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Mia cara Olympe

Di stereotipi, metafore e ingressi per le femmine

Il mio liceo,  ricostruito dopo il devastante terremoto del 1908 negli anni 30 del secolo scorso  in solide fattezze e intitolato a Tommaso Campanella, aveva un ingresso ‘per le femmine’.  I maschi entravano dalla parte opposta, e sempre all’ultimo minuto perché la vita prima della campanella si svolgeva tutta e ovviamente dal lato delle ragazze. Anacronistico, fuori tempo massimo – era già la metà degli anni ’70 e si sentivano anche nella città in fondo allo stivale –  l’ingresso delle femmine era anche misura assai stupida: molte sezioni, anche se non tutte, erano miste, come lo erano già le scuole medie dalle quali approdavamo alle severe mura del liceo classico.
Non so per quanti anni dopo la mia maturità finì quell’assurda segregazione, ma mi è tornata in mente durate una conversazione con una bimba di 5 anni sul significato della parola stereotipo. Sua madre ha detto che lo stereotipo è una cosa non vera, ma che in molti pensano o pensavano in passato, per esempio che le femmine non possono fare le stesse cose dei maschi, o che ci siano cose, come i colori o i giochi, da maschi o da femmine. E suo padre ha aggiunto: ‘La mamma ed io facciamo lo stesso lavoro e tutti e due ci occupiamo di te e di tuo fratello’. E lei, con la logica stringente dei piccoli, ci ha guardato e ha chiesto: ‘E perché prima non era così?’
Appunto. Perché, si potrebbe dire alla piccola A., c’erano cose da femmine e ingressi delle femmine. E noi, che pure combattive eravamo, a quella imposizione ridicola non ci siamo ribellate, mentre per fortuna – e glielo abbiamo raccontato – ad altre sì. Ma ciò che non le abbiamo raccontato è che quell’ingresso delle femmine, nella città in cui vive, nella regione in cui vive, nel sud del paese di cui è piccola cittadina, è anche una metafora. Che è la porta di un sentiero più stretto, che ha confinato molte delle ragazze che ci sono passate – in quelle e in altre scuole, prima e dopo – nel non lavoro, e non per scelta. Più diseguali fra diseguali, più svantaggiate tra gli svantaggiati, le donne del sud. Non solo ‘prima’, piccola A., ma  anche oggi e ancora di più per effetto della pandemia. Certifica la Svimez in un  suo rapporto di pochi giorni fa: ‘Il calo dell’occupazione è piuttosto omogeneo tra Mezzogiorno (-2%) e Centro-Nord (-1,9%). Ma sono le donne e i giovani del Sud a subire l’impatto occupazionale maggiore nella crisi pandemica: -3% a fronte del -2,4% del Centro-Nord per le donne; -6,9% al Sud a fronte del -4,4% del Centro-Nord per i giovani under 35’.  Svimez parla di ‘effetti territoriali asimmetrici’  della pandemia e dice in sostanza che le crisi si sono sommate alle crisi e le debolezze alle debolezze, se è vero che ‘tra il  2008 ed il 2020 flette l’occupazione in tutte le regioni del Mezzogiorno con picchi elevati in Calabria (-10,4%) e Sicilia (-8.9%)’. Non  abbiamo avuto cuore di raccontarlo  alla piccola A.: c’è un tempo per gli stereotipi e uno per le metafore.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Bad Input

Mottarone: un problema di saliva

La messa in onda e la pubblicazione online del video dell’incidente della funivia sul Mottarone ha (giustamente) indignato l’opinione pubblica, i magistrati assegnati all’inchiesta, politici e commentatori. Il problema, però, è più grande.

Lasciamo da parte la TV (anche se per quanto riguarda RAI3 ci sarebbe da discutere, visto che questo schifo l’hanno fatto usando soldi pubblici e la cosa suona ancora più disgustosa) che ha dimostrato da tempo di essere disposta a qualsiasi cosa per un punto di share in più.

Parliamo di Internet. A differenza della televisione, in cui vale la regola del “ciò che è fatto è fatto”, le testate online hanno la possibilità di correggere, almeno parzialmente, i loro errori. Tradotto: avrebbero potuto rimuovere il video.

L’hanno fatto? No.

La maggior parte dei siti di news l’ha mantenuto, magari con qualche ritocco (e qui spero che ai “colleghi” di Repubblica.it fischino le orecchie) come l’ampliamento della sfocatura per nascondere meglio i volti delle vittime. Come se una sfocatura potesse cambiare qualcosa.

No, non cambia. Rimane sempre e solo la logica da sciacalli disposti a pubblicare qualsiasi cosa pur di avere qualche click in più e poter alzare le statistiche di Google Analytics.

E dire che noi giornalisti, da qualche tempo, siamo obbligati a fare corsi di formazione continua ogni anno, con una quota di lezioni obbligatoria che è proprio relativa alla deontologia.

Certi direttori, forse, dovrebbero piantarla di scrivere editoriali e spendere un’oretta per seguire un corso. O semplicemente eseguire un piccolo test: guardate l’homepage del vostro sito, poi mettetevi davanti a uno specchio per 10 minuti. Se non vi viene un istinto irrefrenabile di sputare, avete sbagliato mestiere.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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Breaking Dad

Celo, celo… manga!

Papà, posso stare in camera a leggere?

La domanda risuona, galleggia nell’aria, poi cade fragorosa come un’alabarda spaziale.

Scusa?

No, dico, posso stare a leggere?

Fabrizio, ora, legge. Legge i manga. I fumetti giapponesi che cominciano dall’ultima pagina. Quelli da cui sono stati ricavati, quarant’anni fa, i pilastri dell’immaginario di una generazione. La mia. QUEI cartoni animati: Heidi, Lady Oscar, Candy Candy, Mila e Shiro, i Robottoni invincibili, Capitan Harlock, orfani, cani e scimmiette, eccetera eccetera.

Ecco, quelli lì si chiamano anime e sono (quasi sempre) la versione animata dei corrispettivi cartacei. Con nome dell’autore del testo e quello dei disegni (spesso molto belli). Tutte cose che noi abbiamo ignorato per anni e anni: io pensavo che l’autore fosse “Italia Uno” o, in alternativa, il pupazzo Uan. Vabè, loro, i ragazzi qui, lo sanno benissimo. E, sorpresa, ignorano o quasi la versione animata (adesso disponibile a ogni ora, in quantità illimitata sui canali dedicati, mica alle quattro del pomeriggio per mezz’ora…).

Invece, leggono. E collezionano. Questo ce l’ho, il Numero 12 anche, il 31 della Serie Blu ce l’ha il mio compagno e me lo scambia con il 18 di quella Bianca, e via così. Ha cominciato Francesco, naturalmente, che, dall’altezza dei suoi quattordici anni, è un rinomato intenditore capace di dispensare recensioni e centellinare chicche da appassionati. E, ora, è partito anche Fabri.

Papà, ma tu leggevi i manga?

No, io leggevo Topolino.

Ah, ok, ai tuoi tempi non c’erano…

Gulp!

“I-TUOI-TEMPI”, è un’espressione che, sospetto, identifica un’epoca remota, in cui si parlava in rima alternata, i monopattini elettrici non c’erano e si comunicava con segnali di fumo. Comunque, invece, cari miei, i manga c’erano eccome: è che noi ne ignoravamo l’esistenza!

Insomma, in questa fase (giugno 2021, Galassia Milano) la gioia massima è andare in libreria (quelle grandi hanno un piano dedicato, pensa te) o in un negozio specializzato (ad esempio, sui Navigli) e scegliere uno o due manga da leggere e da aggiungere alla collezione. Bisogna stare solo un po’ attenti perché ce ne sono parecchi da adulti, per situazioni, crudezza o riferimenti espliciti. Ci sono dei “bollini” che li contraddistinguono ma, in ogni caso, le serie dopo un po’ si conoscono e non ci sono grossi problemi. Nel caso, si chiede ai solitamente super disponibili addetti.

Questo non va bene papà, c’è del “carotismo”.

Cos’è che c’è???

Del “carotismo”, si baciano continuamente… hai capito, no?

 Ah ok, ho capito. Il carotismo per il momento lo lasciamo stare. In compenso ci sono storie veramente di ogni tipo e gusto, ma non sto a raccontare qui, ché tanto sarete tutti più esperti di me. Nel caso vogliate approfondire l’argomento (che è una vera e propria finestra sulla cultura e persino l’arte giapponese), vi rimando al mio amico Disma, un pozzo di sapere nipponico.

Ci è capitato di essere in Trentino e di dover inventare il modo di trascorrere una giornata di pioggia di quelle con le nuvole così basse che si mangiano le montagne, come fossero Giganti all’attacco (cit.). Idea: andiamo giù in città, a Trento, a visitare la rinomata fumetteria conosciuta da tutti gli ex studenti universitari che ci compravano per lo più Dylan Dog. Ma non solo, perché nel frattempo si è aggiunto un negozio specializzato in fumetti giapponesi.

Una cosa che mi piace è che gli appassionati lettori dei manga si sentono un po’ una comunità. E, a parte i video e i canali dedicati su Youtube dove si disquisisce dell’ultimo numero della terzultima serie dell’autore Tal Dei Tali, quando si va nel negozio è molto probabile che ci si fermi a chiacchierare con il fumettaro o con gli altri appassionati alla ricerca del volume raro o dell’uscita più recente.

Al momento i preferiti di Francesco sono “L’attacco dei Giganti” e “Death Note”. Fabrizio predilige “One Piece” “One-Punch Man”. Cioè, insomma: si parla di mostri enormi che ti si mangiano, di quaderni demoniaci, di improbabili bambini-pirata e di super eroi troppo forti per poter combattere con soddisfazione i nemici.

Papà, lo so cosa stai pensando…

Cosa?! No, no, niente…

Guarda che tu leggevi le storie di un topo che aveva un cane giallo come cane e un cane a due zampe come amico…

One-Punch: colpito e atterrato.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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Bad Input

Garante per la privacy strapazza Colao (6-0, 6-0, 6-0)

Come promesso agli ascoltatori di Doppio Click, ecco qui il link alla relazione tecnica del Garante per la Protezione dei Dati Personali sull’App IO.

LINK QUI

Per chi non ha ascoltato la trasmissione potrei anche scrivere qui un riassunto della vicenda… invece no! Ascoltatevi il podcast che c’è gente che perde del tempo a metterlo online!

 

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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La scuola non serve a nulla

MANCA L’AMALGAMA

Una riflessione sulla ripresa degli spettacoli dal vivo (in particolare quelli comici!)

Era ora!

Finalmente sono tornato su un palco e la mia gioia faceva sponda con quella degli spettatori. Non per lo spettacolo in sé (“LA SCUOLA NON SERVE A NULLA 2.0”, dal 20 al 31 maggio al Teatro della Cooperativa, quello che dà il nome anche questo blog e di cui vi segnalerò prossime date estive), ma per il fatto di essere lì insieme, finalmente. E durante queste repliche mi sono accorto che da un po’ (già da quelle sette/otto repliche della falsa partenza dell’estate scorsa, in verità), mi frullava in zucca un pensiero.

E il pensiero era: ma come diavolo lo creo quel minimo di amalgama che mi piace tanto, mi diverte e mi serve, con questo pubblico spalmato e distante, a macchia di leopardo? Come diavolo instauro un dialogo, un rapporto che, per chi viene dal cabaret, sono costituiti dal bello della diretta, dalla quarta parete che se ne va e dall’odore delle persone? E occhio, non intendo solo l’amalgama tra me e loro: più importante ancora è quello TRA di loro, tra gli spettatori che danno il massimo, a noi che facciamo i cretini sul palco, quando respirano insieme, quando si contagiano, quando la risata o la tensione diventano collettive.

Perché soprattutto di contagio fisico vive la risata: “rido perché stiamo ridendo” conta di più di “rido perché mi hai fatto ridere”. Insomma, rido sulla fiducia degli altri che ridono. Ed è per questo motivo che l’unione rimescolata degli spettatori è fondamentale per la riuscita di uno spettacolo; e se lo spettacolo funziona, anche questa magia funziona: persone sedute fianco a fianco, seppur sconosciuti, si integrano, si trasmettono emozioni, si assimilano in un’attitudine comune. Tanto comunque nella testa dell’attore, al pubblico in sala accade già, e spesso, di fondersi in una sorta di unico spettatore-modello, quasi una media matematica, un fruitore-tipo di quella sera lì; e su questo “fantasma” (che non esiste, ma a cui l’attore affida idealmente l’incarico di sintetizzare le caratteristiche del pubblico), l’attore prende, ogni sera in modo unico e non ripetibile, le misure per la gestione dell’andamento dello spettacolo: rallenta, accellera, alleggerisce sulla base dei comportamenti di questo inesistente spettatore medio.

Ma adesso, con una situazione in cui bastano 50 persone sparse a fare sold-out? Be’, ‘sto amalgama se ne va un po’ a ramengo. Delle volte meglio 30 spettatori ammassati sotto palco (tanto alla fine con un occhio di bue piantato negli occhi quelli riesci a vedere) che 1000 distribuiti all’Arena di Verona. Il rischio di contagio medico finisce col produrre l’assenza di contagio sociale. Quindi, tu sul palco non senti IL pubblico, senti Tizio e Caio che ridono, Sempronio seduto lì a sinistra che non lo fa, Mimì che mugugna e Cocò che dorme. Percepisci lo sghignazzo della signora Felicita, sempre cacofonico e fuori tempo, la rassegnazione muta del dottor Procopio e i commenti negativi del signor Bonaventura, magari buzzurro e totalmente prevenuto.

E infatti, a voler esser più profondi, le ricadute di queste disposizioni logistico-sanitarie sono anche di tipo filosofico-sociali: l’attore, con il pubblico, non si trova più nella situazione “IO+VOI”, ma in quella “IO+TU+TU+TU e TU… che va be’, siete congiunti fidanzati quindi seduti vicini ecc. ”.  Theatron, in greco, è quel posto dove “ci si osserva” (theaomai, in greco antico significava, appunto, “guardare”) e ci si ascolta. O meglio, dove “l’attore guarda e ascolta il pubblico che lo guarda e lo ascolta”; e tutti insieme ci si fonde, si entra in relazione di comunità. Relazione, appunto: ecco, da un punto di vista di mera percezione acustica, almeno nei piccoli spazi, il senso di comunità ancora non si riesce ad avvertire. Come se perdurasse ancora, coriacea, quella monadizzazione sociale cui questi tempi ci hanno costretto. Ancora isolati, niente assembramenti, nemmeno di suoni. Non si riesce ancora a “far massa”, a ritornare di nuovo compeltamente “collettività”.

E siccome mai come per il pubblico teatrale vale l’assunto gestaltiano per cui la somma degli elementi considerati nel loro insieme “è di più” della somma degli stessi elementi considerati singolarmente, accade che l’energia della risata del pubblico, che appunto prima cresceva autoalimentandosi, aggrovigliandosi con quella di tutti e infine, come palla di neve, catapultandosi sull’attore in scena… ora invece si discioglie in tanti rivoletti sterili, singoli quanto sghembi, e dalla gittata corta (senza contare che il pubblico deve tenere la mascherina in teatro, e questo attenua  – è stato calcolato – quasi del 45% i decibel di emissione sonora della fonazione, quindi anche quella delle risate!).

Si dirà: e cosa si può fare? Ah be’, niente, se non prenderne atto. Tipo essere consapevoli che, applicando i parametri pre-Covid, un attor comico oggi ne potrebbe ricavare una sensazione tipo “stasera non sta funzionando…”. E invece magari si sbaglia, magari potrebbe non esser così male: è solo che manca l’amalgama. Che non vuol dire sentirsi rilassati al punto da riposare sugli allori, ma solo che: se ADESSO ti sembra che sia andata benissimo, che t’è arrivata dal pubblico la stessa energia di quelle fantastiche repliche di PRIMA che tutto si fermasse… beh, ecco, allora forse hai fatto davvero una GRANDE replica.

Insomma, adesso è un po’ come fare spettacolo in Svizzera – Svizzera italiana, ovvio -, dopo averlo fatto… che so, a Zelig il sabato sera.

E solo chi ha fatto spettacolo nella Svizzera italiana sa quanto sia pertinente chiudere, così, questo pezzo…

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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    Bollicine - 20-04-2025

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    Ricordi d'archivio di domenica 20/04/2025

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

    Archivio Ricordi - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - secondo episodio

    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    La Pillola va giù di domenica 20/04/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 20-04-2025

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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    Onde Road di domenica 20/04/2025

    Autostrade e mulattiere. Autostoppisti e trakker. Dogane e confini in via di dissoluzione. Ponti e cimiteri. Periferie urbane e downtown trendaioli. La bruss e la steppa. Yak e orsetti lavatori. Il mal d’Africa e le pastiglie di xamamina per chi sta male sui traghetti. Calepini e guide di viaggio. Zaini e borracce. Musiche del mondo e lullabies senza tempo. Geografie fantastiche ed escursioni metafisiche. Nel blog di Onde Road tutti i dettagli delle trasmissioni.

    Onde Road - 20-04-2025

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