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I giorni dell'Ira

Un nuovo giorno dell‘Ira: Marte a Venezia

Dopo una lunga pausa, in cui questo blog-tamagotchi ha rischiato di scomparire, riparto da alcune vedute veneziane.

Cosa c’è di meglio di un week end a Venezia per tastare il polso al mondo post-pandemico? Dopo i mesi fantascientifici della Serenissima orfana di visitatori, in cui tutti abbiamo capito come doveva essere Venezia prima delle grandi navi e ci siamo ipocritamente augurati che restasse per sempre bella e impossibile, adesso gli autoctoni hanno iniziato ad ammettere sommessamente che “no tourists, no party.” Ho udito personalmente una signora sintetizzare al suo compagno di passeggio, mentre attraversava un ponte a Cannaregio: “Meno mal che i turisti xe tornà… e poi non xe quel turismo becero, i xe ancora civili…”

Mi sono trattenuta. Non l’ho apostrofata per dirle che forse non aveva ancora fatto il percorso netto del “marziano a Venezia”, quello che si snoda immancabile, come una parata di armigeri in infradito e cappello da gondoliere, da S.Lucia o Piazzale Roma, passando per Rialto, fino a San Marco, lungo la Strada Nova, quella specie di Route 66 della laguna che almeno una volta nella vita ogni turista deve percorrere.

Il caffè-torrefazione Goppion, vicino a Rialto, è un eccellente punto d’osservazione, anche perché per ottimizzare la consumazione veneziana, di solito ci resto seduta per mezza mattinata. Parto dal velocissimo cameriere, di cui nessuno riesce a indovinare la nazionalità, dato che ormai parla come Pantalone (anche se non paga). Alla fine, con una risata sardonica, dopo che i clienti si sono lanciati in ipotesi spericolate, annuncia di essere egiziano. Poi, con la saggezza benevola di un guru, invita tre giovani clienti italiane un po’ spitinfie a riscoprire la pazienza come regola di vita.

Dentro il caffè c’è un altro personaggio inedito: Ester è una inglese naturalizzata lagunare. Sento l’accento e comincio a parlarle, appunto, in inglese. Voglio comprare del caffè macinato ed Ester mi chiede che tipo di macchina ho a casa. Rispondo piccata che ho la moka, che diamine, siamo in Italia. Poi mi accorgo che, avendo io linguisticamente strafatto, Ester ha tutte le ragioni per pensarmi straniera. A volte, penso che stavo meglio quando stavo peggio, ossia quando non sapevo niente.

Comunque, anche da Goppion sono segretamente commossi di rivedere i nord-europei che pasteggiano alle tre e mezzo di pomeriggio con spaghetti allo scoglio e cappuccino, e anche le commesse delle boutique sembrano meno sprezzanti quando le neoricche signore russe comprano interi stand di abiti di D&G dietro Ca’ Giustiniani. I gondolieri, invece, lavoricchiano. Ne sorprendo uno che sembra un messicano durante la siesta, appisolato sotto il cappello e appoggiato a un cartello che dice “gondola.com”, in una struggente distonia fra ieri e oggi.

E i turisti italiani? Pochi e un po’ incazzati, si direbbe. La dimensione microfamiliare sembra pesare, con i padri-ologramma che ignorano i propri bimbi tribunizi e le loro compagne esauste e in fondo deluse dalla gita non proprio romantica.

Meno male che ci sono gli addii al celibato/nubilato! Già, fra le attività che hanno subito un fermo, ho scoperto che fra le prime a riprendere ci sono proprio le festicciole un po’ sboccate, che apposite agenzie organizzano con lo sfondo di calli e palazzi storici. Ed ecco che, a due passi dalla storica Biblioteca Querini Stampalia, osservo un ragazzo che, fra lo sghignazzo degli amici, fa decine di flessioni sopra una bambola gonfiabile: una scena che forse avrebbe reso insicuro anche Casanova. Dietro la casa di Goldoni, invece, spunta un manipolo di ragazze dalle T-shirt rosa shocking. Ma solo una di loro porta un piccolo velo bianco in testa. Le amiche la spingono in qua e in là, cantando ritornelli ed emettendo occasionali urletti, con gli spritz d’ordinanza in mano. Osservo meglio e capisco che tutto, drinks  e itinerario compresi, é creativamente pianificato dall’agenzia. Accarezzo per un attimo l’ipotesi di cambiare lavoro.

Sono confusa. Ho bisogno di riflettere. Mi defilo in una piccola calle tranquilla, e raggiungo senza troppo pensarci la Fenice. Mi arriva un suono deciso. Alcuni cantanti stanno provando gli spettacoli della riapertura. Sto a sentire per un po’, a scrocco. Mi tranquillizzo. Sono una persona fortunata.

  • Ira Rubini

    Nata in Belgio, vive a Milano. Studia insieme legge e teatro. A 20 anni inizia a scrivere per la TV e firma oltre 40 trasmissioni, come la diretta della notte degli Oscar in cui vinse Benigni. Come antidoto, scrive teatro (anche con Franca Valeri) e gira il mondo per fare documentari. Insegna teatrologia alla Paolo Grassi e coordina il corso di Sceneggiatura alla Luchino Visconti. La radio è il primo amore: esordisce a Radio Popolare a 14 anni, poi ci torna a condurre il quotidiano culturale. Lavora a RadioRAI e alla Radio Svizzera Italiana. A volte, le piace tornare in scena con l'ensemble Ottavo Richter.

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Appunti sulla mondialità

Come nel “civile” Canada, le certezze del passato sono lastricate di stragi

Le ideologie positiviste ottocentesche non prevedevano che un solo destino per l’intera Umanità: ripercorrere a tappe forzate l’evoluzione della cultura occidentale industriale. Questa visione totalizzante però, nei luoghi del resto del pianeta dove si erano verificati importanti flussi migratori dall’Europa e il modello occidentale aveva preso piede, si scontrava con le resistenze dei popoli indigeni o aborigeni che erano stati depredati delle loro terre e libertà. I luoghi dello scontro erano le grandi praterie e i grandi laghi nordamericani, la Pampa argentina e la Patagonia cilena, l’Australia e la Nuova Zelanda. Uno scontro che fu vinto dall’Occidente dal punto di vista militare, grazie alla superiorità tecnologica delle armi, al telegrafo e al treno, e soprattutto grazie all’infinita quantità di coloni e soldati che l’emigrazione europea forniva a ciclo continuo. In modi e con fortune diverse, i popoli nativi che vivevano nei luoghi strategici della globalizzazione del XIX secolo furono messi da parte, in alcuni casi addirittura scomparvero. La loro era una fine annunciata, almeno da quando la scienza dell’epoca aveva decretato che quei popoli non erano recuperabili al progresso, che non avrebbero mai potuto diventare bravi agricoltori né cambiare religione e lingua. Venivano definiti “fossili viventi”, relitti del passato ineluttabilmente destinati a scomparire nello scontro con la “civiltà”. Da qui discendevano le diverse teorie dell’epoca, sempre più in basso, fino a quella statunitense che diceva che l’unico indiano buono era quello morto e a quella argentina che considerava la ripugnanza l’unico sentimento possibile nei confronti degli indigeni. In questi due Paesi la guerra fu di sterminio.

In Australia e in Canada, invece, si scelse un altro approccio: quello di “ammazzare l’indiano nel bambino”. Sequestrare cioè i bambini, sottraendoli ai loro genitori amerindi o aborigeni per educarli in collegi, quasi sempre gestiti da religiosi, allo scopo di farli diventare “bianchi”, almeno nei costumi, nella lingua e nella fede. Fu uno dei genocidi culturali più articolati e duraturi di cui si abbia memoria. In Australia i sequestri iniziarono nel 1869 e finirono nel 1969, in Canada si cominciò nel 1863 per finire solo nel 1998. L’unica differenza tra i due Paesi è che in Canada finivano in collegio i bambini amerindi mentre in quelli australiani si rinchiudevano i figli di coppie miste, che così sarebbero cresciuti come il genitore bianco. Solo pochi popoli, come i Maori neozelandesi e i Mapuche cileni, riuscirono a superare, non senza traumi, la doppia sconfitta militare e culturale. I popoli originari non erano avversari degni di rispetto, ma selvaggi che andavano annientati o, nel migliore dei casi, ripuliti dalla loro cultura. Tutto era giustificato dalla pseudoscienza dell’epoca che classificava i popoli del mondo in modo gerarchico: in cima si trovava il cittadino di Londra, in fondo il cosiddetto “selvaggio” della Terra del Fuoco. Coloro che non erano in grado, o non volevano, salire lungo quella scala che portava alla “civiltà” potevano solo scomparire, per loro non c’era posto nel mondo del futuro. Questa visione determinista del positivismo influenzò sia il pensiero liberale sia quello marxista.

Oggi nei luoghi dove si consumarono questi orrori regna il politically correct, il dibattito politico è incentrato sui diritti civili, e le recenti scoperte di fosse comuni nei cortili dei collegi canadesi causano orrore. Sarebbe un grave errore, però, soffermarsi solo sugli aspetti tragici, cioè sulle stragi, e non ragionare sulle cause. Che, come sempre, furono ideologiche. In Canada come nella Germania hitleriana, a preparare il terreno agli esecutori furono quelle teorie, diffuse per troppo tempo, che spiegavano che c’erano uomini di serie A e di serie B. È il principio alla base di ogni razzismo, che immagina un mondo senza diversità. Una follia anche dal punto di vista scientifico, pari al terrapiattismo: eppure, anche se smentita dalla moderna genetica, quella teoria trova sempre terreno fertile per attecchire e infestare.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Nebbia fitta in Val Padana, tra comuni spolpati e Monopoli della politica

Un candidato lo troveranno, ma che il centro-destra non abbia messo in campo un’alternativa a Sala è sintomo preoccupante. Regna incertezza figlia anche delle lotte per succedere a Berlusconi, ma c’è anche la riduzione d’una città per bandierine di fazioni.

Prevedibili le ricadute negative: Milano anticipa fenomeni e ora è naturale traino della ripresa. Nel  disagio versano altri grandi comuni; e quelli che pur si son dati il candidato han lasciato per terra morti e feriti. La città prima cellula della democrazia e le classi dirigenti locali sono in crisi a destra, ma fatiche e lacerazioni fioriscono pure nel centrosinistra, investito ora dal sisma dell’ultimo show grillino.

Imputato comodo oggi è la pandemia. Si conta su memoria corta collettiva o invasività della propaganda partitica che via web compie campagne di distrazione di massa; taluni ne van fieri (la “bestia” – Nomen omen – il social di Salvini che fa presente il leader su tutto e sul suo contrario). Ormai è chiaro: il Covid ha presentato il conto di mali latenti: incapacità, ritardi, ingiustizie, egoismi; locali e nazionali. La nebbia fitta in Val Padana è riverbero d’un Paese che ha spolpato le autonomie locali di democrazia, risorse, servizi, idealità.

I comuni son Cenerentole, vasi di coccio tra Stato centrale (l’aggettivo dice funzioni di indirizzo e coesione ma anche limiti e pesi d’un potere autoreferenziale) e le Regioni. Per i Costituenti dovevano rendere il “pubblico” vicino ai cittadini. Han finito per essere repubbliche nella Repubblica, bruttecopie (Lombardia docet in Sanità), centraliste, burocratiche a loro volta. Il virus ha inciso sulla nostra pelle «Il re è nudo» d’un sistema in cui son saltati i contrappesi politico-istituzionali. Basta vedere in tv Presidenti di Regione narcisi (in gara con taluni virologi) che si fregiano del nome di Governatori (qualcuno spieghi che il titolo non esiste e metta in copia a molti media).

La via per Next Generation Eu sono le città, le polis, l’essere civitas, far rete in Europa e nel mondo (l’utopia di La Pira), classe dirigente che mette la faccia con la gente e risponde; sono l’abc di una convivenza che vuole umana prossimità, pensa ai giovani, sogna il futuro, invece di giocare al Monopoli della politica.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La scuola non serve a nulla

Il mio Concorso Straordinario? Vi racconto com’è andata (2) – Seconda Puntata

Seconda Puntata

Lo so: molti di voi non ci hanno dormito per una settimana. Ad altri gli ha preso la stessa ansia di Berlusconi che aspetta una prescrizione o di Salvini prima di uno sbarco… Però, la regola del marketing dice che bisogna creare un po’ di suspense e io mi ci adeguo, anche perché quando leggete il finale non ci credete, tant… “Oh, insomma, ce lo dici o no come è ti andato a finire il Concorsone pandemico?”

Preferite subito o dopo che vi ho ricordato che è partita la tournée di “LA SCUOLA NON SERVE A NULLA 2.0”: dalla BUONA SCUOLA alla DAD”? Ok, ve lo dico. É che la volta scorsa mi ero dimenticato di dire che la cosa è andata per le lunghe: il Ministero infatti non aveva nemmeno previsto prove suppletive extra per i precari che non l’avrebbero potuto sostenere in quanto positivi loro, positivo un parente, positivo un alunno… insomma per tutti i precari così carichi di positività da compensare la negatività del mio stato d’animo. Solo che, alla fine, qualcuno si è incazzato e il TAR gli ha dato ragione: prove suppletive da tenere urgentemente alle prime calende greche disponibili.

Per non dire di quelli che neanche sono arrivati in quella specie di rifugio alpino travestito da ITIS dove si teneva la mia prova del concorso: un po’ perché eravamo talmente in quota che il navigatore non prendeva (ci si orientava con gli stambecchi); un po’ perché all’epoca le regioni erano più arcobaleno di una comunità LGBT a San Francisco; e un po’ perché se anche riuscivi ad arrivarci senza COVID, il minimo sindacale era prendersi una polmonite dal freddo che c’era nell’unico albergo disponibile per il pernotto (peraltro in un paese nei paraggi): un certo pomposo Overlook Hotel, che sarebbe stato chiuso in quei giorni novembrini ma causa le tante richieste lo hanno riaperto ad hoc (era popolato solo da candidati della stessa mia prova!), con un surreale clima alla Shining, un tasso di allegria decisamente inferiore, e il riscaldamento di un igloo in Groenlandia.

Ma soprattutto perché, a detta di tutti, questa prova non valutava assolutamente, in alcun modo, la preparazione e le capacità di un insegnante, e qualcuno ci si è un pelo incazzato. Spiego. La prova consisteva di cinque domande aperte più un quesito di inglese (punteggio minimo per superarla: 56 sul massimo, 80). Domande fattibili se non addirittura semplici, per carità, lo sapevamo: il punto è che nel tempo a disposizione per la prova non prendeva la cattedra neanche Albert Einstein mischiato a Usain Bolt, visto che avremmo dovuto digitare il tutto, rileggere e correggere con una velocità improponibile, non umana: solo 150 minuti per elaborare unità didattiche che in genere chi lavora da anni progetta sì agevolmente, da sempre, ma nel lasso di tempo di alcuni giorni, se non settimane! Pensate quindi la mia gioia di disgrafico grave, che inverte le lettere anche al comtuper… ecco, nel realizzare che si trattava di un concorso focalizzato solo sulla velocità di battitura, nient’altro che una gara per dattilografi. Sì, perché scemo io a non aver capito che la dattilografia è invece asse portante della formazione del docente, nonché ineludibile strumento pedagogico. Come ben ci hanno spiegato nel tempo, del resto, grandi pedagogisti ed eminenti personaggi della cultura:

-“Un bambino, un dattilografo, una barra per gli spazi e un tasto per il maiuscolo possono cambiare il mondo.” (Malala)

-“Nelle tipografie, dattilografi appassionati dovrebbero insegnare ai giovani scriventi a liberare la fantasia e battere le lettere con il “loro” carattere… per dire, non solo col minuscolo… tanto, se macchi puoi sempre pulire con carta ASSORBENTE” (M. Montessori)

-“Non mi interessa quanto veloce l’alunno sa digitare: mi interessa quello che sa digitare con i pochi tasti funzionanti che ha.” (G. Wiggins)

-“Nel passaggio dallo stadio operatorio concreto allo stadio operatorio formale, il bambino impara a digitare senza guardare la tastiera.” (J. Piaget)

-“Finché nelle tipografie ci saranno solo le tastiere per Pierino e non quelle per Gianni, la dattilografia non sarà mai un atto realmente democratico.” (Don L. Milani)

-“Ricordate, ragazzi: tra le due strade sulla tastiera, dovrete sempre scegliere di percorrere la meno battuta, magari con tutte le dita, non con una sola: insomma, come diceva il nostro poeta, il vecchio zio Walt QWERTY.” (R. Williams, “L’attimo fuggente”)

-“…Sì, va be’, attivismo una jigsaw… se mi date all’esame la tastiera cinese mi imputtanate tutto, però, eccheccaz…” (J. Dewey)

– “Comunque, fare il punto e virgola è sempre un casino. Un po’ come digitare correttamente il mio nome.” (L. S. Vygotskij)

Insomma, per farla breve, esco all’alba dall’Overlook Hotel. Arrivo all’Itis, formalità di rito, mi siedo. Giusto il tempo per accertarsi che la distanza tra i candidati sia effettivamente rispettata (qui sì, ma altrove no… e però, come ci siamo arrivati qui?) e che i tasti del computer siano duri come la pelle di un tamburo azteco, che compare il testo della prova.

Le domande non sono solo facili: direi che sono, sinceramente parlando, proprio BELLE e STIMOLANTI!

Allora digito quasi con entusiasmo (parola che non pensavo di usare, in questo racconto) e più velocemente possibile le lunghe risposte. Alla fine ritorno da capo a correggere la prima domanda: prendo atto che ho scritto un testo a metà tra il disgrafico irrecuperabile e il dialetto polacco ormai in disuso di Katowice, tipo: volevo scrivere “Il cane abbaia in cortile”?  E invece ho scritto “Lì anc WQab baaai i n ortilPPo nn”. Risistemo le prime tre risposte. Le altre non riesco, scadono i minuti a disposizione, chiudo la procedura, firmo, me ne vado.

In questi mesi ho pensato: anche se non lo passo, cosa mai succederà? Niente, a settembre il Ministero mi avrebbe richiamato comunque come supplente (anche se in teoria non sarei idoneo a insegnare, non avendolo superato), e amici come prima.

Poi una ventina di giorni fa sono usciti gli esiti.

Ricordate che il minimo era 56? Ho preso 56,30.

56.00 per le risposte; 0,30 per il polacco.

Gioia? Molto contenuta.

Perché entrerei sì in ruolo, ma non è chiaro dove, e sarà difficile restare nella scuola in cui sono stato felicemente negli ultimi quattro anni. Potrei finire a Busischio di Viggiù: per legge non posso rifiutare… ma mi andrebbe comunque ancora di culo poiché, siccome metà di quello che ho scritto è effettivamente in polacco, può essere che mi diano la cattedra davvero a Katowice.

Considerate soprattutto, però, che si è trattato di un concorso insanguinato. Statistiche alla mano, è impossibile escludere che non abbia lasciato nessuno strascico di contagi, disagi, ricoverati, e… Insomma: è un concorso contro cui mi sono battuto e di cui non sono per nulla orgoglioso.

E allora sai che ti dico? Che io il ruolo quasi quasi lo rifiuto.

“Ma non è vero, dai, stai scherzando!”

No. Ecco, vedrete poi se è vero o no che scherzo.

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Piovono Rane

Gli allegri pop-corn di Salvini e Meloni

Sei mesi fa il Pd annunciò la nascita di un intergruppo parlamentare con il Movimento 5 stelle e Leu: doveva essere il seme della nuova coalizione di centrosinistra.

Sei mesi dopo, quell’iniziativa (peraltro subito abortita) fa amaramente sorridere. Leu è un cartello rotto e comunque nei sondaggi non vale nemmeno il 3 per cento; e oggi il Movimento 5 stelle è imploso.

In altre parole, dell’ipotetica coalizione di centrosinistra è rimasto solo il Pd, con il suo 18-20 per cento. Attorno, il vuoto. I partner che il Pd aveva scelto per costruire l’alternativa alla destra sono spariti o quasi. Il centrosinistra, come tale, non esiste più.

Vi potete immaginare quindi facilmente chi festeggia di più stasera.

Salvini e Meloni, insieme hanno già il 40 per cento e si possono perfino permettere la concorrenza interna, nell’unico Paese al mondo che vede primo e secondo nei sondaggi due partiti della destra sovranista.

Alle elezioni politiche mancano solo due anni.

Ricostruire un’offerta partitica progressista e alternativa ai fasciosovranisti non è più un opzione. È un urgenza vitale.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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    Intervista di Chawki Senouci a Paolo Maggioni autore del libro “Una Domenica Senza Fine” (SEM Libri). Domenica 29 aprile 1945 si compie la Storia in piazzale Loreto dove sono esposti i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e di alcuni gerarchi. Nella stessa giornata un gruppo di anarchici guidati dal comandante “Carnera”, un repubblicano anarchico antifranchista, attraversa Milano in direzione opposta per cominciare un’altra rivoluzione. Nell’intervista a Paolo Maggioni si è parlato della missione segreta del Comandante anarchico Carnera (nella vita reale si chiama Laureano Cerrada Santos) e dei luoghi e personaggi che hanno segnato quella lunga giornata: le donne e gli uomini che hanno sconfitto il fascismo, Il Duomo di Milano, Palazzo Marino, Il quartiere Affori, Marta Ripoldi, tranviera e staffetta partigiana, il radiofonico Daniele Colpani diventato la voce del fascismo, Piazzale Loreto.

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    In onda dal 2001, Prospettive Musicali esplora espressioni musicali poco rappresentate. Non è un programma di genere, non è un programma di novità discografiche, non è un programma di classici dell’underground, non è un programma di gruppi emergenti. Ma è un po’ tutte queste cose mischiate insieme dal gusto personale dei conduttori. Ad alternarsi in onda e alla scelta delle musiche sono Gigi Longo e Fabio Barbieri, con un’incursione annuale di Alessandro Achilli che è stato uno storico conduttore del programma.

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    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

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    Bollicine di domenica 20/04/2025

    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 16, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

    Bollicine - 20-04-2025

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    Ricordi d'archivio di domenica 20/04/2025

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - secondo episodio

    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    La Pillola va giù di domenica 20/04/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 20-04-2025

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

    C’è di buono - 20-04-2025

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    Onde Road di domenica 20/04/2025

    Autostrade e mulattiere. Autostoppisti e trakker. Dogane e confini in via di dissoluzione. Ponti e cimiteri. Periferie urbane e downtown trendaioli. La bruss e la steppa. Yak e orsetti lavatori. Il mal d’Africa e le pastiglie di xamamina per chi sta male sui traghetti. Calepini e guide di viaggio. Zaini e borracce. Musiche del mondo e lullabies senza tempo. Geografie fantastiche ed escursioni metafisiche. Nel blog di Onde Road tutti i dettagli delle trasmissioni.

    Onde Road - 20-04-2025

Adesso in diretta