Programmi

blog

L'Ambrosiano

Arbore e il complesso dei senza vergogna. Arte, psicoanalisi, politica, vita

A menare il manganello è un agente, ma il colpo lo sferra lo Stato: cioè chi è al governo. La Ministra Cartabia in Parlamento bolla i pestaggi a Santa Maria Capua Vetere. Stesse ore si manifesta: 20 anni fa violenze e torture delle Forze dell’Ordine a Genova. Si parla di uomini in divisa non di politica. Si fa memoria perché certi fatti non si ripetano. Impegno nobile; ma a far le anime belle non si rende giustizia alle vittime, si semina smarrimento nei giovani che non c’erano, restano crisi ambientale e ingiustizie globali.
La storia aiuta a ripartire rigenerati se narrata in complessità, verità, voglia di misurarsi con le ombre. Categorie queste scomode per partiti, molti media, zone grigie delle istituzioni a cui prendere coscienza dei nessi politica-manganello non piace: da un secolo! I fatti: nel 2001 governo Berlusconi II;centrodestra doc: Forza Italia, Lega, Alleanza Nazionale. Di questa Fini, vicepresidente, era a Genova in Prefettura durante gli scontri. Il titolare della Giustizia, Castelli, Lega, era a Bolzaneto prima dei pestaggi. All’Istruzione (i giovani) la Moratti. Maroni a Lavoro. Buttiglione all’Europa. Scajola agli Interni; andò a casa l’anno dopo non per Genova: definì “rompicoglioni” Biagi (senza scorta ucciso dalle BR).

Di quella stagione molti han proseguito, altri si sono esercitati nell’uccisione del padre: Salvini, pulcino di Bossi, in Comune a Milano; Meloni proprio nel 2001 designata da Fini a guidare i giovani di An. Dinamica politica e continuità legittime. A sinistra Fassino sostituì Veltroni: l’Ulivo resterà segnato. Pure oggi l’area non è in salute. Letta sembra un po’ Sisifo. Genova-Roma-Santa Maria: c’è da capire se, nell’ammucchiata al Governo, Super Mario riuscirà a riscrivere i copioni del “teatrino della politica”. Se sta con Salvini (solidale con gli agenti); i 5 Stelle (il Ministero di Bonafede nel 2020 definì i pestaggi «doverosa operazione di ripristino di legalità»); i diritti. È meschinella l’equazione: riforme e l’Europa paga. Si rischia un revival
de “i senza vergogna”, l’Orchestra di Arbore. Teche Rai? O è un “complesso” dei politici non vergognarsi, non scusarsi, schermirsi col casco d’un agente non identificato? New generetion attende.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Mia cara Olympe

Genova 20 anni dopo e una ragazza timida e ferita

Come tanti, ho rivissuto Genova dopo 20 anni. Ho ricordato. Letture, discussioni pubbliche e private,  analisi, confronti hanno lasciato molte scie da riprendere. (Consiglio tra i libri: Genova per chi non c’era a cura di Angelo Miotto  e Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco dedicato all’esperienza, poco conosciuta e rimossa, del femminismo al G8, che, entrambi, stabiliscono un utile e intelligente dialogo intergenerazionale).

Quando pensavo fosse finita – il calendario corre e i media seguono l’agenda –  stamattina sono stata trasportata nel tempo. Ed è stata una cosa inattesa che mi ha colto nel mezzo di normali faccende e violenta. Radio Popolare ha ritrasmesso la cronaca tanto convulsa quanto giornalisticamente impeccabile dell’irruzione alla Diaz: ‘Non lavate il sangue’, ‘Don’t clean up the Blood’ si scrisse dopo sui muri della scuola e titolò il settimanale – si chiamava Diario – in cui allora lavoravo. Non chiamatela irruzione, dissero subito i cronisti della radio riascoltati stamattina: è un’operazione  pianificata di polizia, è il Sudamerica, siamo a 22 feriti, uno parla inglese e lo hanno bastonato in testa, l’Agi già dice che sono 40, (furono più di 90, a bilancio concluso) c’è sangue, urla, dentro hanno distrutto tutto (computer, centro stampa, macchine fotografiche) la polizia fa cordone e le ambulanze caricano una dopo l’altra le barelle.

La storia nel suo farsi, insomma, mi ha colpito di nuovo con forza, come allora. E mi ha fatto chiedere se qualcuno dei tanti che a Genova sono stati attaccati, bastonati, arrestati, feriti sia riuscito, in questi 20 anni, a ricucire un rapporto con lo Stato che non sia irrimediabilmente segnato da quei giorni. Non collettivamente e neanche sul piano dell’esercizio della critica, ma ad un livello più personale, più istintivo: come ti fermi davanti ad un controllo di polizia, come ti rapporti con chi porta una divisa, se hai rancore e paura. C’è una microstoria dell’esperienza individuale che si fa dello Stato, della sua potestà sulle vite e della sua forza che spesso viene ignorata, ma che è fondamentale per capire le diseguaglianze tra noi tutti: lo sanno benissimo i neri che vengono fermati e controllati cento volte più di frequente dei bianchi, i ragazzi dei quartieri, i territori  che vivono lo Stato come assente o solo controllante, lo sanno i detenuti, i poveri, chi sta in quelli che definiamo margini in cui i diritti basilari sono chimera.  È una microstoria che conferisce mille sfumature a quella che chiamiamo legalità.
A distanza di 20 anni  mi sono chiesta, riascoltando la cronaca di quelle ore furenti, come sta oggi la ragazza che dopo  qualche giorno era venuta in redazione e si era timidamente tirata un po’ giù i pantaloni per farci vedere e fotografare le lesioni da manganello. Parlammo a lungo, poi pubblicammo in accordo con lei la foto delle sue natiche, il giornalismo può essere attento alle vite, se e quando vuole. Mi chiedo se quella ragazza che ricordo giovanissima e terribilmente colpita non solo nel corpo abbia ritrovato un pizzico dell’enorme fiducia in quella cosa che si chiama democrazia che l’aveva condotta a Genova, da cittadina libera di esprimere la propria protesta e le proprie idee. Non ne sono così sicura, ed è una perdita secca.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

In alto a sinistra

Sì, è legittima difesa

Invoco la legittima difesa:

Per i lavoratori e le lavoratrici che occupano la loro fabbrica perché hanno ricevuto la lettera di licenziamento, magari via mail, da una proprietà che dopo aver sfruttato i sussidi statali decide di localizzare dove il costo del lavoro è minore, solo per aumentare il profitto. Perché difendono il loro diritto al lavoro.

Per i compagni e le compagne antifa, che manifestano per chiedere la chiusura dei covi neofascisti. Perché difendono il loro diritto di vedere attuati i principi della nostra Costituzione.

Per chi sale sul tetto a difesa di un centro sociale sotto sgombero, perché non venga restituito a degrado e abbandono, ma continui a essere un presidio di libertà. Perché difende il suo diritto a diffondere cultura.

Per gli studenti e le studentesse che protestano contro il numero chiuso, contro le tasse universitarie troppo alte, contro i baroni che non mollano il loro posto di privilegiati. Perché difendono il loro diritto all’istruzione.

Per precari e precarie, che chiedono contratti più equi, minore sfruttamento, maggiori tutele. Perché difendono il loro diritto a un lavoro dignitoso.

Per chi manifesta sotto Regione Lombardia, per una vera riforma in senso antiprivatistico della legge regionale sulla sanità. Perché difendono il loro diritto alla salute.

Per chi chiede i codici identificativi sulle divise di poliziotti e carabinieri. Perché difende il suo diritto almeno a sapere chi lo potrebbe manganellare indiscriminatamente durante una manifestazione.

Per i migranti che affrontano i viaggi della speranza. Perché difendono il loro diritto a una vita migliore.

Per chi urla “stronzo” a quello che al bar, quando sente la notizia di un naufragio nel Mediterraneo, dice che “se la sono cercata, se restavano a casa loro non sarebbe successo”. Perché difende il suo diritto a vivere a debita distanza dagli stronzi.

Per chi pensa che uno non dovrebbe girare per le strade della sua città con una pistola carica e senza la sicura innescata. Perché difende il suo diritto alla sicurezza.

Per tutte quelle persone lgbtqi+ che hanno paura anche solo a tenersi per mano in pubblico perché qualcuno li potrebbe insultare, aggredire, picchiare e chiedono leggi a loro tutela. Perché difendono il loro diritto a una vita normale.

Etc, etc, etc… (mettete voi quello che vi pare).

P.s: dimenticavo, per me quando dico che mi fanno schifo quelli che condannano razzismo, omofobia e sessismo, ma poi con quegli stessi ci governano. Perché difendo il mio diritto a vedere applicata la coerenza, anche in politica.

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Vista da qui

Che ce ne facciamo di Genova 2001?

«Tu quanti anni avevi nel 2001?»
«Cinque. Infatti non ricordo nulla, uno dei miei primi ricordi è la caduta delle torri gemelle, ma Genova no»
«Guarda» e mi indica la pelle d’oca che ha riempito di puntini il suo braccio «è così ormai da qualche giorno e stare qua, in Piazza Alimonda, riapre tantissimi ricordi che questi giorni spero riusciranno a trasmettervi»
«Molti di noi giovani siamo qua per questo, per dare concretezza a quei luoghi di cui tanto abbiamo sentito parlare ma che non abbiamo mai visto»
«Ti dirò di più: per noi di vent’anni fa questo momento ha una grande importanza perché allora si sono e ci siamo dimenticati di noi. I fatti di Genova hanno cancellato come ci siamo sentite e sentiti noi prima, durante e dopo Genova, le nostre emozioni, le nostre ferite, le nostre sofferenze sono state dimenticate.»

Inizia così il mio soggiorno a Genova in queste calde giornate di Luglio, vent’anni dopo il G8 in cui è morto Carlo Giuliani, in cui c’è stata la macelleria della Diaz, in cui si è assistito ad una sospensione dello stato di diritto che nei successivi vent’anni è avvenuta con sempre più frequenza. «Genova è stato un laboratorio» si è ripetuto con insistenza in questi anni. Sicuramente, Genova 2001 è stato per la nostra generazione il nomos della violenza arbitraria della polizia, a cui ci rifacciamo ogni volta che episodi di violenza in divisa si ripresentano. La gestione brutalmente muscolare di quelle giornate ha simboleggiato un modo di governare, di chiudere le città, di far decollare elicotteri, di difendere i grandi meeting, emblema di un consensus politico internazionale inscalfibile e non negoziabile. La carneficina violenta e criminale di quei giorni ha costituito un vero e proprio trauma collettivo di cui, come mi ha detto Anna, una delle signore con cui ho parlato questa settimana, non si è discusso abbastanza. Per quella generazione e per tutte le generazioni a venire, per chiunque abbia continuato o cominciato a fare politica dopo di allora, Genova è stata la certezza che la violenza della polizia può arrivare fino al limite estremo, come testimoniano le immagini di quei giorni.

Genova 2001 è stata dunque un punto di arrivo e uno spartiacque insieme. La mia è una generazione che è cresciuta nel ricordo di quegli episodi e di quel movimento, uno degli ultimi momenti di grande partecipazione di massa alla vita e alla lotta politica contro quella globalizzazione dentro cui noi siamo nati, e alla quale gran parte della nostra generazione pensa che non ci sia alternativa. E infatti la tre giorni di Genova che si è tenuta questa settimana in occasione del ventennale è iniziata con una manifestazione poco partecipata, come oramai siamo abituati da diversi anni. D’altra parte però, la città in questi giorni pullula di incontri, di compagni e compagne, di grandi abbracci e sorrisi, di emozioni forti.

Tornare a Genova in questi giorni significa riprovare a cucire i fili della storia. In strada si avverte la consapevolezza di appartenere ancora a qualcosa, a una visione del mondo che – sebbene frammentata in correnti, movimenti, piccole vittorie e fallimenti – è in grado di riconoscersi, di parlarsi e di pensare un mondo diverso. Ci sono i fumettisti e le fumettiste che presentano i loro lavori sui fatti del G8; c’è la presentazione dell’ultimo numero di Dinamo Print all’Aut Aut 357, spazio autogestito nel cuore della città, in cui ci si interroga sullo stato della globalizzazione vent’anni dopo l’evento che più di tutti ne ha messo in luce le contraddizioni; c’è l’ospitalità al laboratorio sociale Buridda, che accoglie decine e decine di giovani da tutta Italia. E proprio al Buridda, una mostra ripercorre i giorni di Genova 2001 e gli anni successivi con foto, articoli di giornale, locandine. Per le strade ci si saluta, si incrociano volti conosciuti, le case di amici e compagni sono aperte all’ospitalità improvvisata, e così si organizzano macchine collettive, ritrovi nei vicoli, si finisce per punteggiare il tessuto urbano con striscioni, cori, corpi e socialità.

Questo fiume che è arrivato a Genova, portando con sé pezzi di storia, le lotte del presente e le speranze per il futuro, si è scontrato con la programmazione “istituzionale” della tre giorni. Le iniziative promosse in quella veste hanno fatto fatica ad andare oltre la pura commemorazione, quasi come se il tempo si fosse fermato a vent’anni fa. Lo stesso presidio che si è tenuto oggi a Piazza Alimonda per commemorare Carlo Giuliani aveva un’impostazione rigida, quasi sterile, immobile. Molti e molte auspicavano un momento più significativo, in movimento e non statico, per dimostrare che quelle speranze di futuro sono ancora in grado di camminare. E infatti, immancabilmente, il presidio si è scaldato e alla fine ha deciso di partire in corteo, in maniera autonoma e spontanea.

La tensione di questi tre giorni – tra commemorazione e riattualizzazione – è anche la tensione tra le anime che si ritrovano a Genova: per molti e molte Genova è stato sì un punto di arrivo, come è stato un punto di arrivo per i movimenti no global degli anni ‘90. Vedendo la città in questi giorni, però, viene da pensare che per tanti e tante Genova sia stata – e sia – un punto di partenza, luogo e momento dopo il quale il movimento di massa si è trasformato in tanti rivoli che scorrono insieme, incrociandosi, paralleli, sopra e sotto, ma che, in ogni caso, riscrivono il presente immaginando un futuro diverso.

Tornare a Genova è allora un’occasione per riannodare i fili della storia e domandarsi che cosa quei giorni rappresentino nella coscienza collettiva, per ritornare sulla politica di ieri e interrogare il nostro oggi, per riscoprirne il portato storico, per domandarsi da dove veniamo e perché oggi ci sentiamo così vittime e impotenti. Tornare a Genova significa provare a rimettere insieme i pezzi: la violenza sistematica dello Stato, l’urgenza di quelle lotte, il trauma collettivo di una generazione e delle successive. É l’occasione, questa, per produrre una nuova consapevolezza. E poiché nessuno ha pagato per le brutalità commesse contro i manifestanti, siamo chiamati a riconoscere che il senso di impotenza che governa la gente comune deriva in ultima istanza da una verità che nel 2001 si è resa plastica, ossia che il potere costituito non è negoziabile, non è roba nostra, ma è difeso ben oltre i limiti della costituzionalità e del diritto civile. Quei fatti allora, in aggiunta alla risacca politica successiva agli anni ‘70, hanno costituito un nuovo tassello nell’allontanamento tra Stato e cittadini, tra polizia e popolo, tra istituzioni e paese. Oggi siamo ancora lì: con una collettività politica in pezzi e una democrazia diroccata proprio mentre le istanze di allora rivelano tutta la loro impellenza. Perciò, anziché crogiolarsi nella bontà delle proprie posizioni, questa tre giorni a Genova serva a rilanciare una nuova elaborazione politica che a partire dalla storia e dai rapporti di forza, dalle responsabilità e dalle mancanze, sappia costruire una consapevolezza politica adeguata al tempo presente e alle sue sfide.

Ne saremo all’altezza o ci ridurremo alla sola commemorazione?

  • Emilio Caja e Pietro Savastio

    Emilio Caja e Pietro Savastio sono ricercatori indipendenti e collaborano con varie riviste, enti di ricerca e università. Sono stati e continuano ad essere partecipi di diverse esperienze di attivismo politico e sociale. Emilio lavora all'università e ha un piede sotto l’Etna, Pietro lavora nella scuola e ha due piedi sotto il Vesuvio: “da qui” è la prospettiva del Sud da cui guardano al mondo, dopo essere stati a spasso per l’Europa del Nord a studiare e formarsi.

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Liberi tutti

RIDERANNO DI NOI

Voi le avete viste le piazze a difesa del Ddl Zan, dei Pride?

Voi li vedete quelli che vanno a firmare ai banchetti del referendum per l’eutanasia legale?

Per i diritti civili, per l’autodeterminazione delle nostre esistenze, siamo circondati da una generazione di giovanissim* che rende tutto meno doloroso. Perché la sensazione netta è che fra solo pochi anni questi non solo non saranno più temi divisivi, ma non saranno proprio neanche temi da affrontare perché completamente acquisiti.

Non è una frase fatta. Loro sono più avanti.

Più avanti dei nostri dibattiti stanchi. Le nostre barricate non saranno le loro. Loro hanno già spostato l’asticella a un’altezza che la politica manco riesce a scorgere. Vivono dentro una dimensione che rifiuta etichette. Il sesso, il genere, la vita, la morte. Parlandoci insieme siamo oltre lo spazio che divide naturalmente delle generazioni. Il salto è tridimensionale. Fra poco tempo, se già non lo stanno facendo, rideranno di tutto questo circo di sepolcri imbiancati che mette le zavorre alla libertà di essere se stessi dall’inizio alla fine dell’esistenza. Rideranno di questo argomentare mummificato dalla morale, rideranno dell’esaltazione del compromesso come arte nobile.

Quando sono salito sul palco di “Tempo Scaduto” la manifestazione organizzata dai Sentinelli all’Arco della Pace lo scorso mese di maggio, mi sono trovato davanti migliaia di ragazze e ragazzi che mi hanno fatto sentire meravigliosamente vecchio, molto presto probabilmente anche inutile.

Rideranno. E faranno bene.

 

  • Luca Paladini

    Nato a Milano 51 anni. Unito civilmente con un altro Luca. Fondatore e Portavoce del Movimento de I Sentinelli di Milano. Movimento che si batte contro ogni forma di discriminazione. Collabora con il quotidiano online TPI

ALTRO DAL BLOGVedi tutti
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio lunedì 15/12 12:30

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 15-12-2025

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve lunedì 15/12 10:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 15-12-2025

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di lunedì 15/12/2025

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 15-12-2025

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di lunedì 15/12/2025 delle 07:15

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 15-12-2025

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Cult di lunedì 15/12/2025

    Cult è condotto da Ira Rubini e realizzato dalla redazione culturale di Radio Popolare. Cult è cinema, arti visive, musica, teatro, letteratura, filosofia, sociologia, comunicazione, danza, fumetti e graphic-novels… e molto altro! Cult è in onda dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 11.30. La sigla di Cult è “Two Dots” di Lusine. CHIAMA IN DIRETTA: 02.33.001.001

    Cult - 15-12-2025

  • PlayStop

    Pubblica di lunedì 15/12/2025

    Pubblica ha ospitato Vittorio Cogliati Dezza, storico ambientalista, già presidente di Legambiente. Fa parte del Coordinamento del Forum Diseguaglianze e Diversità (FD&D). «Clima ingiusto» (Donzelli, 2025) è il titolo del suo ultimo libro scritto insieme a Giovanni Carrosio, sociologo dell’ambiente che insegna all’università di Trieste. Con Cogliati Dezza abbiamo parlato di welfare, giustizia ambientale e sociale, diseguaglianze, green deal e dell’attacco della Casa Bianca all’Unione europea.

    Pubblica - 15-12-2025

  • PlayStop

    A come Atlante di lunedì 15/12/2025

    Trasmissione trisettimanale, il lunedì dedicata all’America Latina con Chawki Senouci, il mercoledì all’Asia con Diana Santini, il giovedì all’Africa con Sara Milanese.

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 15-12-2025

  • PlayStop

    Note dell’autore di lunedì 15/12/2025

    Un appuntamento quasi quotidiano, sintetico e significativo con un autore, al microfono delle voci di Radio Popolare. Note dell’autore è letteratura, saggistica, poesia, drammaturgia e molto altro. Il tutto nel tempo di un caffè!

    Note dell’autore - 15-12-2025

  • PlayStop

    Il ricordo di Pino e Licia Pinelli è legato alle lotte del presente. Oggi in piazza Fontana

    Come ci raccontano le figlie Silvia e Claudia, il ricordo di Giuseppe Pinelli e di Licia Rognini oggi si collega alle lotte presenti, portando in piazza Fontana dalle 18 un podcast dal vivo con Matteo Liuzzi che porterà sul palco "L'ultima notte di Pinelli" e poi i cori del Gruppo vocale Femina di Audrey Anpi e Rebelot Cantieri Vocali, la musica di Alessio Lega e Guido Baldoni, Beppe Rebel e Renato Franchi, la Banda degli Ottoni a Scoppio, gli artisti per la Palestina. “Abbiamo deciso dal 50esimo che la forma artistica è la maniera per ricordare, l’importanza è di sapere che non è stata una storia solo nostra, ma ha investito tutto il Paese, è l’importanza di portare avanti i valori di Pino e Licia che indicano una strada”. Intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia, in Presto presto.

    Clip - 15-12-2025

  • PlayStop

    Presto Presto - Interviste e Analisi di lunedì 15/12/2025

    I fatti del giorno analizzati dai nostri esperti, da studiose e studiosi. I protagonisti dell'attualità intervistati dai nostri conduttori.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 15-12-2025

  • PlayStop

    Rights now di lunedì 15/12/2025

    Viviamo un’epoca in cui la forza e la sopraffazione prevalgono su giustizia e solidarietà. Per questo occuparsi di diritti umani è ancora più importante. La Fondazione Diritti Umani lo fa utilizzando più linguaggi: qui con Rights Now, ogni lunedì alle 8. A cura di Danilo De Biasio. Per suggerimenti: direzione@fondazionedirittiumani.org

    Rights now – Il settimanale della Fondazione Diritti Umani - 15-12-2025

  • PlayStop

    Presto Presto - Lo stretto indispensabile di lunedì 15/12/2025

    Il kit di informazioni essenziali per potere affrontare la giornata (secondo noi).

    Presto Presto – Lo stretto indispensabile - 15-12-2025

Adesso in diretta