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La scuola non serve a nulla

Impressioni di ottobre

Si ricomincia (e sì, me la son presa comoda...)

Dove eravamo rimasti?

Ah sì, c’eravamo lasciati a inizio agosto! In quei giorni lì vi raccontavo della tournée, che avevo vinto il concorso a scuola, di come la relativa prova sostenuta a novembre 2020 sembrasse sceneggiata da David Lynch, e che però ‘sto ruolo l’avrei rifiutato se mi avessero destinato, chessò, a Bisuschio di Viggiù o a Barbenno di Valtellina.

Cominciamo allora con gli aggiornamenti.

A scuola, be’, che gran miracolo, quello che è successo: roba da far diventare cattolico Voltaire, Burioni o il cantante di un gruppo metal satanico. Per una coincidenza che vale come una vittoria alla lotteria (con fuga di tabaccaio annessa), la sede che mi è stata assegnata è la stessa a Milano in cui sono stato felice precario negli ultimi quattro anni. E quindi niente, ho accettato.

L’anno scolastico è partito con il Greenpass, con i docenti No-Greenpass, con il Greenpass che ti scade a metà mattinata (in caso di docente precario, con il contratto a durata yogurth, la cosa diventa ragionevolmente coerente… ma negli altri casi?), con un non trascurabile numero di classi già in quarantena, con i banchi a rotelle che potrebbero prendere fuoco (infiammabili e mobili? Allora ecco a cosa servivano: a simulare in storia “l’assedio al castello”, cioè “palle infuocate lanciate al nemico!” Scemi noi a non capirlo prima) e con il ministro Bianchi che afferma che, in fatto di stipendi, i docenti italiani “meritano molto di più”. E quando lo dice, mi vengono in mente quelli che lasciano la fidanzata adducendo lo stesso motivo.

Sul teatro, la tournée è andata bene e finita anche meglio, a Mandello del Lario, il 25 settembre: simbolicamente, un posto “di laghi e di (Addio) monti”, scenari consueti in questa lunga estate che ricorderò per questo, più che per i successi sportivi. Tra l’altro a Mandello, siccome era l’ultima replica, come da tradizione mi sono fatto gli scherzi. Da solo, perché, per chi non lo sapesse, è un monologo: tipo che sul palco mi dicevo l’alzata ma poi non schiacciavo con la corrispondente chiusa di battuta; e subito dopo facevo la faccia stranita di quello che non se l’aspettava. Momenti di grande sperimentalismo comico.

Ma la data che resterà sicuramente negli annali è stata quella dell’8 agosto a Copertino, mio natìo borgo selvaggio, in Puglia. Solita location estiva: all’aperto, nella bellissima Piazza Castello. Ma con il disturbo di automobili che incredibilmente, purtroppo, durante lo spettacolo passavano comunque, lì dietro al palco… e allora a risolvere accorreva prontamente una volante dei Carabinieri, fulgido esempio d’elette virtù teatrali, che, con sirene a luci accese, si appostava eroica, sprezzante del pericolo e tempetivo baluardo, per bloccare (proprio all’imbocco della stradina che dava sulla piazza), altri empi passaggi di vettura. D’accordo, ma comunque a qualche metro dal palco, bella in evidenza nel campo visivo della scena, con luci e sirene accese! E dall’interno della volante i militari guardavano il sottoscritto con sguardo rassicurante, come a dire “Tranquillo, Signor attore: adesso che ci siamo noi non passerà più nessun’altra macchina, e non avrà nessun altro disturbo! Vada avanti, Signor attore!”. Un mio caro amico ha compiuto il pietoso uffizio di scattare una foto per immortalare il momento, e io la posto non solo come testimonianza, ma anche perché è una di quelle che meglio mi rappresenta: io che faccio spettacolo, il pubblico davanti, e dietro al palco pronta la volante dei Carabinieri. Scusate, ma in confronto a me Lenny Bruce si esibisce al Bagaglino.

Cos’altro? Be’, è stata un’estate di tanti viaggi in treno. Durante i quali ho capito che: 1) l’italica velocità dei vittoriosi sprinter pigliatutto non sembra essere trasmigrata dallo sport al sistema ferroviario, dati i ritardi e i guasti che ho incontrato; 2) quello del Covid19 è stato nient’altro che un complotto creato in laboratorio da una élite giudaico-massonica al solo scopo di far viaggiare qualcuno largo e spaparanzato in treno.

E poi stata un’estate di tanti incontri belli e importanti, tra cui segnalerei – non me ne vogliano gli altri –  il Festival “CONTAVALLE”, vicino Trento: una bellissima realtà che ha fatto del teatro uno strumento per fortificare davvero l’identità e i legami sociali di un territorio. Spiego: io lì ci ho portato “TROVATA UNA SEGA!”, ma oltre agli spettacoli di professionisti offerti al pubblico, nel Festival è attivo un interessantissimo esperimento (o forse qualcosa di più, ormai) di teatro partecipato, direttamente prodotto e offerto dagli abitanti, il tutto guidato da Tommaso Pasquini e Paola Pedergnana. Altre declinazioni, insomma, del bel modo di intendere il Teatro come “Arte della relazione”.

Last but not least: quest’ estate ho ripreso anche “COMEDIAN”, il mio recital di stand-up, che è nato nel 2008 ma poi ho un po’ trascurato (dato che ho fatto soprattutto i monologhi comici più specificatamente “teatrali”). “COMEDIAN”, ovviamente, non è lo stesso spettacolo di quando nacque: aggiungo e tolgo robe, per cui questa estate era quasi tutto nuovo… (cioè, in sostanza: non c’ho cazzi di cambiare ogni volta pure per questo spettacolo il titolo,  la foto e la locandina, per due motivi: 1) non mi va, non ho tempo, costa soldi; 2) nella foto della locandina sono bello, giovane e figo, quindi per questo spettacolo quella resta, sempre quella, anche quando avrò settant’anni, come i manifesti dei concerti di Guccini. Insomma, faccio esattamente il contrario di quello che ho visto fare ad alcuni comici ormai arrivati – i nomi non li farò neanche sotto tortura – che cambiano titolo e locandina ma poi lo spettacolo è sempre quello).

Ma ora che davvero arrivano i freddi autunnali, come non ricordare che è stata anche un’estate di vacanze? No, che dice che quest’anno se non facevi almeno un giorno di tour in Puglia, zona pressappoco Ostuni-Fasano-Polignano-Martina-Cisternino-Alberobello-Monopoli ecc. pare che non te l’avrebbero conteggiata proprio come “Estate”. E allora ci sono andato pure io…

Va be’, arrivederci alla prossima estate. Io un po’ già la sento, nell’aria.

Voi?

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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L'Ambrosiano

L’elettore renitente

Inquieta che poco più d’un italiano su due abbia votato. Si dà colpa al Covid; ma il virus ha accelerato processi e fatto esplodere questioni non viste, mistificate per anni. L’afflusso alle urne in calo è un piano inclinato. Variazioni tra politiche, europee, comunali non intacca il trend. Aiutato dalla politica, che dopo una pessima campagna elettorale, continua a parlare di sé, dei suoi guai, del disperato bisogno di sopravvivenza d’una classe dirigente in cerca d’autore. Il non voto rimanda a domande scomode su: senso della vita e della morte; esigenze basiche di convivenza; rappresentatività di istituzioni, organizzazioni politiche, sociali, economiche, culturali.

La prima riflessione investe una parola: libertà. Chi ha disertato le urne ha esercitato un diritto; da capire quale: al dissenso (non mi riconosco in questa politica e non trovo modi per farmi sentire); più radicalmente, a rivelare la percezione d’un’inutilità dello stare insieme al mondo; alla passività verso l’istituzione vissuta come persecutoria, così si reggono paure e insicurezze proprie. «La libertà è partecipazione» è progetto politico, oltreché canzone di Gaber d’un tempo. La libertà è connotata dal sostantivo che segue. Per memoria: ad Auschwitz campeggiava l’orrendo: «Il lavoro rende liberi». Ci si libera “da” qualcosa (tirannia), ma, riscattati, o si vive la libertà “per” o si rischiano altre schiavitù. Occorre chiedersi come recuperare dei “per”: progetti e sogni; esempi umani coerenti; piani con tempi, modi risorse, altrimenti sono «bla bla bla», dice Greta.

La politica da sola non ce la fa. Ma la socialità siamo noi e i politici che mascherano i vuoti loro con bandierine sui municipi sono Ombre di nostri disagi. Che riveliamo in altro modo. L’Italia non vota ma raccoglie più d’un milione di firme per il referendum sull’eutanasia. Dal web, lamenti di morte o disperato inno alla vita? Un esempio, il paradosso. Penso a Calvino; immaginiamo L’elettore renitente: rifiuto della chiamata alle urne, ma voglia di rinnovarsi ponendo il problema di vivere e morire; la lotta vita/morte apologo della coscienza e della fatica gioiosa della libertà “per”; idee su cui merita confrontarsi; scelte! Essendo cittadini, non followers.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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La nave di Penelope

Tanti piccoli Platone e Aristotele

Una rivoluzione copernicana degli istituti tecnici. Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, da quando è titolare del dicastero, parla di una riforma che riguarda questo gruppo di scuole superiori. E tra le novità necessarie, per dare una formazione che sia al passo con i tempi, il ministro ritiene che si debba introdurre la Filosofia tra le materie di studio.

Uno strumento per sviluppare il pensiero critico e meglio collocarsi nei grandi dibattiti della nostra epoca, sapendo argomentare e analizzare la realtà, sempre più complessa e con implicazioni, anche etiche, non trascurabili (si pensi a quelle che si aprono con l’avvento di nuove tecnologie che rasentano la fantascienza o all’enorme quantità di dati sensibili e personali che circolano utilizzando i social network, per esempio).

Vista la mia formazione accademica (ahimè sì, lo ammetto, sono laureata proprio in Filosofia), potreste obiettare che sono di parte, ma a mio parere è una delle idee migliori e più concrete che ho sentito formulare dal ministro in questi mesi. Tanto da essere sorpresa dai risultati del sondaggio realizzato dalla testata online Orizzonte scuola, secondo cui il 48 per cento di chi ha risposto è contrario all’introduzione della Filosofia negli istituti tecnici.

Negli anni passati, mi è capitato di parlare con alcuni dirigenti illuminati di istituti tecnici di Milano che hanno provato a proporre la Filosofia anche in questi indirizzi di studio. Chi con qualche lezione tenuta dal professore della sezione del liceo, chi con una sperimentazione gestita da docenti universitari. Un progetto, quest’ultimo, dell’Università Cattolica che prevede cicli di incontri e una lezione conclusiva in ateneo.

Anzi, dirò di più, questa collaborazione tra scuola pubblica e università ha mosso i primi passi portando la Filosofia nelle scuole elementari. Com’è possibile insegnare una materia così complessa ai bambini? Non c’è bisogno di conoscenze particolari, hanno già tutti gli strumenti di cui hanno bisogno. I bambini sono i filosofi per eccellenza. Perché qui non si parla di storia della Filosofia, di Kant e di Hegel, ma si passa direttamente alla pratica, al porsi domande su quello che ci circonda.

I più piccoli vengono coinvolti attraverso il gioco e il dialogo. Ed è sempre con il dialogo che si coinvolgono anche i ragazzi degli istituti tecnici. Gli studenti riflettono e si confrontano, mentre un docente veste i panni di Socrate, che con la maieutica guidava gli interlocutori attraverso le sue domande a cercare dentro di sé e a “partorire” la verità.

Ho avuto modo di assistere a uno dei loro incontri. Ho visto dei sedicenni che sognavano di diventare meccanici o di lavorare in ambito ingegneristico dimenticare il suono della campanella. Erano talmente presi a discutere e a argomentare le proprie ragioni su temi come “la bellezza nel mondo” – temi apparentemente ben lontani dalla loro quotidianità e dai loro interessi immediati – da dimenticarsi di tutto il resto.

Tanti piccoli Platone e Aristotele che continuavano a farsi domande e a darsi risposte, a portare avanti le proprie tesi. Farsi domande, pensare, darsi risposte, argomentare: sembra banale ma non lo è. Diversi hanno ammesso che queste lezioni hanno cambiato il loro modo di vedere le cose e di aver maturato un approccio più profondo a quello che li circonda. Un altro livello di comprensione del mondo.

Allora chiedo a chi è contrario all’introduzione della Filosofia negli istituti tecnici: siamo sicuri che in uno dei Paesi europei con la più alta percentuale di analfabeti funzionali d’Europa si voglia ancora negare questa possibilità a milioni di ragazzi?

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Mia cara Olympe

Un Nobel, uno scienziato simpatico e le ragazze Stem

L’hanno già detto e scritto in tanti: nell’anno in cui l’Italia ha vinto tanto, è arrivato anche un Nobel pesante come quello per la fisica, toccato, tra la fantastica ola delle studentesse e degli studenti della Sapienza di Roma, ad uno scienziato simpatico che studia cose difficilissime, che hanno a che fare con il disordine e la complessità come i vetri di spin, ma anche  poetiche come il volo degli storni che periodicamente ci incantano.

Il premiato, Giorgio Parisi, è stato impeccabile: primo suo pensiero, quello per la ricerca italiana che andrebbe assai più sostenuta, per ricercatrici e ricercatori in costante debito di attenzione e ossigeno economico che spesso prendono la porta e se ne vanno, mentre pochi  dall’estero ne arrivano. È una delle facce di quel fenomeno che pigramente chiamiamo dei cervelli in fuga e che drena da molti anni e per molte ragioni, intelligenze e giovinezze; fenomeno spesso evocato dalla politica ma sul quale poco veramente si fa. Così poco che si considera utile ad arginarlo persino una borsa di studio da 500 euro; avete capito bene, 500 euro per far sì che gli studenti sardi non prendano il volo dalla bella isola.

Il premiato di oggi è un brillante studente di ieri della stessa università in cui è amatissimo docente. Nel tentativo di capire  di cosa si occupa, mi sono imbattuta in un piccolo, bel film a lui dedicato, firmato da Gian Luca Bianco e Eugenio Alberti  nel 2013 per Rai cultura ‘Giorgio Parisi e la fisica della complessità’. 

Credo di avere capito qualcosa in più della sua ricerca e delle fisica in generale, nonostante i miei limiti già evidenti ai tempi del liceo per fortuna classico, ma a valere la visione sono soprattutto un paio di cose che racconta, percorrendo il corridoio dell’istituto di fisica della Sapienza e nominando gli scienziati che ci hanno lavorato (neanche una donna, sigh!) ed entrando poi in un’aula rimasta eguale a quando ci si sedeva da studente. Negli anni ’60 e ’70 quel posto, ricorda Parisi, era animato da giovani fisici e quella loro giovinezza colpiva e attraeva. Era gente che apriva le strade, che richiamava studenti, che aveva forti connessioni internazionali. Come il suo maestro, star internazionale della fisica teorica, Nicola Cabibbo, di cui il Nobel di oggi cita una frase che andrebbe scolpita nelle università e nelle teste di chi studia e di chi insegna: ‘Se non ci divertiamo a risolvere questo problema perché dovremmo studiarlo?’. L’altra cosa che Parisi sottolinea è lo scambio tra docente e discenti: dice che è stato fondamentale per lui avere una squadra di studenti, ragionare con loro, apprendere e passare conoscenze.

Bellissimo, in questi tempi in cui l’utilità – se non l’accontentarsi – sembra essere la parola chiave nella scelta dei percorsi e dei lavori e le passioni, gli interessi, la curiosità che Parisi giudica molle fondamentali appaiono come un lusso che non ci si può permettere. Tanto più per le ragazze, come ha ricordato giustamente Elisabetta Camussi su Repubblica qualche giorno fa,  sostenendo che, senza modelli cui ispirarsi e soprattutto senza un investimento pubblico a largo spettro che riguardi il lavoro, il welfare, la condivisione dei compiti di cura, persino la  giusta spinta affinché le donne si laureino nelle discipline Stem, fisica inclusa, rischia di essere soltanto l’ennesima prescrizione sociale caricata sulle loro spalle. ‘Chi aiuta le ragazze (ma anche i ragazzi) ad avere una visione di sé nel futuro? In un futuro bello e possibile, ossia realizzabile?” ha scritto. Ecco il punto – riguarda la scuola, il discorso pubblico e ovviamente la politica – affinché piccoli e soprattutto piccole Parisi  crescano e, semmai, portino anche a casa il Nobel.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Breaking Dad

Le mille e una note

Parliamo di cose serie. Un papà ce la mette tutta, si impegna per anni. Fin da quando sono piccolissimi, tenta di insegnare tutto il meglio di cui è capace ai suoi figli. Lo fa con l’esempio. Lo fa cercando di spiegare – anche – ma senza salire su un piedistallo. Lo fa offrendo loro le esperienze che, spera, lasceranno nelle loro anime un seme. E così, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Intanto, il papà osserva, prova a capire se la sua fatica sia compensata non solo dalla gioia quotidiana, ma anche dalla consapevolezza che i suoi figli siano sulla buona strada.

E poi, un bel giorno, devi fare i conti con la realtà: tuo figlio ascolta la trap.

“Papà, posso ascoltare Rondo?”

“Chi?”

“Rondo”

“E chi sarebbe?”

Ecco, questi i primi momenti fatali. E poi, veloce come uno speed metal, la  dura realtà si impone: Rondo, Neima Ezza, Baby Gang… a altri di cui, scusate, non ho afferrato il nome. Nella mia mente vedo John scuotere la testa, Jimi lanciare la chitarra e andarsene, David e Roger abbattere il muro, ma di casa mia, questa volta. Lucio, Vasco, Fabrizio, addio, scusate, ho fatto il possibile.

E niente, i ragazzini lo fanno. Fabrizio ha dieci anni, è a pieno diritto – viso l’andazzo anagrafico di questi anni – un ragazzino. E quindi gli piace la trap. Tocca ascoltare. Prima reazione: Fabri, ma non si capisce quello che dicono. Lapidaria risposta: io capisco. Dopo un po’ capisco anch’io, quando la mie orecchie si abituano a destreggiarsi nell’autotune.

I testi sono pesanti, violenti. Linguaggio gergale, vita di strada. Non lo so se a 10 anni vada bene quella roba lì. Poi però penso che quando ne avevo 12 mi dicevano che quei cantanti che io amavo mi avrebbero insegnato a drogarmi. Mai fumato una canna. Li ascoltiamo anche un po’ insieme, Fabri, che ne dici? (Ecco, l’insopportabile paternalismo si è fatto strada ma, d’altronde, essendo io un padre, ci sta…).

Nel frattempo, mentre tutto questo accade, accade davvero, Francesco è chiuso in camera a picchiare sull’elettrica. Escono fuori riff distorti di Metallica, Iron Maiden, Panthera, System of a Down. Già mi sento più a mio agio. Lui è per il metal. Lo ascolta e lo suona. Ci si sta appassionando davvero. Magari, Franci, non indossare proprio sempre magliette con i teschi, ma per il resto va bene così.

Qualche giorno fa mi dice: “Cavolo, papà, hai visto che vengono i Metallica in Italia? Al Firenze Rock”. Fingo distrazione… “Ah, non sapevo…”

-Sarebbe bello andarci… costa un po’…

-Quanto?

–  ******

-Apperò…

Dieci minuti dopo Francesco sta mandando messaggi a destra e a manca: “VADO AL CONCERTO DEI METALLICA!!!!!”

Con Fabrizio, invece, andiamo spesso a passeggiare suoi luoghi dei suoi idoli trapper. Caso vuole che abitiamo in zona San Siro (Zona Sette, dicono tra loro, aprendo la E a dismisura, che sembra quasi una A). A cinquecento metri da casa c’è quel piazzale Selinunte diventato teatro quasi mitico delle scorribande raccontate nelle “canzoni” e pure di qualche fatto di cronaca.

Capita di passarci in auto. Fabri si sporge dal finestrino, vede i ragazzi con i tagli di capelli giusti e quell’abbigliamento lì, ma anche i bambini scalzi nel giardinetto, i vecchi stanchi sulle panchine, i capannelli di uomini che stanno lì, fermi, a volte hanno delle bottiglie di birra in mano o posate sul marciapiede. In mezzo al piazzale c’è un presidio mobile di Emergency. Fabri osserva, ripassa mentalmente i testi dell’ultimo album che ha ascoltato su Spotify.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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