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Sante parole

Le lingue che ho vissuto

appunti per un'autobiografia mediterranea

Maria Silvia è nata a Ginevra, poi con la famiglia si è spostata a Napoli, ha vissuto a Milano per decenni e ormai da qualche anno si è trasferita per lavoro a Palma di Maiorca. Siamo amici da almeno trent’anni e, leggendo questo blog, le è venuta voglia di raccontarmi le lingue della sua vita. Con il suo consenso, condivido qui le sue riflessioni.

Mentre passa il tempo, ecco qua alcune piccole osservazioni totalmente personali sul tema della traduzione.
1) Quando impari una lingua da vecchio – come me intorno ai cinquant’anni – non puoi fare a meno di tradurre dalle tue strutture. Invecchiando apprendi meglio grazie a similitudini che a differenze. Le differenze sono maggiormente indigeste, le uguaglianze vanno giù leggere. Cosi rimesti conoscenze di fronte all’emergenza. Desideri esprimerti con la stessa accuratezza che impieghi nella tua lingua materna – così si chiama la lingua che ti hanno passato e che hai studiato. Che cosa sia la lingua materna è risposta delicata e non del tutto facile: richiede un’ascia che tagli cordoni ombelicali e ribalti le viscere; una lingua materna è un’etichetta facile solo nella compilazione del curriculum, documento che nessuno legge perché troppo significativo e nessuno ha voglia di prendersi tanta responsabilità. Cosi la mia lingua materna… quando giunsi al nord Italia avevo un pesante accento del sud e strutture del pensiero della stessa regione. Nonostante mi avessero sempre detto di parlare Italiano, senza saperlo, io parlavo un dialetto: una lingua che non ce l’aveva fatta ad uscire dai confini della propria innegabile autostima. Canzoni, teatro non bastavano a fronteggiare i certami e i dettami di secoli precedenti in cui l’Italiano, quello della Divina Commedia – che infatti risulta essere un viaggio all’inferno e ritorno – si era imposto come lingua nazionale, e quindi come “tua” lingua. Poi te ne vai e la tua lingua la lasci in parentesi. Poi studi il castigliano e il catalano e cerchi di esprimerti in lingue che scopri essere sempre state nella tua vita, camuffate nei dialetti del tuo paese, eredità pesanti.

2) L’Italiano come lingua piace in giro per il mondo; in più di un’occasione ne ho sentito decantare le doti sonore e melodiose. Tuttavia se devi fare la spesa alle Baleari hai due opzioni: il maldigerito – da parte della gente del posto – castigliano o una versione localissima del catalano. Ora il catalano: avevo una grande amica che di cognome faceva Catalano, ma all’epoca – tra gli anni Novanta e l’anno 2000 – neanche ci pensavo alle possibili connessioni di un cognome. Per altro credo che questa amica avesse parenti siciliani, giusto per complicare le cose. Ma un catalano in Sicilia che mai ci fa… Al di là dei motivi storici che sono sotto gli occhi di chi ha voglia di scoprirli, la ragione più semplice è che ci muoviamo da un posto all’altro e difficilmente moriamo nel letto in cui siamo nati.

3) Ho imparato l’ Italiano a forza di reprimende. Se fai il classico in Italia – io l’ho fatto negli anni Ottanta del secolo scorso – nulla passa inosservato. Credo fosse ancora molto forte la necessità di definire una lingua nazionale, fuori da dialetti e inflessioni a quei tempi. Grammatica e sintassi eran croce e croce della tua vita da studente. Delizia della vita da adulto solo se ti affezioni al piacere della parola e superi il dramma del votaccio nel tema di Italiano. Che credo abbia perso il suo senso come esercizio, come le prove di dizione per abituarti alle vocali aperte o chiuse, e agli accenti tonici. Poi per necessità arriva lo studio del catalano e ti rendi conto che se avessi fatto le primarie in Catalogna avresti potuto utilizzare molto più proficuamente la lingua materna, il dialetto napoletano. I vari stong malat, stong ccha sarebbero passati assolutamente inosservati, anzi colti. Tanto tra estic e stong c’è la solita metatesi qualitativa di stampo ionico, se non ricordo male del greco classico delle colonie. La variante significativa è il tratto passeggero dello stato, qualunque esso sia, che l’Italiano come lingua non ammette e mal digerisce. Come se uno stato potesse difficilmente cambiare e afferisse a identità troppo incistate per mutare.

  • Fabio Cremonesi

    Studi di storia dell'arte medievale, un passato da operaio presso uno spedizioniere, dirigente in una multinazionale delle telecomunicazioni, editore e promotore editoriale, oggi mi dedico alla traduzione a tempo pieno. Le mie lingue di lavoro sono tedesco, inglese e spagnolo (occasionalmente anche portoghese e catalano). Con Le nostre anime di notte di Kent Haruf ho vinto il premio Corriere della Sera-La Lettura per la miglior traduzione del 2017.

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Sbilanciamoci

Le imbarazzanti parole di Polito e Veltroni

Quando la critica agli ultra-liberisti è lesa maestà

Antonio Polito e Walter Veltroni sul Corriere della Sera  di ieri e dell’altro ieri hanno accusato circa 200 economisti italiani di essere degli estremisti (di sinistra) e degli illiberali perché si sono permessi di criticare con un appello la scelta del governo Draghi di nominare degli economisti ultra-liberisti come consulenti del PNRR, che deve gestire una ingente quantità di fondi pubblici. Tra l’altro cinque uomini e tutti del nord.

Per stigmatizzare gli economisti (critiche sono venute anche dalla Società Italiana di Economia, che non è certo una cellula comunista) in particolare Polito ha evocato (ovviamente negando ogni parallelo… ma perché evocarli allora?), i fascisti giapponesi, Marco Biagi e le Brigate Rosse. Entrambi hanno accusato gli economisti di discriminare i loro colleghi per il loro “orientamento culturale”. Il libero esercizio di un diritto costituzionale -il diritto di opinione e di critica, quello dei 200 economisti- è stato trattato come fosse una sorta di “gogna accademica” (di sinistra) e di segnalazione degli avversari, anzi dei nemici. Di nuovo, gli anni ’70.

Prendo a prestito le parole di Veltroni. Le frasi di Polito e Veltroni sugli economisti producono “risultati imbarazzanti” e dietro le parole di Polito e Veltroni, per dirla con Walter “riaffora la sempre pericolosa suggestione del fastidio per la diversità delle opinioni altrui”. La stigmatizzazione (morale) di una valutazione politica diversa dalla loro – e cioè: sbagliato mettere degli ultra-liberisti a controllare le politiche pubbliche del PNRR- è un esercizio da difendere, ma dietro la stigmatizzazione morale (di Polito e Veltroni) c’è sempre una sottile intolleranza manichea e dogmatica. In questo caso, quella del “pensiero unico” degli ultimi 30 anni, cui Polito e Veltroni sono immersi e sul quale non sentono il bisogno di interrogarsi.

Speriamo che la sottile ironia di Polito che vuole difendere il diritto dei cacciatori ad essere nominati dirigenti nel ministero dell’ambiente non si estenda anche alla difesa del piromane a capo dei vigili del fuoco o del negazionista a capo della Casa della Memoria a Roma. Quanto alla sua difesa dei pacifisti da assumere al ministero della Difesa non dubitiamo, come non dubitiamo dei suoi voti in parlamento a favore delle spese militari -contro le proposte dei pacifisti- dal 2006 al 2008.

Per ultimo, cari Polito e Veltroni: perché nessuna parola sul fatto che si tratta di economisti solo uomini, nessuna donna, e tutti del Nord? Soddisfatti di questa scelta? O anche questa è una pericolosa critica “imbarazzante” ? Forse per voi, che siete costretti a difendere una scelta che discrimina le donne e il sud.

  • Giulio Marcon

    Portavoce della campagna Sbilanciamoci!, è stato negli anni '90 portavoce dell'Associazione per la pace e Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. È stato deputato indipendente di SEL nella XVII legislatura, facendo parte della Commissione Bilancio. Tra i suoi libri: (con Giuliano Battiston), La sinistra che verrà (minimum fax 2018) e (con Mario Pianta), Sbilanciamo l'economia (Laterza 2013)

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Ciucci volanti

Il rogo di libri più grande della storia dell’umanità

250 anni prima della nascita di Cristo, dalle parte della Cina salì al trono Qin Shi Huangdi, letteralmente primo imperatore della dinastia Qin. Fu il primo ad unificare la Cina e si pensa che la parola Cina derivi proprio da Qin. Imperatore famoso in tutto il mondo.

A lui si deve la costruzione del mausoleo per la sua morte, oggi il sito archeologico più visitato in Cina. 6,3 chilometri quadrati, 40 anni di lavoro, oltre 700 mila schiavi utilizzati per la costruzione. Scovato per caso da un contadino cinese, il mausoleo ospita la camera funeraria dell’imperatore, non ancora portata alla luce, così profonda da superare le falde acquifere. Pareti di bronzo cosparse di cinabro.

A lui si deve la realizzazione dell’esercito di terracotta, 8 mila statue di soldati, 670 cavalli, 130 carri, a grandezza naturale, ognuna diversa dall’altra, un vero e proprio esercito che doveva accompagnare l’Imperatore nell’aldilà. Qin Shi Huangdi è l’ideatore della Grande muraglia cinese, la settima meraviglia del mondo. 8850 chilometri ancora in piedi, l’imperatore ne ordinò la costruzione di 21 mila chilometri, la metà della circonferenza dell’equatore. Può essere vista ad occhio nudo dallo spazio. Qin shi Huangdi è famoso anche per altro.

Famoso per aver bruciato tutti e sottolineo tutti i libri scritti prima della sua nascita. Libri che potevano minare il suo potere. Seppellì vivi oltre 460 intellettuali confuciani suoi oppositori. Cancellò tremila anni di storia. Chiunque venisse trovato in possesso di un libro, chiunque osava nascondere un libro, avrebbe lavorato per sempre e sottolineo per sempre, alla costruzione della Grande muraglia cinese.

Tanti provarono a nascondere antichi testi, perle di saggezza, la storia della propria gente. Chi venne scoperto subì un atroce sorte. Quando dallo spazio o in tv le immagini della Grande muraglia cinese vi riempiono gli occhi, ricordatevi di quegli uomini che si opposero alla cancellazione del passato, i loro resti giacciono ancora lì, da qualche parte, ai piedi della muraglia.

  • Rosario Esposito La Rossa

    Sono direttore editoriale della case editrici Marotta&Cafiero e Coppola editore, ho pubblicato oltre 100 libri nel mio quartiere, tra cui Stephen King, Daniel Pennac e Gunter Grass. A Scampia e Melito ho fondato la prima libreria del quartiere: La Scugnizzeria. Ho scritto il mio primo libro a diciotto anni vincendo il Premio Giancarlo Siani. Sono cugino di Antonio Landieri, vittima innocente di camorra. Per il mio impegno contro il degrado sociale e la creatività sono stato nominato nel 2016 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Cavaliere dell’Ordine al Merito

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Appunti sulla mondialità

L’illusione del bollino

Da qualche anno, a livello europeo imperversa il dibattito sull’adozione di un bollino informativo sugli alimenti consumati nell’Unione. I candidati più forti si basano su due approcci diversi. “Nutri-score”, ideato in Francia, è un semaforo che indica con 5 sfumature tra il rosso e il verde la ricaduta sulla salute di ogni singolo alimento: il colore viene elaborato da un algoritmo che prende in esame parametri quali l’apporto calorico e il contenuto di grassi saturi, zuccheri e sale. Oltre alla Francia, sostengono Nutri-score anche da Germania e Belgio. Diversi Paesi dell’Est e del Sud del continente, Italia e Grecia in primis, invece lo criticano perché penalizzerebbe i prodotti ultra processati e diversi alimenti tipici della tradizione mediterranea Questi Paesi rilanciano proponendo “Nutrinform Battery”. Si tratta di un bollino a forma di batteria che indica non se il cibo sia da considerarsi buono o cattivo in sé, bensì quanto pesa percentualmente una singola porzione di quell’alimento sulla quantità totale di calorie, zuccheri, grassi, grassi saturi e sale che è consigliabile assumere in un giorno. Un meccanismo farraginoso e difficile da interpretare da parte del consumatore, meno immediato del semaforo del concorrente.

In pratica, la tesi di Nutrinform Battery è che nessun alimento in commercio è dannoso, tutto dipende dalle quantità assunte. Per Nutri-score, invece, esistono cibi dannosi che restano tali a prescindere dal contesto.

La strategia agricola europea Farm to Fork / Dal produttore al consumatore prevede che entro il 2022 un bollino di questo tipo sia introdotto su tutti gli alimenti, escludendo solo i prodotti IGP, DOP e STG. Diverse aziende multinazionali hanno già preventivamente annunciato che si adegueranno. E proprio quest’ultimo dato ci riporta con i piedi per terra rispetto al dibattito tecnico e politico, che appassiona solo gli addetti ai lavori. Andando a vedere il mondo dei consumi, infatti, ci si accorge che la logica del bollino non spaventa nessuno: sarà l’ennesima informazione che andrà ad aggiungersi a etichette già cariche di parole e numeri, magari in più lingue, ma anche di simboli, bolli di certificazione e codici a barre, il tutto in caratteri sempre più piccoli e illeggibili. L’eccesso di informazioni, alla fine, sta producendo l’effetto contrario rispetto a quello auspicato: il mondo del consumo è ormai diviso nettamente in due, una minoranza informata che spende tempo per studiare l’etichetta e una maggioranza che la ignora, anche per mancanza di tempo. È in questa seconda, grande categoria che si collocano i consumatori di trash food, molto consistenti in Paesi come gli Stati Uniti e in forte crescita anche in Europa: di fatto non compiono una scelta ponderata ma acquistano ciò che costa poco e disconoscono o ignorano le controindicazioni.

Il problema non è solo economico ma anche culturale. Ad esempio la verdura e la frutta di stagione non hanno prezzi proibitivi, ma per ragioni culturali vengono sempre più eliminate dalla dieta. Che è sempre più basata su cibi processati e da consumare rapidamente, come i wurstel o le patatine fritte, ma anche su specialità – per guardare all’Italia – come i salumi e i formaggi. E il cortocircuito si verifica qui: i produttori di alimenti tradizionali ricchi di grassi e sale, come gli insaccati, si rivolgono a un cliente che potrebbe rivelarsi sensibile al richiamo salutista, mentre i produttori di trash food non se ne preoccupano affatto, perché i loro consumatori ignorano i bollini.

In conclusione, la guerra del bollino alimentare in Europa è figlia di una visione utopica, nella quale tutti i consumatori leggono le etichette e si regolano di conseguenza. Ma la realtà è ben diversa perché il cibo, come sempre, è cultura e disponibilità economica. La questione vera sta a monte, ed è che anche nell’Europa mediterranea, dove ieri i poveri vivevano mangiando soprattutto pesce, olio d’oliva, pane, verdura e frutta, oggi vincono hamburger, merendine e patatine fritte. Che possono permettersi di farsi beffa di qualsiasi bollino.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Politica leggera

Forza Italia!

Attraverso in bici le strade di Quarto Oggiaro, quartiere a nord di Milano, per decenni e anche oggi emblema, quasi paradigma, della periferia.

I balconi delle case di Quarto Oggiaro sono una sfilata di bandiere tricolori.

Ci sono gli europei di calcio e stasera c’è la partita, Italia-Austria.

Osservo i tricolori sui balconi ripensando a cosa ho appena letto nella mia bolla social, composta da molte persone di sinistra, persone con titoli di studio, professioni, spesso storie di impegno e militanza:

“basta, con me la nazionale ha chiuso”
“gli europei per me sono finiti”
“forza Belgio!”
“forza Germania!”
“piuttosto che tifare Italia, non tifo nessuno”

La questione è ovviamente quella dell’inginocchiarsi prima del fischio di inizio della partita, contro il razzismo. Questione che conoscete e che non sto quindi a riassumere.

Ora, la lotta al razzismo è urgente e necessaria. I gesti di solidarietà esercitati da personaggi famosi come i calciatori della nazionale possono essere molto importanti.

Io però se fossi in te, cara sinistra, mi ricorderei di quel lavoro su te stessa che affermavi di volere fare, quello per cercare di recuperare almeno un po’ di connessione con il Paese e in particolare con le sue fasce più popolari. Potresti legittimamente invitare i calciatori a esprimersi. E al tempo stesso fare comunque il tifo per la nazionale. Entrambe le cose sono popolari, e tutto sommato stare dentro questa contraddizione potrebbe essere un’occasione per farti ascoltare di più.

Mettersi a tifare contro, invece, o sdegnosamente chiamarsi fuori, mi sembra un filo controproducente.

Buona partita.

Ps:
Il post è valido anche se nel frattempo l’Austria si fosse presa la rivincita su Vittorio Veneto.

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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    Poesie, liriche, sonetti, slam poetry, rime baciate, versi ermetici, poesie cantate. Ogni settimana Percorsi PerVersi incontra a Radio Popolare i poeti e li fa parlare di poesia. Percorriamo tutte le strade della parola poetica, da quella dei poeti laureati a quella dei poeti di strada e a quella – inedita – dei nostri ascoltatori.

    Percorsi PerVersi - 20-04-2025

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    Musica che si piglia perché non si somiglia. Ogni settimana un dj set tematico di musica e parole scelte da Piergiorgio Pardo in collaborazione con le ascoltatrici e gli ascoltatori di Radio Popolare. Mail: mischionepopolare@gmail.com

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    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

    Alice, chiacchiere in città - 20-04-2025

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    Bollicine di domenica 20/04/2025

    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 16, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

    Bollicine - 20-04-2025

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    Ricordi d'archivio di domenica 20/04/2025

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

    Archivio Ricordi - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - secondo episodio

    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    La Pillola va giù di domenica 20/04/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 20-04-2025

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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    Onde Road di domenica 20/04/2025

    Autostrade e mulattiere. Autostoppisti e trakker. Dogane e confini in via di dissoluzione. Ponti e cimiteri. Periferie urbane e downtown trendaioli. La bruss e la steppa. Yak e orsetti lavatori. Il mal d’Africa e le pastiglie di xamamina per chi sta male sui traghetti. Calepini e guide di viaggio. Zaini e borracce. Musiche del mondo e lullabies senza tempo. Geografie fantastiche ed escursioni metafisiche. Nel blog di Onde Road tutti i dettagli delle trasmissioni.

    Onde Road - 20-04-2025

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