiature mediche, hanno firmato contratti a scatola chiusa per miliardi di dosi di vaccini, si sono fatti carico dei lavoratori e delle aziende costrette alla chiusura: ora hanno bisogno di passare il conto. Per necessità, si arriva a imporre regole fiscali anche a chi finora ne era stato esentato. Qualcosa che doveva succedere da tempo, ma che la pandemia ha reso urgente, fornendo alla politica l’alibi per riprendersi qualcuno dei poteri che aveva man mano abbandonati negli anni, e anche per recuperare il suo ruolo redistributivo.

 

Interpretare, informare, controllare è compito da sempre del giornalismo indipendente. Sui temi della globalizzazione ci sono maree di fake news e di narrazioni di parte che fanno da cornice a un fenomeno complesso e contraddittorio. Lo sforzo di programmi come Esteri di Radio Popolare è quello di fornire le informazioni necessarie perché ciascuno possa formarsi una propria idea e, volendo, diventare un “attivista geopolitico”. Cioè una persona che attivamente diffonde le informazioni alle sue cerchie e che fa anche delle scelte ad esempio in quanto consumatore.

Sto portando avanti uno dei primi progetti di attivismo geopolitico con OGzero (Orizzonti geopolitici 0) che vi invito a conoscere e sostenere:

 https://www.produzionidalbasso.com/project/siamo-gia-oltre-partecipa-al-progetto-di-attivismo-geopolitico/ 

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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In alto a sinistra

Cari compagni interisti vi scrivo…

Cari compagni interisti,

ve lo devo proprio dire: io (un pochino) vi invidio. Non certo per la fresca vittoria della scudetto. Di quelli, noi juventini, ne abbiamo a bizzeffe (giusto per fare un confronto, il diciannovesimo scudetto lo abbiamo vinto nella stagione 1980-1981, quando si poteva avere un solo straniero, preistoria!) e ne cederemmo volentieri cinque o sei in cambio di una bella coppa dalle grandi orecchie.

No, l’invidia è perché, checché ne diciate, voi non sapete cosa vuol dire soffrire veramente (calcisticamente parlando). Vi ammantate di epica della sofferenza, ma non ne conoscete il vero significato. Quello è appannaggio di noi, juventini di sinistra, forse in parte accomunati in questo dai vostri cuginastri rossoneri (nel lungo periodo berlusconiano).

Provo a spiegarvi cosa intendo: voi vi beate della vostra “pazza Inter”, delle partite (vinte o perse) all’ultimo secondo, dei match al cardiopalma etc… ma non potete capire la sofferenza profonda che prova un compagno juventino.

Avete un mucchio di cose con cui potete consolarvi.

Avete il vostro rosario laico “Sarti, Burgnich, Facchetti…”. Io, per ragioni anagrafiche, la prima formazione juventina che ricordo a memoria è quella “Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Bettega, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek”. Capite? Avevo il poster di Bettega in camera, lo adoravo, e poi mi è diventato uno della Triade, con Moggi e Giraudo. Un trauma difficilmente superabile. E Platini? Le Roi Michel, poi mi diventa presidente Uefa e fa quel che fa. Cabrini mi si candida con l’Italia dei Valori (l’Italia dei valori!). Insomma, una delusione dietro l’altra.

Voi avete il triplete, il mai in B… Io ho la serie B post calciopoli e le sconfitte in finale di Champions. Mi ricordo ancora bambino le lacrime dopo la finale di Atene e il gol di Magath. Sorvolo sull’Heysel perché quella fu solo una tragedia. Arriviamo al 1996, Gianluca Vialli solleva la coppa a Roma, dopo la vittoria contro l’Ajax e io dove sono? Ventunenne militante politico probabilmente quella sera stavo organizzando la rivoluzione in qualche scantinato, e ero ebbro della retorica del “calcio oppio dei popoli, strumento del capitale etc…”. Insomma, niente festeggiamenti. Poi mi ravvedo, e capisco che il calcio è popolo. E cosa mi aspetta? La sconfitta a Monaco contro il Borussia Dortmund. L’anno successivo, quella contro il peggior Real Madrid dell’ultimo secolo (tra l’altro con gol in evidente fuorigioco). Poi la finale di Manchester, contro il Milan (ero allo stadio a Torino nella meravigliosa semifinale contro il Real Madrid, quando Nedved su ammonito e così saltò poi la finale. Tra l’altro, pure su Nedved da uomo di sinistra qualcosina avrei da dire). Più recentemente la finale persa contro il Barcellona, quella col Real Madrid, la semifinale sempre contro i blancos e un arbitro col bidone della spazzatura al posto del cuore.

Voi quando vincete gioite, festeggiate, è una festa di popolo. Noi quando vinciamo abbiamo sempre un rigorino regalato, un fallo di mano non visto, un’espulsione esagerata. Insomma, da uomo di sinistra, sempre contro le ingiustizie, faccio un po’ fatica a festeggiare pienamente.

Vogliamo poi parlare della società e degli allenatori?

Voi avete avuto il presidente buono, quello che aiuta i palestinesi e il Chiapas. Noi abbiamo avuto uno che impersonificava il peggior capitalismo italico con l’orologio sul polsino e adesso suo nipote con la sua arroganza da Superlega.

Voi la sfacciataggine di Mourinho, la classe di Gigi Simoni, la sfiga madornale di Hector Cuper (remember 5 maggio?). Noi l’antipatia rara di Capello, quella uguale di Conte (che ora dovete pure ringraziare per avervi fatto vincere uno scudetto dopo un decennio) e l’incapacità tattica di Delneri.

E dei calciatori che dire? Voi Ronaldo il Fenomeno, noi il fighetto Cristiano (sempre sia lodato). Voi il Capitano Javier Zanetti che dopo l’addio al calcio resta legato al club. Noi un club che caccia via in malo modo il Capitano Alessandro Del Piero.

Per non parlare dei tifosi vip. Voi avete Gino Strada, Elio e le storie tese, Roberto Vecchioni. Se vi va male Ligabue. Ah no, per fortuna (mia) avete anche Povia e la Russa! Noi Ramazzotti, Giletti (Giletti!) e la Panicucci.

Ci sarebbero molte altre cose da dire ma spero, cari compagni interisti, di avervi convinto: il vero uomo sofferente (calcisticamente parlando) non è l’interista di sinistra, ma lo juventino comunista. Voi siete come quelle persone che si sentono di sinistra ma poi votano Pd, convinti di aver fatto qualcosa di sinistra, sperando in una misera vittoria, accettando mille compromessi. Io soffro (calcisticamente parlando) quando la mia squadra perde e pure quando vince. E voto pure Rifondazione Comunista! Insomma, #maiunagioia.

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

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Piovono Rane

I centurioni, le bighe e il candidato Michetti

Nel 2008, quando Gianni Alemanno divenne sindaco di Roma, si portò dietro un codazzo di nostalgici non solo del Ventennio ma anche dell’Impero, di Roma Antica e del suo potere sul mondo allora conosciuto.

Alcuni di questi ebbero la bella idea di ripristinare le corse delle bighe, che si sarebbero dovute svolgere al Circo Massimo, come due millenni fa.

Fortunatamente, l’assessore alla Cultura era Umberto Croppi, uomo di destra ma soprattutto di zucca, che si oppose anima e corpo al progetto imperial-trash, al punto da appendere nei suoi uffici dei volantini in cui c’era una biga sbarrata e la scritta: “Finché ci sono io assessore a Roma NON si fanno corse delle bighe”.

Ecco, ogni tanto a Roma salta fuori questa cosa qui: la tentazione del fantasioso ritorno ai fasti antichi, quando si era “caput mundi”. Un accoccolarsi attorno a un passato mitologico per ricordare a se stessi la propria antica grandezza, peraltro perduta non esattamente da ieri.

È un cosa che riemerge carsicamente, specie quando le cose vanno male, quando il presente lascia a desiderare e ci si rifugia nel passato.

Ed è quello che è riemerso, in modo assai appariscente, con la candidatura  di Enrico Michetti, scelto ieri dalla destra per sfidare Raggi e Gualtieri.

«Da città eterna le restituirò il ruolo di Caput mundi, voglio riportarla agli antichi fasti, alla città dei Cesari» è il concetto testuale che trovate in tutte le interviste uscite questa mattina sui quotidiani, ma è anche il refrain, arricchito di citazioni classiche, di molti dei suoi interventi radiofonici e nei video che trovate in giro.

Anche la storia del saluto romano: dai media è stato inteso come sdoganamento del Ventennio, ma se ne ritrovate il contesto capite facilmente che a lui il saluto romano interessa soprattutto all’interno di un nostalgismo che arretra molto più in là, fino ai centurioni e alla campagna di Cesare in Gallia.

Ovviamente, nel 2021, questa roba è tutta paccottiglia da Las Vegas, è una finzione degna di un libro di Palahniuk, insomma è una cosa penosa. Lo aveva capito bene anche Croppi, uomo di intelligenza e cultura che immagino oggi scuotere il capo ascoltando questi deliri imperiali.

Vedremo quanti romani ci cascheranno, spero il meno possibile.

A me –  che non urlo allo spauracchio di un “fascista al Campidoglio” –  farebbe invece molta tristezza vedere un’altra rinuncia di  Roma al presente, alla contemporaneità e al suo futuro metropolitano, in nome di un patetico arrocco nel mito imperiale, magari con le bighe di nuovo al Circo Massimo.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Sante parole

“Una lingua è un dialetto con un esercito e una bandiera”

Negli ultimi decenni in Europa l’idea di Stato-nazione come l’abbiamo conosciuta dal primo Ottocento (o dal Romanticismo, se preferite) in poi, è stata messa in discussione dalle spinte concomitanti e divergenti dell’europeismo e dell’autonomismo (spinte che spesso hanno portato alla nascita di un altro “-ismo”, il sovranismo, ma questa è un’altra storia).
Uno degli strumenti principali nella costruzione di identità autonomistiche spesso fai-da-te è quello della lingua: quante volte ci siamo sentiti dire “il [aggiungere il nome di un dialetto a piacere] è una lingua, non un dialetto”?
Peccato che, malgrado quasi due secoli di sforzi, i linguisti non siano ancora arrivati a una definizione univoca e condivisa della distinzione tra lingua e dialetto, al punto che Max Weinreich, un sociolinguista specializzato nello studio dello yiddish, provocatoriamente arrivò ad affermare che “Una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina” (“e una bandiera”, nella versione modificata dal linguista inglese Randolph Quirk).
Il criterio comunemente accettato è che la lingua è stata sottoposta a un processo di standardizzazione, mentre un dialetto generalmente no. Questo peraltro è un criterio per così dire “non naturale” (ok, ok, l’ho detto male), dipendente da una decisione “a posteriori” di natura politica: prendiamo delle persone che presumiamo competenti, paghiamo loro uno stipendio e chiudiamole in una stanza per decidere se in un’ipotetica lingua bergamasca standard, quella che in italiano è la roncola si debba chiamare fölsch (come ad Averara, in alta Val Brembana) oppure podét (San Giovanni Bianco, 14 km più a sud) o pigazza (Sedrina, 30 km più a sud) o ancora scorláss (Calusco, 55  km più a sud)*.
Questa opera di normalizzazione è stata compiuta per esempio con il catalano e con il basco (standardizzando quelle che erano i sei dialetti baschi e un’infinità di varianti locali), spesso utilizzando criteri più politici che linguistici, per esempio adottando sempre la grafia più distante da quella del castigliano (il gràcies catalano si pronuncia esattamente come il gracias castigliano, tanto per dirne una).
Ovviamente la questione dei dialetti e dei regionalismi è una delle croci-e-delizie del mestiere del traduttore: nella Holt di Kent Haruf i personaggi più umili dicono of anziché have, l’argentina Mariana Enriquez nel suo ultimo romanzo (Nuestra parte de noche, ancora inedito in Italia) gioca a più riprese con il modo di parlare (“da telenovela messicana”) di un inglese che evidentemente non ha imparato lo spagnolo in Argentina. Come si rende per un lettore italiano la coloritura locale di un pescatore di Vigo che parla di un ollomol, un pesce che in castigliano si chiama besugo e in italiano occhione (ma anche pezzogna in Campania, e in Liguria, guarda un po’, besugo)? Per fortuna i traduttori, che sono gente pedante ma anche pragmatica, hanno almeno creato Fishbase, un glossario paneuropeo dei nomi dei pesci!

*disclaimer: nessun bergamasco è stato maltrattato per scrivere questo post. E io non sono un linguista, tantomeno un dialettologo; sono solo un tuttologo dell’internet e questo è un copia-e-incolla dal profilo Facebook di una persona che non mi pare di conoscere personalmente, quindi se questa cosa della roncola non fosse corretta, siate indulgenti: il concetto comunque mi pare comunque chiaro.

  • Fabio Cremonesi

    Studi di storia dell'arte medievale, un passato da operaio presso uno spedizioniere, dirigente in una multinazionale delle telecomunicazioni, editore e promotore editoriale, oggi mi dedico alla traduzione a tempo pieno. Le mie lingue di lavoro sono tedesco, inglese e spagnolo (occasionalmente anche portoghese e catalano). Con Le nostre anime di notte di Kent Haruf ho vinto il premio Corriere della Sera-La Lettura per la miglior traduzione del 2017.

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L'Ambrosiano

Foibe, Shoah, miss Hitler: Milano resista, si opponga al caos, dia la linea

I monumenti dicono ciò che accomuna e cosa separa. Milano ha fatto i conti con orrori delle foibe e indicibile della Shoah. Nel 2020 ha dedicato una grande stele ai martiri degli eccidi di Tito e agli italiani delle terre giuliano-dalmate ridotti a profughi, umiliati da una Patria matrigna per cattiva coscienza, pavidità, convenienze. Sorge in piazza della Repubblica. Poco più in là un Memoriale impone la ferita insanabile della Shoah. È il Binario 21, alla Centrale; di lì partivano i carri bestiame pieni di ebrei, partigiani, politici diretti ad Auschwitz e negli altri inferni di annientamento dell’umano.

Foibe e Shoah rientrano nei crimini di guerra, ma hanno natura diversa: equipararli è un delitto nei confronti della storia oltreché errore. Sul confine orientale i comunisti di Tito hanno commesso efferati massacri e perseguitato gli italiani in nome di una feroce pulizia etnica: acme d’una guerra tra le più cruente tra Paesi ed eserciti che si fronteggiavano da anni.

Totalmente diversa la Shoah: da una parte il regime nazista, dall’altra un popolo inerme del quale sono intessute filosofia, società, politica, cultura, arti: gli Ebrei. Il primo aveva la sinistra tracotanza per osare il mai prima pensato: “soluzione finale”, sterminio del popolo ebraico. Questo disponeva d’una cosa sola: la sua umanità.

Ora, in Senato, Fratelli d’Italia, coll’intento di punire i negazionismi, cerca di comparare foibe e Shoah. L’operazione è pericolosa: omologa nazismo e comunismo; nel paciugo rende indistinti i crimini; sdogana i sovranismi; sottovaluta i rigurgiti neonazisti riducendo certa minacciosa propaganda d’odio a nostalgie di gruppetti o estemporaneità (indagini han rivelato una miss Hitler milanese!).

Salda tra piazza della Repubblica e Binario 21 Milano, Medaglia d’Oro della Resistenza, resista ancora! La rappresentatività politica del Consiglio comunale abbia un sussulto, mandi al Senato un messaggio chiaro: la Next Generation Eu ha bisogno di interventi economici, ma anche d’una vigilanza perché ai giovani arrivi netta la terribile identità del male assoluto. Conoscerlo, farne memoria inequivoca immunizza da infauste ripetizioni: latenti, insidiose, inquietanti. 

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Mitologia Popular di giovedì 20/03/2025

    Mitologia Popular esplora e racconta il folclore e la cultura popolare brasiliana: da miti e leggende come Saci Pererê, Mula sem cabeça, Cuca alla storia di piatti tipici come la feijoada o la moqueca, passando per la letteratura, il carnevale, la storia delle città più famose e la musica, ovviamente. Conduce Loretta da Costa Perrone, brasiliana nata a Santos che, pur vivendo a Milano da anni, è rimasta molto connessa con le sue origini. È autrice del podcast Lendas con il quale ha vinto gli Italian Podcast Award per il secondo anno consecutivo.

    Mitologia Popular - 19-03-2025

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    The Box di mercoledì 19/03/2025

    la sigla del programma è opera di FIMIANI & STUMP VALLEY La sigla è un vero e proprio viaggio nel cuore pulsante della notte. Ispirata ai primordi del suono Italo, Stump Valley e Fimiani della scuderia Toy Tonics, label berlinese di riferimento per il suono italo, disco e house, ci riportano a un'epoca di neon e inseguimenti in puro stile Miami Vice, un viaggio nella notte americana alla guida di una Ferrari bianca. INSTAGRAM @tommasotoma

    The Box - 19-03-2025

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    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Sapore Indie è la trasmissione per connettersi al presente e scoprire le novità più rilevanti della musica alternative internazionale. Tutti i mercoledì alle 21.30, con Dario Grande, un'ora di esplorazione tra le ultime uscite di artisti grandi e piccoli, storie di musica e vite underground. Per uscire dalla bolla dei soliti ascolti e sfuggire l’algoritmo, per orientarsi nel presente e scoprire il suono più rigenerante di oggi. ig: https://www.instagram.com/dar.grande/

    Sapore Indie - 19-03-2025

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    Ambiente, energia, clima, uso razionale delle risorse, mobilità sostenibile, transizione energetica. Il giusto clima è la trasmissione di Radio Popolare che racconta le sfide locali e globali per contrastare il cambiamento climatico e ridurre la nostra impronta sul Pianeta. Il giusto clima è realizzato in collaborazione con è nostra, la cooperativa che produce e vende energia elettrica rinnovabile, sostenibile, etica. In onda tutti i mercoledì, dalle 20.30 alle 21.30. In studio, Gianluca Ruggieri ed Elena Mordiglia. In redazione, Sara Milanese e Marianna Usuelli.

    Il giusto clima - 19-03-2025

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    L'Orizzonte delle Venti di mercoledì 19/03/2025

    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 19-03-2025

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    Tutte le droghe di Milano. Il report dell’Istituto Mario Negri sull’analisi delle acque reflue della città

    Il nuovo studio Wastewater analysis and drugs sul consumo di 6 delle principali droghe d’abuso in 128 città europee ha rilevato un aumento, rispetto al 2023, dell’uso di MDMA, cocaina e metanfetamina. Una tendenza confermata anche in Italia. L’analisi, che risale al 2024, ha preso in considerazione le acque reflue nei bacini di raccolta dei depuratori a Milano, Roma, Bologna e Bolzano. In Italia se ne è occupato l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Sara Castiglioni è la responsabile del Laboratorio di Indicatori Epidemiologici Ambientali dell’Istituto. L'intervista è di Chiara Manetti.

    Clip - 19-03-2025

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    Esteri di mercoledì 19/03/2025

    1- Striscia di Gaza. Dopo la ripresa dei bombardamenti l’esercito israeliano annuncia il lancio di operazioni di terra. La violazione degli accordi di Doha è l’ultimo tentativo disperato di Netanyahu per sfuggire ai processi penali. ( Paola Caridi ) 2-Ucraina. Il campo e le prove di dialogo tra Trump e Putin restringono il margine di manovra del presidente Zelensky. Il punto di Esteri 3- A Washington scontro senza precedenti tra corte suprema e casa bianca. DalL’ esito della crisi costituzionale in corso dipende il futuro degli Stati Uniti come democrazia 4- Una commissione d’inchiesta per l’ambasciatore Attanasio assassinato 4 anni fa in repubblica democratica del Congo . La richiesta oggi dell'Associazione “Amici di Luca” durante un incontro in Regione Lombardia. ( Valentina D’Amico) 5-Progetti sostenibili. Il recupero del lungo fiume di Lubiana è tra i simboli della rigenerazione urbana nella capitale della Slovenia.

    Esteri - 19-03-2025

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    Icone immortali

    quando chiediamo a Ciap Gipicì di inquadrare la nostra miticità in una categoria superiore alla leggenda vivente, poi parliamo della minzione facile di Rousseau con il nostro filosofo Matteo, in seguito ascoltiamo le testimonianze dei candidati nuovi autisti dell'ATM e infine torniamo nelle palestre popolari grazie al documentario di Paolo Bonfanti

    Poveri ma belli - 19-03-2025

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    Doppio Click di mercoledì 19/03/2025

    Doppio Click è la trasmissione di Radio Popolare dedicata ai temi di attualità legati al mondo di Internet e delle nuove tecnologie. Ogni settimana, dal lunedì al giovedì, approfondiamo le notizie più importanti, le curiosità e i retroscena di tutto ciò che succede sul Web e non solo. Ogni settimana approfondiamo le notizie più importanti, le curiosità e i retroscena di tutto ciò che succede sul Web e non solo. A cura di Marco Schiaffino.

    Doppio Click - 19-03-2025

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    Vieni con me di mercoledì 19/03/2025

    Vieni con me! è un’ora in cui prendere appunti tra condivisione di curiosità, interviste, e il gran ritorno di PASSATEL, ma in forma rinnovata!! Sarà infatti partendo dalla storia che ci raccontano gli oggetti più curiosi che arriveremo a scoprire eventi, iniziative od occasioni a tema. Eh sì, perché poi..ci si incontra pure, altrimenti che gusto c’è? Okay ma dove, quando e poi …con chi!?! Semplice, tu Vieni con me! Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16.30, in onda su Radio Popolare. Per postare annunci clicca qui Passatel - Radio Popolare (link - https://www.facebook.com/groups/passatel) Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa, un oggetto particolare o proporti come espert* (design, modernariato o una nicchia specifica di cui sai proprio tutto!!) scrivi a vieniconme@radiopopolare.it Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni

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    Tutto scorre di mercoledì 19/03/2025

    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi ai microfoni di Radio Popolare. Condotta da Massimo Bacchetta, a cura di Massimo Alberti

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    ToDays Festival si ferma. Nessuna proposta ritenuta idonea per il 2025

    Dopo dieci anni, il ToDays Festival si ferma. Il celebre evento torinese, storicamente focalizzato sulla scena Indie Pop, avrebbe dovuto essere assegnato con un bando, ma l'unica candidatura presentata è stata ritenuta non idonea. A Jack Matteo Villaci ne ha parlato con Carlo Bordone, giornalista musicale che a Torino vive e che conosce bene la realtà del ToDays.

    Clip - 19-03-2025

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