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Tra Buddha e Jimi Hendrix

La strana storia di Maharaji, il Santo con la coperta

Kainchi Dham è un piccolo ashram situato sulle sponde del fiume Kosi, alle pendici dell’Himalaya, in quella regione dell’India settentrionale chiamata Uttarakhand.
Fino all’11 settembre del 1973, giorno in cui lasciò il suo corpo, ci visse il santo indiano Neem Karoli Baba, per tutti Maharaji un uomo bizzarro e giocoso, perennemente avvolto in una coperta colorata che, un po’ a sorpresa, ha ispirato e influenzato alcune delle menti occidentali più influenti di questo secolo.
D’altronde Neem Karoli Baba era unico anche nel suo essere santo. Non ha mai tenuto alcun discorso né scritto articoli o libri. La sua dottrina, se così si può chiamare, passava attraverso azioni semplici, esempi pratici e una chiara esortazione: “Ama tutti, nutri tutti, ricordati di Dio. E dì sempre la verità”.
Le uniche pratiche che incoraggiava erano la continua ripetizione di mantra e canti devozionali. Che fossero ragga indiani per il dio scimmia Hanuman, gospel cristiani dedicati a Gesù o poesie del mistico Rumi per lui non faceva differenza.

Meditava spesso ma non ne era ossessionato come altri sadhu; anzi, spesso le persone che meditavano in sua presenza venivano riportate con gentilezza al qui e ora, la cosa più importante. Maharaji non voleva essere il guru di nessuno e mal sopportava avere intorno troppi seguaci, soprattutto se occidentali. Per lui contava solo l’amore, unico e incondizionato, verso tutti gli esseri viventi.
Pare che Neem Karoli Baba luccicasse, nel vero senso della parola. Testimonianze di persone di nazionalità, storia ed estrazioni sociali diverse hanno tutti sostenuto questo aspetto nei loro ricordi del mistico. Come fosse circondato da un’aura di luminosa benevolenza e pace. Mah, vai a sapere…
Sul finire degli anni sessanta, Richard Alpert, un inquieto psicologo trentacinquenne che aveva insegnato ad Harvard, partì per l’India in cerca di risposte. Insieme al discusso dottor Timothy Leary, Alpert stava da tempo eseguendo diversi esperimenti con l’Lsd per cercare di raggiungere la piena comprensione del sé più profondo degli esseri umani. Esperimenti assai discussi che gli costarono la cattedra ad Harvard e qualche altra seccatura ma lo trasformarono rapidamente in un personaggio molto noto negli ambienti della controcultura hippy del periodo.
Un lungo viaggio in India portò lo psicologo americano ad imbattersi nella strana figura di Maharaji, apparentemente uno dei tanti mistici che da sempre affollavano il paese. Eppure l’incontro con quel vecchio indiano un po’ sovrappeso e perennemente avvolto nella sua coperta stravolse le convinzioni di Alpert. Il santo sembrò leggergli dentro, capirne aspirazioni e turbamenti e, soprattutto, eliminare quel dolore e quella confusione che lo attanagliavano da anni.

Una sera Alpert offrì all’imperturbabile Baba degli acidi per studiarne l’effetto su un essere umano così singolare. E il santo li prese, sorridendo. Voleva dimostrare al confuso dottore che non stavano lì le risposte che cercava, non era lo stordimento dei sensi indotto da questa o quella sostanza la strada per raggiungere il proprio sé. Maharaji ingoiò una robusta dose di Lsd ma non successe nulla, allora il dottor Alpert gliene diede ancora, e poi ancora, un quantitativo capace di mandare fuori di testa un elefante. Ma il Santo se ne restava sempre lì, in pace, sorridendo imperturbabile.
Completamente sopraffatto dalla personalità del Baba, la vita di Alpert cambiò per sempre; scelse di spogliarsi del proprio ego, della conoscenza acquisita sui libri, di tutte quelle sovrastrutture mentali su cui aveva basato le proprie certezze fino a quel momento e, per diversi mesi, rimase all’ashram per imparare da Maharaji. Gli venne anche dato un nuovo nome, Ram Dass, che vuol dire ‘servitore di Dio’.
Poi, dopo qualche mese, il guru lo chiamò a sé e lo esortò a tornare in America per continuare laggiù il suo lavoro.

Completamente cambiato, Ram Dass rientrò in patria e cominciò a tenere incontri nelle università degli Stati Uniti, incontri dove chiariva ai giovani americani che c’erano modi ben più efficaci dei viaggi lisergici per raggiungere la consapevolezza, e questi modi passavano attraverso la meditazione, l’abitare il momento presente, la piena comprensione di essere tutti onde diverse di un medesimo oceano, l’annullamento dell’ego e, cosa più importante di tutte, l’amore per questo grande uno che ci comprende tutti. Concetti radicali per l’America dell’epoca, concetti che coinvolsero e travolsero poeti leggendari come Allen Ginsberg, o musicisti super famosi come George Harrison.
Quando nel 1971 uscì Be Here Now, il libro che Ram Dass scrisse ispirandosi agli insegnamenti di Maharaji, fu un successo pazzesco che vendette oltre due milioni di copie, e regalò ai giovani d’America una gran voglia di oriente (A proposito, a cinquant’anni esatti dalla sua uscita, il libro è stato finalmente tradotto in italiano, ed è uscito per i tipi di Armenia col titolo “Essere Qui Adesso”. Ve lo consiglio vivamente). Sempre George Harrison trasse ispirazione da “Be Here Now” per scrivere l’omonina canzone, presente nel suo secondo disco, “Living in a Material World”.
A quel punto, molti ragazzi tormentati in cerca di spiritualità e vogliosi di dare un senso alla propria vita, decisero di partire per l’India e incontrare Maharaji. La cosa incredibile fu che alcuni dei pochi che ci riuscirono, poi realizzarono cose sorpendenti. Come il giovane medico capellone Larry Brilliant, che farà parte del ristretto gruppo di scienziati dell’OMS che, dal 1973 al 1976, definirà i criteri per debellare il vaiolo dall’India; oppure Daniel Goleman, che diventerà uno psicologo e scrittore due volte candidato al Premio Pulitzer, autore del bestseller “Intelligenza Emotiva”, uno dei testi di riferimento della psicologia moderna. Per non parlare di Jeffrey Kagel, un musicista scapestrato e pieno di problemi, che grazie all’incontro col Baba diventerà Krishna Das, “la rockstar dello yoga”, il cantante di kirtan più famoso del mondo.

Fra questi ragazzi in cerca di un “senso” c’era anche un giovane californiano appassionato di nuove tecnologie che si chiamava Steve, Steve Jobs. Arrivato all’ashram di Maharaji qualche mese dopo la sua morte, l’inquieto Steve, indeciso su cosa fare della propria vita, avrà una visione profetica e creerà la sua azienda informatica: la Apple. La leggenda narra che deciderà di chiamarla così – Apple, che vuol dire mela – proprio perché Neem Karoli Baba era noto per regalare delle mele a tutti quelli che venivano a ricevere il suo darshan.
Si dice che l’ultima famosa visita all’ashram di Kainchi di cui si abbia avuto notizia riguardasse un ragazzino rossiccio vestito da turista che amava stare per i fatti suoi e si aggirava con profondo rispetto nei pressi della casa di Maharaji. Questo ragazzo aveva da poco inventato una piattaforma web dove si ritrovavano i vecchi compagni di scuola e l’aveva chiamato facebook. Il suo nome? Mark Zuckerberg, ovviamente.

Neem Karoli Baba non ha mai cercato pubblicità, ricchezza, potere. Non ha mai fatto proselitismo. Non ha mai scritto libri o dato regole di comportamento. Non fosse stato per il fortuito incontro con il dottor Alpert l’occidente non lo avrebbe mai conosciuto. E magari il giovane Steve non avrebbe avuto la visione di quella strana azienda che ha rivoluzionato il mondo dell’informatica.
In quest’epoca dove sembra contare più avere che essere, in questi anni dove apparire è sostanziale e dove la sostanza e un di più di cui è meglio non crucciarsi troppo perché neanche consuma, pensare che un guru indiano con indosso una semplice coperta, che aiutava gli altri, parlava d’amore e dell’importanza di ritrovare Dio, abbia influenzato alcune delle menti più importanti degli ultimi cinquant’anni fa davvero sorridere.
E poi pensare.
E infine sperare.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Greta e il Piccolo Principe

Ci manca il sogno oggi. Cerchiamo di rimediare a snaturamento di persone e ambiente, violenze, ingiustizie. Finalmente! Un manuale della sopravvivenza è però cosa diversa dal sognare. Un successo (Draghi dixit) riscoprire il multilateralismo, condividere le ragioni della scienza (massimo1 grado e ½ in più), 100 miliardi per vaccinare i poveri (non è amore del prossimo: si evitano virus di ritorno), stop agli alberi tagliati nel 2030 e uso contenuto del metano; ma non si possono curare le emergenze senza sogni. Greta è icona e coscienza critica per eccellenza.

La mobilitazione politica, sociale, culturale necessita immaginazione perché cambino stili di vita, modi di pensare, mentalità, scale di valori. Sognare è affidarsi a qualcosa che verrà oltre il nostro impegno, a un “come saremo” da fantasticare non da delegare ad algoritmi, a un’energia vitale che è anche in noi, ma di noi è più grande, la quale produrrà forme, realtà, modi da scoprire. Sognare è fare i conti con fragilità, precarietà, limiti umani. La coscienza della debolezza è la vera grande forza che può dischiudere le menti e muovere il mondo perché non pretende di dominarlo, possederlo, piegarlo entro gli orizzonti ciechi d’un ipertrofico e controllante Io. Grandi della terra e finanza “buona” (così detta perché i suoi trilioni daranno dividendi maggiori disinquinando atmosfera e ambiente invece d’investire in speculazioni, delocalizzazioni, armi) lavorino davvero per contenere dissennatezze e guasti mortali.

Greta e i milioni di giovani incalzino capi di Stato, Governi, multinazionali, fondi, smascherino ecomafie, burocrazie pubbliche e private, rendite di posizione. Ma da sogni, visioni, utopie, profezie nasceranno arcobaleni, verrà partecipazione,  affrancamento da simmetrie (pro e contro, buoni e cattivi: quelle che di solito impediscono di agire), verrà rilanciata la bellezza della Creazione e di un uomo “nuovo” che la abita. La speranza non son le date con le quali i Grandi giocano come al Monopoli. A dar fiducia che nelle generazioni il mondo sarà diverso è quel che diceva il Piccolo Principe: «L’essenziale è invisibile agli occhi». E nutre l’anima, dilata il respiro, fa volare alto. L’essenziale è sogno.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Crisi climatica e Cop26: noi tranquilli a bordo piscina

“Ho l’impressione che le cose non siano ben capite o ritenute necessarie. Non vedo la gente che installa pannelli solari sui tetti. A Roma sui tetti vediamo più piscine che celle solari”. Il Nobel per la fisica Giorgio Parisi oggi sul Corriere della sera, a margine della Cop26 di Glasgow richiama, oltre alle responsabilità della politica mondiale, quella di ciascuno di noi in relazione alla crisi climatica.

E l’immagine funziona: eccoci tranquilli a bordo piscina, sotto un bel tramonto romano, mentre il pianeta malato si ammala ogni giorno di più. Come mai non riusciamo a percepire la gravità di quanto accade?  Come mai non pensiamo, o non lo facciamo abbastanza, che la sfida per invertire la rotta ci riguardi individualmente a partire dai nostri comportamenti e dalle nostre scelte? Eppure i segni,  preoccupanti e ormai vicinissimi, si moltiplicano: l’altro giorno Catania affondava nell’acqua di un ciclone mediterraneo che ha causato vittime, l’estate è stata segnata da roghi mai cosi violenti  di boschi e foreste e altra gente ne è morta mentre le temperature salivano implacabili e via dicendo. Veloci risposte: siamo un paese vecchio, proprio nel senso dell’età media e l’orizzonte personale di tanti di noi fa sì che il rischio  individualmente percepito sia debole, i giovani sono pochi e, come sappiamo e su molte faccende, poco conta ed è ascoltata la loro voce. Siamo un paese, (un continente, un mondo) in cui il legame sociale è usurato e ognuno gioca per sé. Siamo un paese di scarsissima cultura scientifica e di altrettanto scarsa fiducia nella scienza: nonostante la durezza, i numeri e le storie della pandemia, bastano le proteste novax a ridircelo ogni santo sabato. Siamo, infine, umani:  siamo, banalmente, esseri ad alta adattabilità  e con una certa capacità di mettere la testa sotto la sabbia. A maggior ragione quando il messaggio che arriva è pauroso, colmo di incognite e problemi che fanno apparire minuscola, ininfluente cosa ciò che individualmente ciascuno può fare.

È per questo che abbiamo bisogno, non solo di allarmi, non solo di previsioni catastrofiche seppur corrette, ma anche, sul fronte della crisi climatica, di buone notizie che ci facciano pensare che sì, quest’anno all’assemblea condominiale  vediamo di proporre l’installazione dei pannelli solari. Non ce ne sono di buone notizie, direte, e non a torto e vedendo  le difficoltà del vertice di Glasgow. Non ce ne sono, e in compenso gira, anche sui media che hanno una enorme responsabilità, un sacco di  retorica e altrettanto greenwashing, noteranno i più critici. Tutto vero, ma per esempio sapevate – io no –  che l’università di Milano Bicocca ha un avamposto alle Maldive per studiare un corallo che possa resistere al cambiamento climatico e che sarebbe vitale per la sopravvivenza di quelle isole? O che l’Italia è leader in Europa per l’economia circolare, con il 79,4% di riciclo sul totale dei rifiuti? È vero, siamo noi e solo noi i responsabili della crisi climatica e dello stato in cui versa la Terra, ma siamo sempre noi, parola del novantacinquenne e straordinario documentarista sir Richard Attemborough, ‘i maggiori solutori di problemi del nostro pianeta’.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Piovono Rane

I potenti nella nuvola e il pianeta sotto

La nuvola di Fuksas a Roma, dove si sono incontrati i potenti del mondo, è un enorme bozzolo di acciaio sospeso da terra. Ed è difficile non vedere un po’ di metafora in quella distanza, con il pianeta sotto e loro sopra.

Sospesi nella nuvola, i potenti dovevano dare una risposta su ambiente, pandemia, e disuguaglianze.

Sull’ambiente è arrivata la promessa di contenere l’aumento della temperatura entro un grado e mezzo “attorno a metà del secolo“.

Aldilà della vaghezza della deadline (la Russia, ad esempio, ha già detto che loro intendono come 2060, non 2050!) stabilire obiettivi e rifiutare le misure per raggiungerli  – come avvenuto sul carbone – sono cose in palese contraddizione tra loro

Il tutto mentre la scienza dice che il target del grado e mezzo in più sarà sforato già tra dieci anni, nel 2030.

E poi i vaccini: a parole, tutti per immunizzare il 70 per cento della popolazione mondiale entro la fine del 22.

Nei fatti, nessuna liberalizzazione dei brevetti neppure provvisoria e nessuna azione neppure persuasiva verso le aziende che li possiedono – e che da quasi un anno stanno facendo profitti per oltre 4 miliardi al mese.

Infine l’accentramento mai visto di capitali nelle mani di poche aziende globali che eludono le imposte.

Apple Google, Amazon e Facebook – 50 miliardi di profitti solo nell’ultimo trimestre – pagheranno al massimo il 15 per cento.

Chi vive del suo lavoro paga invece (minimo) il 23 per cento.

È la progressività al rovescio, Robin Hood al contrario.

La nuvola era lì, con il suo acciaio blindato sospeso nell’aria.

Il pianeta, con le sue ingiustizie, è rimasto sotto.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Breaking Dad

Dolcetto… o apro il bianco?

La notte di Halloween è passata. Non sono venuti a bussare alla mia porta – per fortuna – lupi mannari, zombie o Micheal Myers vari. Sono quindi tranquillo e posso pensare a come questa festa sia diventata per i miei ragazzi un punto fermo. Un appuntamento non solo imperdibile ma anche consueto, tradizionale. In pochi anni, tutto sommato. Quando ero bambino io – e non è che abbia l’età della Mummia, eh… – se ne sentiva a malapena parlare. Al massimo, ma proprio al massimo, era una citazione in qualche cartone animato americano, tipo Scooby Dooh.  La zucca con la faccia, ecco, sì, qualcuna la si vedeva nei “telefilm” ( le “serie”, dai, avete capito maledetti ragazzini) o in certe vetrine del centro come decorazione autunnale. Ma niente di più.

Ieri sera Halloween si è sdoppiata. Il ragazzo medio-grande al mare, il ragazzo medio-piccolo a fare “dolcetto o scherzetto” a casa di un compagno di scuola. Francesco era nientemeno che sulla riviera romagnola. I genitori di uno dei suoi amiconi hanno un appartamento e lo hanno invitato a passare con loro il ponte. Mi ha telefonato, verso sera. Era felice, si sentiva dalla voce. Si sentiva anche la risacca delle onde. Il mare, d’inverno. (“è un concetto che il pensiero non considera”). Mi ha mandato le foto. Niente festa, dunque, quest’anno. Del resto, è nell’età di mezzo per cui a travestirti da Dracula ti senti un deficiente e però per ballare tutta la notte da qualche parte sei ancora troppo piccolo. E quindi, perfetta soluzione: la maratona di film horror con l’amico, vista mare. Che poi dalla battigia può sempre arrivare un qualche essere armato di machete, capita.

Il medio-piccolo, invece, era reduce dalla partita di campionato della sua squadra. Pare abbia segnato cinque goal. Mi sembra fin troppo eppure giurano che sia vero. Alla festa della sera è arrivato euforico. Lo si vede dalle foto che puntualmente sono arrivate. Faccette insanguinate, occhietti sbarrati, ragnatele, maschere, nero, rosso e arancio. Bottiglie di Coca cola, biscottini.

In effetti, per i ragazzini è una ricorrenza del tutto acquisita. C’è Halloween, poi Natale, poi Carnevale. Anzi, forse ancora più del Carnevale stesso. Non manca una parte commerciale naturalmente, che ha spinto perché ci fosse una festa in più, che fa sempre comodo. Ma, del resto, ai primi di ottobre sugli scaffali dei supermercati ci sono già pandori e panettoni. E li avete comprati, dai, non dite di no. E il 7 gennaio arrivano i coriandoli. Quindi, niente di nuovo. Però Halloween per loro sembra avere una marcia in più. Forse perché si può fare paura e prendere un po’ di paura, senza farsi male. Si esorcizza la paura. La si incamera, la si disarma diluendola in un bicchiere di succo di frutta nel bicchiere decorato con i pipistrelli.

Mi viene in mente che di paura ne hanno avuta, questi ragazzini. Di ammalarsi, che si ammalasse la nonna, di non andare più a scuola, di vedere gli amici solo con una videochiamata, di non fare più goal. Brutte cose. Molto peggio di un vampiro o di una mummia vivente. E allora, che bello vedervi, lì, a correre su e giù per le scale con i cestini a forma di zucca pieni di caramelle. Che se poi vi apre una strega, bé, saprete affrontarla: avete passato di peggio.

Quanto a me, la sera di Halloween, ho suonato a un amico che mi ha aperto indossando degli occhiali finti con disegnati sulle finte lenti degli occhi mostruosi.

“Dolcetto… o apro il bianco?”

“Meglio il Dolcetto”.

“Ok, stappo”.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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    Giocare col fuoco: storie, canzoni, poesie di e con Fabrizio Coppola Un contenitore di musica e letteratura senza alcuna preclusione di genere, né musicale né letterario. Ci muoveremo seguendo i percorsi segreti che legano le opere l’una all’altra, come a unire una serie di puntini immaginari su una mappa del tesoro. Memoir e saggi, fiction e non fiction, poesia (moltissima poesia), musica classica, folk, pop e r’n’r, mescolati insieme per provare a rimettere a fuoco la centralità dell’esperienza umana e del racconto che siamo in grado di farne.

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    Quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto. Ogni domenica dalle 13.20 alle 14.00, a cura di Stefano Ghittoni.

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