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Mia cara Olympe

Genova 20 anni dopo e una ragazza timida e ferita

Come tanti, ho rivissuto Genova dopo 20 anni. Ho ricordato. Letture, discussioni pubbliche e private,  analisi, confronti hanno lasciato molte scie da riprendere. (Consiglio tra i libri: Genova per chi non c’era a cura di Angelo Miotto  e Voi siete in gabbia, noi siamo il mondo di Monica Lanfranco dedicato all’esperienza, poco conosciuta e rimossa, del femminismo al G8, che, entrambi, stabiliscono un utile e intelligente dialogo intergenerazionale).

Quando pensavo fosse finita – il calendario corre e i media seguono l’agenda –  stamattina sono stata trasportata nel tempo. Ed è stata una cosa inattesa che mi ha colto nel mezzo di normali faccende e violenta. Radio Popolare ha ritrasmesso la cronaca tanto convulsa quanto giornalisticamente impeccabile dell’irruzione alla Diaz: ‘Non lavate il sangue’, ‘Don’t clean up the Blood’ si scrisse dopo sui muri della scuola e titolò il settimanale – si chiamava Diario – in cui allora lavoravo. Non chiamatela irruzione, dissero subito i cronisti della radio riascoltati stamattina: è un’operazione  pianificata di polizia, è il Sudamerica, siamo a 22 feriti, uno parla inglese e lo hanno bastonato in testa, l’Agi già dice che sono 40, (furono più di 90, a bilancio concluso) c’è sangue, urla, dentro hanno distrutto tutto (computer, centro stampa, macchine fotografiche) la polizia fa cordone e le ambulanze caricano una dopo l’altra le barelle.

La storia nel suo farsi, insomma, mi ha colpito di nuovo con forza, come allora. E mi ha fatto chiedere se qualcuno dei tanti che a Genova sono stati attaccati, bastonati, arrestati, feriti sia riuscito, in questi 20 anni, a ricucire un rapporto con lo Stato che non sia irrimediabilmente segnato da quei giorni. Non collettivamente e neanche sul piano dell’esercizio della critica, ma ad un livello più personale, più istintivo: come ti fermi davanti ad un controllo di polizia, come ti rapporti con chi porta una divisa, se hai rancore e paura. C’è una microstoria dell’esperienza individuale che si fa dello Stato, della sua potestà sulle vite e della sua forza che spesso viene ignorata, ma che è fondamentale per capire le diseguaglianze tra noi tutti: lo sanno benissimo i neri che vengono fermati e controllati cento volte più di frequente dei bianchi, i ragazzi dei quartieri, i territori  che vivono lo Stato come assente o solo controllante, lo sanno i detenuti, i poveri, chi sta in quelli che definiamo margini in cui i diritti basilari sono chimera.  È una microstoria che conferisce mille sfumature a quella che chiamiamo legalità.
A distanza di 20 anni  mi sono chiesta, riascoltando la cronaca di quelle ore furenti, come sta oggi la ragazza che dopo  qualche giorno era venuta in redazione e si era timidamente tirata un po’ giù i pantaloni per farci vedere e fotografare le lesioni da manganello. Parlammo a lungo, poi pubblicammo in accordo con lei la foto delle sue natiche, il giornalismo può essere attento alle vite, se e quando vuole. Mi chiedo se quella ragazza che ricordo giovanissima e terribilmente colpita non solo nel corpo abbia ritrovato un pizzico dell’enorme fiducia in quella cosa che si chiama democrazia che l’aveva condotta a Genova, da cittadina libera di esprimere la propria protesta e le proprie idee. Non ne sono così sicura, ed è una perdita secca.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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In alto a sinistra

Sì, è legittima difesa

Invoco la legittima difesa:

Per i lavoratori e le lavoratrici che occupano la loro fabbrica perché hanno ricevuto la lettera di licenziamento, magari via mail, da una proprietà che dopo aver sfruttato i sussidi statali decide di localizzare dove il costo del lavoro è minore, solo per aumentare il profitto. Perché difendono il loro diritto al lavoro.

Per i compagni e le compagne antifa, che manifestano per chiedere la chiusura dei covi neofascisti. Perché difendono il loro diritto di vedere attuati i principi della nostra Costituzione.

Per chi sale sul tetto a difesa di un centro sociale sotto sgombero, perché non venga restituito a degrado e abbandono, ma continui a essere un presidio di libertà. Perché difende il suo diritto a diffondere cultura.

Per gli studenti e le studentesse che protestano contro il numero chiuso, contro le tasse universitarie troppo alte, contro i baroni che non mollano il loro posto di privilegiati. Perché difendono il loro diritto all’istruzione.

Per precari e precarie, che chiedono contratti più equi, minore sfruttamento, maggiori tutele. Perché difendono il loro diritto a un lavoro dignitoso.

Per chi manifesta sotto Regione Lombardia, per una vera riforma in senso antiprivatistico della legge regionale sulla sanità. Perché difendono il loro diritto alla salute.

Per chi chiede i codici identificativi sulle divise di poliziotti e carabinieri. Perché difende il suo diritto almeno a sapere chi lo potrebbe manganellare indiscriminatamente durante una manifestazione.

Per i migranti che affrontano i viaggi della speranza. Perché difendono il loro diritto a una vita migliore.

Per chi urla “stronzo” a quello che al bar, quando sente la notizia di un naufragio nel Mediterraneo, dice che “se la sono cercata, se restavano a casa loro non sarebbe successo”. Perché difende il suo diritto a vivere a debita distanza dagli stronzi.

Per chi pensa che uno non dovrebbe girare per le strade della sua città con una pistola carica e senza la sicura innescata. Perché difende il suo diritto alla sicurezza.

Per tutte quelle persone lgbtqi+ che hanno paura anche solo a tenersi per mano in pubblico perché qualcuno li potrebbe insultare, aggredire, picchiare e chiedono leggi a loro tutela. Perché difendono il loro diritto a una vita normale.

Etc, etc, etc… (mettete voi quello che vi pare).

P.s: dimenticavo, per me quando dico che mi fanno schifo quelli che condannano razzismo, omofobia e sessismo, ma poi con quegli stessi ci governano. Perché difendo il mio diritto a vedere applicata la coerenza, anche in politica.

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

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Vista da qui

Che ce ne facciamo di Genova 2001?

«Tu quanti anni avevi nel 2001?»
«Cinque. Infatti non ricordo nulla, uno dei miei primi ricordi è la caduta delle torri gemelle, ma Genova no»
«Guarda» e mi indica la pelle d’oca che ha riempito di puntini il suo braccio «è così ormai da qualche giorno e stare qua, in Piazza Alimonda, riapre tantissimi ricordi che questi giorni spero riusciranno a trasmettervi»
«Molti di noi giovani siamo qua per questo, per dare concretezza a quei luoghi di cui tanto abbiamo sentito parlare ma che non abbiamo mai visto»
«Ti dirò di più: per noi di vent’anni fa questo momento ha una grande importanza perché allora si sono e ci siamo dimenticati di noi. I fatti di Genova hanno cancellato come ci siamo sentite e sentiti noi prima, durante e dopo Genova, le nostre emozioni, le nostre ferite, le nostre sofferenze sono state dimenticate.»

Inizia così il mio soggiorno a Genova in queste calde giornate di Luglio, vent’anni dopo il G8 in cui è morto Carlo Giuliani, in cui c’è stata la macelleria della Diaz, in cui si è assistito ad una sospensione dello stato di diritto che nei successivi vent’anni è avvenuta con sempre più frequenza. «Genova è stato un laboratorio» si è ripetuto con insistenza in questi anni. Sicuramente, Genova 2001 è stato per la nostra generazione il nomos della violenza arbitraria della polizia, a cui ci rifacciamo ogni volta che episodi di violenza in divisa si ripresentano. La gestione brutalmente muscolare di quelle giornate ha simboleggiato un modo di governare, di chiudere le città, di far decollare elicotteri, di difendere i grandi meeting, emblema di un consensus politico internazionale inscalfibile e non negoziabile. La carneficina violenta e criminale di quei giorni ha costituito un vero e proprio trauma collettivo di cui, come mi ha detto Anna, una delle signore con cui ho parlato questa settimana, non si è discusso abbastanza. Per quella generazione e per tutte le generazioni a venire, per chiunque abbia continuato o cominciato a fare politica dopo di allora, Genova è stata la certezza che la violenza della polizia può arrivare fino al limite estremo, come testimoniano le immagini di quei giorni.

Genova 2001 è stata dunque un punto di arrivo e uno spartiacque insieme. La mia è una generazione che è cresciuta nel ricordo di quegli episodi e di quel movimento, uno degli ultimi momenti di grande partecipazione di massa alla vita e alla lotta politica contro quella globalizzazione dentro cui noi siamo nati, e alla quale gran parte della nostra generazione pensa che non ci sia alternativa. E infatti la tre giorni di Genova che si è tenuta questa settimana in occasione del ventennale è iniziata con una manifestazione poco partecipata, come oramai siamo abituati da diversi anni. D’altra parte però, la città in questi giorni pullula di incontri, di compagni e compagne, di grandi abbracci e sorrisi, di emozioni forti.

Tornare a Genova in questi giorni significa riprovare a cucire i fili della storia. In strada si avverte la consapevolezza di appartenere ancora a qualcosa, a una visione del mondo che – sebbene frammentata in correnti, movimenti, piccole vittorie e fallimenti – è in grado di riconoscersi, di parlarsi e di pensare un mondo diverso. Ci sono i fumettisti e le fumettiste che presentano i loro lavori sui fatti del G8; c’è la presentazione dell’ultimo numero di Dinamo Print all’Aut Aut 357, spazio autogestito nel cuore della città, in cui ci si interroga sullo stato della globalizzazione vent’anni dopo l’evento che più di tutti ne ha messo in luce le contraddizioni; c’è l’ospitalità al laboratorio sociale Buridda, che accoglie decine e decine di giovani da tutta Italia. E proprio al Buridda, una mostra ripercorre i giorni di Genova 2001 e gli anni successivi con foto, articoli di giornale, locandine. Per le strade ci si saluta, si incrociano volti conosciuti, le case di amici e compagni sono aperte all’ospitalità improvvisata, e così si organizzano macchine collettive, ritrovi nei vicoli, si finisce per punteggiare il tessuto urbano con striscioni, cori, corpi e socialità.

Questo fiume che è arrivato a Genova, portando con sé pezzi di storia, le lotte del presente e le speranze per il futuro, si è scontrato con la programmazione “istituzionale” della tre giorni. Le iniziative promosse in quella veste hanno fatto fatica ad andare oltre la pura commemorazione, quasi come se il tempo si fosse fermato a vent’anni fa. Lo stesso presidio che si è tenuto oggi a Piazza Alimonda per commemorare Carlo Giuliani aveva un’impostazione rigida, quasi sterile, immobile. Molti e molte auspicavano un momento più significativo, in movimento e non statico, per dimostrare che quelle speranze di futuro sono ancora in grado di camminare. E infatti, immancabilmente, il presidio si è scaldato e alla fine ha deciso di partire in corteo, in maniera autonoma e spontanea.

La tensione di questi tre giorni – tra commemorazione e riattualizzazione – è anche la tensione tra le anime che si ritrovano a Genova: per molti e molte Genova è stato sì un punto di arrivo, come è stato un punto di arrivo per i movimenti no global degli anni ‘90. Vedendo la città in questi giorni, però, viene da pensare che per tanti e tante Genova sia stata – e sia – un punto di partenza, luogo e momento dopo il quale il movimento di massa si è trasformato in tanti rivoli che scorrono insieme, incrociandosi, paralleli, sopra e sotto, ma che, in ogni caso, riscrivono il presente immaginando un futuro diverso.

Tornare a Genova è allora un’occasione per riannodare i fili della storia e domandarsi che cosa quei giorni rappresentino nella coscienza collettiva, per ritornare sulla politica di ieri e interrogare il nostro oggi, per riscoprirne il portato storico, per domandarsi da dove veniamo e perché oggi ci sentiamo così vittime e impotenti. Tornare a Genova significa provare a rimettere insieme i pezzi: la violenza sistematica dello Stato, l’urgenza di quelle lotte, il trauma collettivo di una generazione e delle successive. É l’occasione, questa, per produrre una nuova consapevolezza. E poiché nessuno ha pagato per le brutalità commesse contro i manifestanti, siamo chiamati a riconoscere che il senso di impotenza che governa la gente comune deriva in ultima istanza da una verità che nel 2001 si è resa plastica, ossia che il potere costituito non è negoziabile, non è roba nostra, ma è difeso ben oltre i limiti della costituzionalità e del diritto civile. Quei fatti allora, in aggiunta alla risacca politica successiva agli anni ‘70, hanno costituito un nuovo tassello nell’allontanamento tra Stato e cittadini, tra polizia e popolo, tra istituzioni e paese. Oggi siamo ancora lì: con una collettività politica in pezzi e una democrazia diroccata proprio mentre le istanze di allora rivelano tutta la loro impellenza. Perciò, anziché crogiolarsi nella bontà delle proprie posizioni, questa tre giorni a Genova serva a rilanciare una nuova elaborazione politica che a partire dalla storia e dai rapporti di forza, dalle responsabilità e dalle mancanze, sappia costruire una consapevolezza politica adeguata al tempo presente e alle sue sfide.

Ne saremo all’altezza o ci ridurremo alla sola commemorazione?

  • Emilio Caja e Pietro Savastio

    Emilio Caja e Pietro Savastio sono ricercatori indipendenti e collaborano con varie riviste, enti di ricerca e università. Sono stati e continuano ad essere partecipi di diverse esperienze di attivismo politico e sociale. Emilio lavora all'università e ha un piede sotto l’Etna, Pietro lavora nella scuola e ha due piedi sotto il Vesuvio: “da qui” è la prospettiva del Sud da cui guardano al mondo, dopo essere stati a spasso per l’Europa del Nord a studiare e formarsi.

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Liberi tutti

RIDERANNO DI NOI

Voi le avete viste le piazze a difesa del Ddl Zan, dei Pride?

Voi li vedete quelli che vanno a firmare ai banchetti del referendum per l’eutanasia legale?

Per i diritti civili, per l’autodeterminazione delle nostre esistenze, siamo circondati da una generazione di giovanissim* che rende tutto meno doloroso. Perché la sensazione netta è che fra solo pochi anni questi non solo non saranno più temi divisivi, ma non saranno proprio neanche temi da affrontare perché completamente acquisiti.

Non è una frase fatta. Loro sono più avanti.

Più avanti dei nostri dibattiti stanchi. Le nostre barricate non saranno le loro. Loro hanno già spostato l’asticella a un’altezza che la politica manco riesce a scorgere. Vivono dentro una dimensione che rifiuta etichette. Il sesso, il genere, la vita, la morte. Parlandoci insieme siamo oltre lo spazio che divide naturalmente delle generazioni. Il salto è tridimensionale. Fra poco tempo, se già non lo stanno facendo, rideranno di tutto questo circo di sepolcri imbiancati che mette le zavorre alla libertà di essere se stessi dall’inizio alla fine dell’esistenza. Rideranno di questo argomentare mummificato dalla morale, rideranno dell’esaltazione del compromesso come arte nobile.

Quando sono salito sul palco di “Tempo Scaduto” la manifestazione organizzata dai Sentinelli all’Arco della Pace lo scorso mese di maggio, mi sono trovato davanti migliaia di ragazze e ragazzi che mi hanno fatto sentire meravigliosamente vecchio, molto presto probabilmente anche inutile.

Rideranno. E faranno bene.

 

  • Luca Paladini

    Nato a Milano 51 anni. Unito civilmente con un altro Luca. Fondatore e Portavoce del Movimento de I Sentinelli di Milano. Movimento che si batte contro ogni forma di discriminazione. Collabora con il quotidiano online TPI

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Bad Input

Genova 2001: se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato

In un blog che dovrebbe (e i condizionali sono una gran bella cosa) parlare di tecnologia e Internet, parlare di Genova 2001 è chiaramente un off topic.

Me lo concedo, perché come tante e tanti che lavorano in questa radio, per me Genova 2001 è stata una tappa importante a livello personale, politico, professionale, emotivo.

Ed è per questo che faccio un po’ di fatica a ritrovarmi nella narrazione che passa in questi giorni. Certo, Genova sono state le botte in piazza, il massacro della Diaz, la sospensione della Costituzione ai danni di centinaia di migliaia di persone.

Ma non è stato solo quello. È stato un momento in cui moltissimi hanno “scoperto” una politica nuova e diversa. Almeno, per me lo è stato.

Non è che in quella primavera del 2001 avessi deciso improvvisamente di votarmi alla politica. Certo, ero piuttosto sensibile e avevo una posizione chiara su certe cose. Ma non è che abbia deciso. È successo più o meno per caso.

Gli incroci con il movimento altermondialista (da qui in poi indicato semplicemente come “il movimento”) li avevo avuti su Internet. In quegli anni il web era ancora popolato da poche persone. Ci sentivamo un po’ dei carbonari, un po’ parte di un’élite. Una nuova generazione di internazionalisti attaccati ai nostri modem 56K che si stupivano di poter accedere con tanta facilità a idee, contenuti, rivendicazioni che rimbalzavano da paesi lontanissimi, improvvisamente vicini.

Poi è arrivata l’estate. E Genova. La dimensione “fisica” di Genova ha dato concretezza a quel percorso. Lo ha reso improvvisamente possibile come quel “altro mondo” per cui siamo scesi in piazza.

A differenza di quanto mi capita di leggere in questi giorni nelle analisi “a venti anni da Genova”, la repressione che il movimento ha subito (che tutte e tutti noi abbiamo subito) non lo ha bloccato, disgregato, dissolto.

Se quello era il loro obiettivo, hanno fallito. Per due motivi. Prima di tutto perché ci sono state centinaia (migliaia?) di persone che dopo quei giorni hanno continuato testardamente a fare attività politica. Io l’ho fatto per vent’anni e non ho nessuna intenzione di fermarmi.

In secondo luogo, perché le elaborazioni alla base del movimento che si è raccolto a Genova hanno permesso di leggere quel presente, questo presente e il prossimo futuro in maniera esemplare, lucida, netta.

La finanziarizzazione dell’economia, la bolla ideologica della globalizzazione e la sua trasformazione in sovranismo ai primi accenni di crisi, il capitalismo della sorveglianza, la precarizzazione delle vite: tutto annunciato, denunciato, descritto da quel movimento che (proprio per questo) è stato oggetto di un tentativo di repressione.

Genova non è stata una sconfitta. È stata una tappa. In tante e tanti proseguiamo.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 18-03-2025

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    Verità per Fausto e Iaio, 47 anni dopo. In via Mancinelli l’appello di Familiari e amici

    Quarantasette anni fa venivano uccisi Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, Fausto e Iaio. I due giovani militanti del centro sociale Leoncavallo erano in via Mancinelli, a Milano, quando si trovarono davanti tre uomini che gli spararono. Iaio morì immediatamente, Fausto in ospedale, dove era arrivano già in gravissime condizioni. Come ogni anno i Familiari e amici di Fausto e Iaio si sono ritrovati in via Mancinelli per ricordarli. Un anniversario, quest'anno, che s'intreccia con la riapertura delle indagini da parte della procura di Milano, dopo le sollecitazioni arrivate dal consiglio comunale. Indagini che finora non hanno portato a novità. Ivano Vallese è il presidente dell'associazione Familiari e amici di Fausto e Iaio.

    Clip - 18-03-2025

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    Esteri di martedì 18/03/2025

    1) La guerra a Gaza è ricominciata. Israele questa notte ha rotto unilateralmente il cessate il fuoco. In meno di 24 ore oltre 400 persone sono state uccise. E’ stato uno degli attacchi più brutali da novembre del 2023. (Claire Nicolet - MSF, Mohammad, Lucia Capuzzi - Avvenire) 2) Trump e Putin si parlano al telefono. In una telefonata di oltre due ore e mezza i due leader hanno discusso della possibilità di una tregua di trenta giorni in ucraina. (Roberto Festa) 3) La Francia prepara i francesi alla guerra. Il governo annuncia che verrà distribuito un manuale di sopravvivenza in caso di attacco. (Francesco Giorgini) 4) Spagna, a 5 anni dall’esplosione della pandemia da Covid, il paese torna a fare i conti con una delle pagine più nere di quei mesi. Un documentario riaccende il caso degli anziani lasciati morire nelle case di riposo. (Giulio Maria Piantadosi) 5) Rubrica sportiva. Indice alla tempia e mano sulla bocca. Con la sua esultanza Cedric Bakambu rompe il silenzio sul Congo. (Luca Parena)

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    Poveri ma belli di martedì 18/03/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 18-03-2025

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    Doppio Click di martedì 18/03/2025

    Doppio Click è la trasmissione di Radio Popolare dedicata ai temi di attualità legati al mondo di Internet e delle nuove tecnologie. Ogni settimana, dal lunedì al giovedì, approfondiamo le notizie più importanti, le curiosità e i retroscena di tutto ciò che succede sul Web e non solo. Ogni settimana approfondiamo le notizie più importanti, le curiosità e i retroscena di tutto ciò che succede sul Web e non solo. A cura di Marco Schiaffino.

    Doppio Click - 18-03-2025

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    Vieni con me di martedì 18/03/2025

    Vieni con me! è un’ora in cui prendere appunti tra condivisione di curiosità, interviste, e il gran ritorno di PASSATEL, ma in forma rinnovata!! Sarà infatti partendo dalla storia che ci raccontano gli oggetti più curiosi che arriveremo a scoprire eventi, iniziative od occasioni a tema. Eh sì, perché poi..ci si incontra pure, altrimenti che gusto c’è? Okay ma dove, quando e poi …con chi!?! Semplice, tu Vieni con me! Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16.30, in onda su Radio Popolare. Per postare annunci clicca qui Passatel - Radio Popolare (link - https://www.facebook.com/groups/passatel) Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa, un oggetto particolare o proporti come espert* (design, modernariato o una nicchia specifica di cui sai proprio tutto!!) scrivi a vieniconme@radiopopolare.it Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni

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    Willie Peyote e il suo nuovo disco "Sulla Riva del Fiume"

    Willie Peyote è uscito con "Sulla Riva del Fiume", un disco con un percorso partito da lontano e che si è andato compiendosi sotto i nostri occhi un pezzetto alla volta, di palco in palco, di brano in brano. Ora, reduce dal secondo Sanremo, torna nei nostri studi per fare un po' il punto su questo suo lavoro, e sul suo momento artistico e personale, in un'intervista a cura di Matteo Villaci andata in onda oggi a Jack.

    Clip - 18-03-2025

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    Playground di martedì 18/03/2025

    A Playground ci sono le città in cui abitiamo e quelle che vorremmo conoscere ed esplorare. A Playground c'è la musica più bella che sentirai oggi. A Playground ci sono notizie e racconti da tutto il mondo: lo sport e le serie tv, i personaggi e le persone, le ultime tecnologie e le memorie del passato. A Playground, soprattutto, c'è Elisa Graci: per 90 minuti al giorno parlerà con voi e accompagnerà il vostro pomeriggio. Su Radio Popolare, da lunedì a venerdì dalle 15.00 alle 16.30.

    Playground - 18-03-2025

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