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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Maharishi, l’India e la Meditazione Trascendentale: quando i Beatles si elevarono verso stati più elevati di coscienza…

Hotel Hilton di Londra, Inghilterra, 24 agosto 1967, ore 15 circa.
In un universo parallelo forse John Lennon, George Harrison, Paul McCartney e Ringo Starr sarebbero quattro normali ragazzi inglesi poco più che ventenni, che amano il calcio, lavorano in qualche fabbrica di Liverpool e nel weekend si sbronzano al pub giocando a freccette.
Nel nostro universo invece sono tutto fuorché normali. Si ipotizza siano addirittura più famosi di Gesù. E, blasfemia a parte, nel febbraio del 1968 è altamente probabile che i teenager europei e americani abbiamo sentito parlare più dei Beatles che del Cristo.
In quel periodo, questi quattro nuovi messia, conoscono il saggio indiano Maharishi Mahesh Yogi, che si trova a Londra per insegnare la Meditazione Trascendentale.
Si tratta di un’antica tecnica mentale indiana capace di ridurre stress, ansia, centrando maggiormente la persona nella realtà e aumentandone la consapevolezza. Più un’altra serie di innegabili benefici che toccano tanto la componente fisica quanto quella spirituale.
L’incontro con Maharishi si rivela proficuo, così ne segue un altro a Bangor in Galles, a cui prende parte anche Mick Jagger.
Mentre i quattro si trovano in Galles, li raggiunge la notizia della morte di Brian Epstein, il loro manager e pigmalione.
Lennon e Harrison superano il terribile lutto anche grazie alla consapevolezza ottenuta con la nuova pratica, e decidono di aiutare Maharishi a divulgarla a quante più persone possibili.
Lo yogi finisce così in prima serata al David Frost Show. Il risultato? Il giorno dopo migliaia di persone accorrono ai centri di rigenerazione spirituale per chiedere informazioni.
Anche George e John partecipano al David Frost Show per parlare esclusivamente di Meditazione Trascendentale.
Rigenerati dalla cura Maharishi, i Fab Four decidono di approfondire la loro conoscenza della pratica e pianificano un ritiro nell’ashram indiano del maestro. In particolare è Harrison, che da tempo ha iniziato un lungo percorso spirituale che lo accompagnerà poi durante tutta la vita, a spingere per recarsi in India.
John e George, con le rispettive mogli, arrivano all’ashram di Rishikesh, lontano 150 miglia dalla capitale, il 16 febbraio del 1968, in taxi.
Paul McCartney, la sua compagna Jane Asher, Ringo Starr e sua moglie raggiungono invece il posto quattro giorni dopo.
Sono presenti altre celebrità dell’epoca, tra cui Mia Farrow, Mike Love dei Beach Boys e il menestrello Donovan.
L’ashram, il cui nome ufficiale è International Academy of Meditation, sorge nei pressi del Gange, proprio ai piedi dell’Himalaya. Un luogo altamente suggestivo.
La vita quotidiana scorre in modo rilassato. Le giornate trascorrono fra lunghe sedute di meditazione, l’ascolto delle lezioni di Maharishi e periodi di socializzazione.
Il saggio indiano si rileva assai disponibile con i Beatles, dando loro lezioni private, visto che sono giunti quando il corso è già iniziato da tre mesi.
I reporter intanto si scatenano dando ampio risalto alla notizia; la permanenza dei Beatles in India si rivelerà uno degli eventi chiave che daranno un ulteriore e definitivo slancio al forte interesse per le dottrine orientali, in particolare indiane, che caratterizzerà la cultura giovanile occidentale degli anni a venire.
Di quel periodo super chiacchierato sui giornali dell’epoca rimane la famosa fotografia di Maharishi con i suoi famosi discepoli al fianco. Lo scatto è tuttora considerato come uno dei più emblematici della storia del rock.

Ringo e la moglie sono i primi a rientrare in Inghilterra dopo due settimane perché hanno nostalgia di casa e dei figli. Al suo ritorno, il batterista, racconta di essersi trovato molto bene, di meditare ogni giorno e di sentirsi una persona migliore.
Paul parte invece con Jane il 26 marzo, al termine di cinque intense settimane, anche lui completamente soddisfatto dell’esperienza.
John e George, invece, scelgono di trattenersi più a lungo ma, dopo alcune settimane di apparente beatitudine, rompono l’idillio e lasciano improvvisamente l’asharan. Tornato in patria, John si scaglierà pubblicamente contro lo yogi, arrivando a dichiarare: “Abbiamo commesso un errore”. Scriverà quindi la canzone Sexy Sadie, dedicata proprio a Maharishi, dove il guru viene dipinto come un uomo supponente e subdolo, che utilizza il proprio potere per sedurre le sue giovani allieve. Pare che alla base dell’ arrabbiatura di John e della conseguente partenza di lui e George ci sia una voce secondo la quale Maharishi avrebbe fatto delle pesanti avances a Mia Farrow durante un puja.
Una voce che ben presto si rivela totalmente infondata e messa in giro dall’ingegnere del suono dei Fab Four, Alex Mardas, per tutti Magic Alex. Dopo l’improvvisa scomparsa di Brian Epstein, Alex ambisce alla prestigiosa poltrona di quinto scarafaggio, e vede nella figura del Maharishi un possibile ostacolo nella gestione della band.
Jenny Boyd, ex cognata di George, racconta: “Allora arrivò Magic Alex. Venne perché non era d’accordo che i Beatles meditassero e voleva che John rientrasse in Europa. Divenne amico con un’altra ragazza del nostro gruppo, li vedevo camminare insieme nell’ashram, ovviamente complottando qualcosa”.
Nella sua autobiografia, Cynthia Lennon riporta: “Alex e un’altra ragazza cominciarono a piantare i semi del dubbio in menti molto aperte… la voce sparsa da Alex – che Maharishi fosse stato indiscreto con una certa donna, rivelandosi un mascalzone – cominciò a guadagnare terreno. Tutto senza una minima prova o giustificazione. Per me era ovvio che Alex volesse più di ogni altra cosa i Beatles lontani dall’India. Ci fu molta confusione e, in mezzo ad accuse e rabbia, Maharishi venne accusato e condannato senza avere la possibilità di difendersi. Alex chiamò subito un taxi per l’aeroporto e fece in modo che John e George non avessero possibilità di parlare con Maharishi”.
Deepak Chopra, scrittore ed ex braccio destro del leader del movimento di Meditazione Tracscendentale, sostiene invece un’altra versione: Maharishi, colpito negativamente dal continuo uso di droghe da parte dei membri della band, ne chiede conto a George e John, che indispettiti decidono di andarsene.
Altri ancora ritengono che il motivo della partenza dei due sia invece da ricercare nel film documentario su Maharishi le cui riprese sono previste in quei giorni. I Beatles non vorrebbero prendervi parte ma non sanno come dirlo al guru, così decidono di andarsene adducendo la scusa delle attenzioni alla Farrow.
Il mistero verrà chiarito soltanto parecchi anni dopo quando Star e Harrison prenderanno parte a un concerto in onore di Maharishi e lo loderanno pubblicamente, scusandosi per le tante falsità che si sono dette riguardo la loro dipartita dall’India.
In seguito sarà George stesso a smentire categoricamente quelle voci e fornire una versione definitiva all’intera faccenda: “In India qualcuno cominciò a spargere voci negative su Maharishi, voci che hanno invaso i “media” per anni. C’erano molte storie sul fatto che Maharishi non fosse a un livello… non si sa bene di che cosa, ma questo era detto solo per gelosia. Ci vorrebbero degli psichiatri per capire. Non so che cosa passò per la testa di certe persone, ma so che tutta questa merda fu inventata. Probabilmente è persino riportato nei libri di storia che Maharishi cercò di importunare Mia Farrow – in realtà la voce riguardava un’altra ragazza americana bionda con capelli corti, come Mia. Ma sono tutte balle, completamente balle.”.
E sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizzeranno Star e McCartney.
Qualsiasi sia stato il valore dell’esperienza della meditazione per i Beatles, il viaggio in India con Maharishi genera comunque un periodo straordinario per la loro creatività. Quasi tutte le canzoni che appariranno nel White Album e in Abbey Road vengono scritte in quelle poche settimane. Persino Ringo compone una canzone, Don’t Pass Me By.
Per la prima volta dopo anni il cervello di John è libero dalle droghe e la musica gli esce fuori come un fiume: Julia, Dear Prudence, The Continuing Story Of Bungalow Bill, Mean Mr.Mustard, Across the Universe, Cry Baby Cry, Polythene Pam, Yer Blues, I’m So Tired.
Anche Paul è molto prolifico e scrive quindici canzoni tra cui: Wild Honey Pie, Rocky Racoon e Back in the USSR. Mother Nature’s Son è addirittura ispirata da una lezione sulla natura di Maharishi; la medesima lezione ispira anche John che compone I’m just a child of nature, il cui titolo in seguito verrà cambiato in Jealous Guy. Dear Prudence viene invece scritta per la sorella di Mia Farrow, Prudence, che ancora oggi è un’apprezzata insegnante di Meditazione Trascendentale.
Qualche anno dopo anche John Lennon rivalutò l’esperienza indiana, dichiarando: “In India scrissi centinaia di canzoni. Scrissi alcune delle mie canzoni più belle. Era un bel posto. Bello e sicuro, e tutti sorridevano sempre. L’esperienza ne è valsa la pena, se non altro per le canzoni che sono venute fuori. Siamo ancora al cento per cento in favore della meditazione,anche se non andremo a costruire un tempio dorato nell’Himalaya”.
Gli fa eco Paul: “Guardando indietro sento che l’esperienza con Maharishi è stata molto valida. Erano i pazzi anni ‘60, avevo usato molte droghe, non ero innamorato di nessuno, non ero tranquillo. Penso fossi alla ricerca di qualcosa per riempire un buco. Ricordo che mi sentivo un po’ vuoto. L’esperienza della meditazione è stata un grosso dono che Maharishi mi ha fatto per tutta la vita, ancora oggi uso il mio mantra. È stato sempre nel retro della mia mente. Per esempio quando ero in prigione in Giappone è stato molto utile; ho meditato molto laggiù ed è stata un’ottima cosa. Non mi permettevano di scrivere e non volevo stare lì a fare niente. La mia mente era agitata e la meditazione mi è stata d’aiuto.
La trovai molto utile allora e la trovo molto utile ancora oggi. Ora dico ai miei figli: “andate a imparare il vostro mantra, perché, se mai vorrete meditare e siete in cima a una montagna da qualche parte, saprete che cosa fare”.
Dopo molti anni ma l’esperienza è ancora viva e apprezzata nell’universo fab four.
Yoko Ono, in un’intervista rilasciata a Rolling Stone nel 2009, ha aggiunto: “John sarebbe stato il primo oggi, se fosse ancora qui, a riconoscere e ad apprezzare tutto quello che Maharishi ha fatto per il mondo”.
Che altro aggiungere? George ha meditato per tutta la sua vita, Ringo e Paul lo fanno ancora oggi. La meditazione è tutt’ora praticata in tutto il mondo, da attori, cantanti, artisti ma anche tanta gente comune in cerca di nuova consapevolezza. Venti minuti al giorno, due volte al giorno. Vale anche per il sottoscritto.
E allora tutti giù, in acque profonde, alla ricerca del nostro album bianco.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Piovono Rane

Pecore e leoni, che non lo sono

Ieri ho seguito le due manifestazioni no pass più importanti, Milano e Torino, con le rispettive voci di persone comuni e oratori dal palco.

Tra le cose che mi hanno colpito, l’accusa frequentissima agli altri di “avere paura”. Cioè di accettare il vaccino, e quindi il certificato verde, per paura personale, per tremebonda codardia di fronte al virus che loro invece affrontano petto in fuori, “meglio morti che schiavi”.

La paura. Che poi è normale e comprensibile sentimento umano: e immagino che sì, molte persone si siano vaccinate per avere meno probabilità di finire intubati, o morti. Penso a un paio di miei amici diabetici, ad esempio, che non vedevano l’ora di avere le due dosi. Can you blame them, seriamente?

Ma è proprio di molti anche l’approccio opposto, quello eroico, diciamo. Quello dell’orgogliosa chiusa di Robert Kennedy jr, all’Arco della Pace, ieri, “morirò nei miei stivali”. Ricordate “sine ullo metu”? Era una delle frasi più frequenti nelle versioni di latino: è l’idea del coraggio come valore, valore ben più nobile della paura, spesso indicata come codardia.

E fin qui, potrebbero essere scelte, approcci esistenziali: da una parte la paura e dall’altra il coraggio.

Le continue metafore belliche con cui è stato definita (appunto) la “guerra al virus” confermerebbero questo dualismo.

Il che, però, è solo un’ulteriore prova di come quelle metafore belliche fossero sbagliate.

Per tanti motivi.

In guerra, tanto per cominciare, il coraggioso difende gli altri: è la sua eroica resistenza, là in prima linea, a consentire al codardo in retrovia di scappare.

In questo caso – quello del Covid – è un po’ diverso: l’eroica resistenza del no vax mette in pericolo in primis lui, certo, ma aumenta il rischio anche per gli altri, che hanno comunque il 25-30 per cento di probabilità di infettarsi. Qui l’eroe non svolge alcuna funzione meritoria per gli altri, mi pare. Un po’ strano, come eroe.

E questa è già una prima asimmetria.

Ma ce n’è una seconda, forse un po’ più decisiva.

Una seconda che il no-vax non prende nemmeno in considerazione.

E cioè: ma se la mia paura non riguardasse soltanto me ma soprattutto gli altri, la società nel suo insieme?

Voglio dire: io, ad esempio, come under 60 (seppur per poco) senza alcuna malattia pregressa ho pochissime probabilità di finire in ospedale, ancor meno intubato, ancor meno nella tomba: così almeno dicono le statistiche, che mi danno più probabilità di schiattare nella gita in moto fuori porta.

Quindi, personalmente, potrei abbastanza fregarmene no?

Ma invece sì, ho paura: per tutto il resto.

Ho paura perché ho visto cosa ci succede attorno quando l’epidemia dilaga. I vecchi e i deboli portati via nei camion, la gente chiusa in casa, i pacchi alimentari, le malattie psichiche, la coda disperata al supermarket, l’azzeramento del reddito di chi non è un lavoratore dipendente, gli elicotteri della D’Urso che inseguono i runner, i bambini e i ragazzi privati della socialità, i negozi chiusi e le strade deserte. E tutto il resto, è storia di ieri anche se lo abbiamo rimosso.

Sì, ho paura di vivere ancora in un posto così. E francamente, non la trovo codardia. Così come non trovo eroico chi si crede tale ma non svolge alcun ruolo positivo per gli altri.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Mia cara Olympe

Violenza domestica: ‘Maid’ e il reddito di libertà

Funzionerà  il reddito di libertà, misura di sostegno economico  – fino a 400 euro al mese per un anno –  pensata per le donne vittima di violenza con o senza figli? Per avere una risposa, o meglio per capire come dovrebbe funzionare guardate ‘Maid’, la straordinaria serie americana firmata da Molly Smith Metzler, con Margaret Qualley e Andie McDowell, storia di ‘normale’ violenza domestica, di uomini che bevono e di rifugi per donne che da loro scappano, storia delle vite luccicanti e insieme oscure degli altri, quelli nelle cui case la giovane protagonista Alex pulisce e pulisce a otto dollari e 50 centesimi l’ora per pagare a se stessa e alla propria bambina la libertà di andare, lasciarsi alle spalle relazioni abusanti e difficili e inventarsi una vita nuova.

Ma quella è l’America, si dirà, l’America dei bianchi poveri, delle vite che cascano a pezzi e senza reti di protezione, delle sperequazioni intollerabili tra ville da riviste d’arredamento e catapecchie precarie o roulottes nei parcheggi, tra cappotti di cashmere e cibo spazzatura, tra lavori d’élite e cessi luridi – ne dovrà pulire 380 Alex per costruirsi la propria via d’uscita.  Eppure, tra le moltissime cose che ‘Maid’ suggerisce, interrogando in profondità e con i dovuti chiaroscuri la relazione di coppia e, altro importantissimo tema, quella tra Alex e  sua madre, alcune sono assai utili  a capire di cosa ha bisogno una donna che, pur di non vedere più pezzi di un bicchiere rotto dal partner tra i capelli della sua bambina, scappa da casa e poi, dinamica nota, ci ritorna per scapparne di nuovo. ‘Maid’, va detto, è ispirato ad una storia vera, al memoir di Stephanie Land, edito in Italia da Astoria ”Donna delle pulizie. Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre  e ciò  restituisce un peso specifico alla storia di Alex, proprio nel senso indicato da Annie Ernaux, per la quale la scrittura è ‘ricerca del reale, del reale sociale, collettivo, del reale delle donne’ e l’io è, appunto, un io collettivo. Storia di una per leggere quella di tante, insomma.

E dunque il reddito di libertà: c’è una sequenza in cui Alex – la bimba in braccio, una notte passata in macchina dopo i pugni contro il muro troppo vicini per non capire che è l’ora di prendere Maddy e fuggire via – si rivolge ai servizi sociali. Lei ha cambiato, al seguito della madre errante dopo aver lasciato il padre, sei licei diversi, non ha soldi, non ha lavoro, lui non l’ha picchiata e lei non vuole denunciare quel che ancora non le è chiaro come abuso psicologico, sulla sua famiglia non può contare. Il colloquio è surreale e se vi ricorda anche l’Inghilterra di certi film di Ken Loach non sbagliate: ‘Può darmi qualcosa di utile? Ha qualche abilità particolare? Lavora?’ chiede l’assistente sociale. ‘No’ .’Mi servono due buste paga per metterla in lista per una casa popolare e l’elenco è lungo’. ‘Non potete fare nient’altro per noi?’ ‘Sinceramente senza un lavoro, no’. ‘Ma come posso trovare lavoro se non ho i soldi per l’asilo? ‘Quando avrà un lavoro potremo fare domanda per i fondi per l’asilo pubblico’. ‘Serve un lavoro per dimostrare che mi serve un asilo per lavorare?  Ma che cazzata è questa?’ conclude amara Alex.

Ecco: chi scappa, chi si rivolge ad un centro antiviolenza ha bisogno di ascolto e di aiuto, non di schiantarsi contro il muro di gomma della burocrazia e del rinvio ad altro ufficio o a una carta che non è mai quella giusta. E se l’Italia non è l’America già a leggere qui come inoltrare la richiesta si vede la farraginosità dei tanti passaggi, già i centri della rete D.i.Re notano che, per ottenere la misura, è prevista una certificazione dei servizi sociali che ‘non è necessaria né per l’astensione dal lavoro a causa della violenza, né per gli assegni familiari, mentre invece è stata imposta per il reddito di libertà’. Per non parlare poi dello stanziamento  complessivo: la rete calcola che i soldi stanziati potrebbero aiutare nel loro percorso di autonomia ‘al massimo 625 donne in tutta Italia, quando sono oltre 20.000 ogni anno le donne accolte nei soli centri antiviolenza della rete D.i.Re, e circa 50.000 nel totale dei 302 centri antiviolenza contati dall’ISTAT nel 2018′. Certo la coperta  del welfare è corta, certo non tutte le donne vittime di violenza hanno problemi economici, ma molte per svariate ragioni sì e devono sapere su cosa, ed effettivamente, possono contare. Una misura strutturale chiede la rete D.i.Re, perché strutturale è la violenza. E l’efficace espediente narrativo di ‘Maid’ ritorna in mente: mentre Alex fa la spesa, mentre si sforza di far partire la vecchia macchina per andare a lavorare, in ogni momento della sua vita difficile una sorta di tassametro segnala, a lei e a noi che vediamo, il calare delle sue scarsissime finanze. È un indicatore concreto e, insieme, una metafora della possibilità di farcela a tirarsi fuori da relazioni tossiche. La nuova misura ha un  nome impegnativo, reddito di libertà, tocca onorarlo.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La nave di Penelope

Scalate, vette e classifiche: fanno davvero bene alla scuola?

La pubblicazione dell’ “Eduscopio” è uno dei momenti concitati dell’anno dei cronisti che si occupano di scuola. Si tratta di un portale della Fondazione Agnelli che ha l’obiettivo di aiutare le famiglie o gli studenti che stanno concludendo le medie nella scelta del liceo o dell’istituto tecnico o professionale in cui iscriversi. I ricercatori, attraverso l’analisi dei dati occupazionali o del rendimento universitario degli ex studenti nei due anni successivi al diploma, investono le varie scuole di punteggi che indicherebbero la qualità della preparazione che impartiscono. In questo modo si creano, inevitabilmente, delle classifiche.

Le classifiche e i dati sono cose a cui nessun giornalista riesce a resistere. Così, alla vigilia della pubblicazione dei dati online, noi cronisti apriamo in anteprima le tabelle del territorio di riferimento e li confrontiamo con quelli degli anni precedenti, cercando una chiave di lettura.

A volte commentiamo i risultati con i colleghi che seguono anno dopo anno l’argomento. “I paritari sono scesi, c’è la rivincita degli statali. Poi hai visto che quest’anno, finalmente, tra i licei classici c’è una new entry che viene dalla periferia?”. Ci si confronta come tifosi all’estrazione dei gironi della Champions League. Ma, in realtà, buona parte di noi si chiede se questa classifica, come altre, aiuti davvero studenti e famiglie nella scelta della scuola migliore per loro.

Un dubbio portato avanti anche da alcuni dirigenti scolastici, che a volte accolgono con sollievo il fatto di scendere dal podio. Spiegano che più si è in alto e più si ricevono richieste di iscrizione, trovandosi inevitabilmente a reindirizzare qualcuno per mancanza di posto. Uno dei presidi di un blasonato liceo scientifico milanese, sempre sul podio, fa notare, ogni anno, che ci sono ottime scuole che risultano assenti dalla top 10 e che magari ricevono meno iscrizioni proprio per questo.

E poi si sa, quando le scuole hanno troppe richieste, devono mettere dei criteri di selezione. E spesso, a fare la differenza, è la pagella di seconda media. Così si inizia presto a fare questa rincorsa alla vetta. Che continua alle superiori: per arrivare alla lode alla maturità si parte dai voti della terza superiore. Ma questo voler eccellere a tutti i costi, senza mai potersi permettere errori, fa davvero bene ai ragazzi? Davvero vogliamo dei giovanissimi agonisti della lavagna, sempre in competizione con i propri coetanei fin da piccoli?

In ogni caso, per la scelta di una scuola, può contare davvero solo la performance degli ex studenti? Se si considera il livello occupazionale dei neo diplomati, cosa succederà alla classifica quando verrà preso in considerazione un momento di flessione del mercato del lavoro? Nell’Eduscopio di quest’anno non si sente del tutto l’ “effetto Covid” dal momento che prende in considerazione i risultati dei diplomati del 2015/16, 2016/17 e 2017/18 fino al settembre del 2020.

Anche nel caso dei risultati universitari, gli anni di riferimento sono gli stessi. Questo significa anche un’altra cosa: si parla di persone diplomate fino a tre anni fa. In che modo questo può restituire una fotografia fedele di quanto avviene dentro a una scuola? In tre anni possono essere cambiati i dirigenti scolastici, i docenti. E ovviamente i ragazzi. Possono esserci state riforme, cambi di programma e pandemie. Come è successo effettivamente, portando la scuola in Dad, con tutte le conseguenze del caso.

Ci sono anche altri fattori che uno strumento che valuta la performance non prende in considerazione: come le proposte, l’innovazione e i progetti che le scuole portano avanti. Soprattutto quelli che riguardano la sfera sociale e dell’inclusività. Tutti argomenti che meritano di essere presi in considerazione quando si sceglie di passare cinque anni di un’età così difficile, come l’adolescenza, dentro a una scuola e non un’altra. Il liceo non è l’università, a volte si dimentica questo aspetto.

Per tutte queste ragioni penso che lo strumento dell’Eduscopio sia utile, perché può dare indicazioni interessanti, ma da solo non è sufficiente per prendere una decisione. Che cosa ne pensate? Mi piacerebbe conoscere le vostre idee. Scrivetemi a: lanavedipenelope@gmail.com

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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L'Ambrosiano

La protervia di Lukashenko, e di chi come lui; l’Eros di Malala e delle amiche

La notte e il giorno, il male che umilia e la ferita che come in un quadro di Fontana squarcia la tela, schiude alla speranza. In una settimana la vita pubblica mostra due facce: Lukashenko trafficante di Stato lancia migliaia di disperati attratti con l’inganno contro l’Europa da cui (2020) venne bollato usurpatore (solo la Lega fan di Putin s’astenne); Malala, ridotta in fin di vita dai talebani mentre andava a scuola (2012), simbolo del riscatto femminile, ora si sposa col suo Asser Malik: rilancia tragedia e sogni delle afgane e delle donne vittime di violenza. La cultura classica ha una parola per nominare la protervia dei dittatori: ubris. La propensione a contendere al divino il potere di disporre dei destini umani rimanda a radici oscure: l’etimo è ignoto anche ai linguisti.

Per contrastarla la civiltà ha opposto Dike, la giustizia. La storia è tumultuoso scontro tra i due poli. Lo spettro di ubris è vasto e contagioso: la manipolazione (la Polonia vuol prevalere sul diritto comunitario ma ora fa la vittima per finanziarsi i muri che già progettava); la violenza agita, cui né organismi internazionali (impotenza cronica Onu), né istituzioni comunitarie (l’Europa immatura in solidarietà, esteri, difesa, esposta a ricatti: Erdogan ante Lukashenko docet), né quelle nazionali (foraggiamo la guardia costiera libica e i suoi lager); la presunzione (Regione Lombardia sfida le opposizioni sulla Sanità: non ha imparato né dal Covid, né dalla storia: l’unità batté l’emergenza terrorismo, non i singoli egoismi).

Malala non la favola rosa, ma la via di Eros. L’amore tien testa a ubris. Eros nasce da Penia (la povertà) e da Poros (l’espediente ingegnoso). Penia fu esclusa dagli dei in festa per la nascita di Afrodite. Non s’arrese. Quando Poros ubriaco per le divine bevute s’abbandonò sul prato, approfittò di lui e rimase incinta. Eros non è frecce e cuoricini, cartiglio di Baci Perugina, ma passione, inesausto desiderio. Dalla madre prese il valore della mancanza; dal padre inventiva e lasciarsi andare. É energia psichica, investe, si dona, rifiuta il possesso, genera legami. Gli dei sull’Olimpo fan festa e i Lukashenko invidiosi credono di dominare altri e mondo con patimenti e morte. Eros è vita. Malala e le sue amiche con lui.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    In onda dal 2001, Prospettive Musicali esplora espressioni musicali poco rappresentate. Non è un programma di genere, non è un programma di novità discografiche, non è un programma di classici dell’underground, non è un programma di gruppi emergenti. Ma è un po’ tutte queste cose mischiate insieme dal gusto personale dei conduttori. Ad alternarsi in onda e alla scelta delle musiche sono Gigi Longo e Fabio Barbieri, con un’incursione annuale di Alessandro Achilli che è stato uno storico conduttore del programma.

    Prospettive Musicali - 16-03-2025

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    News della notte di domenica 16/03/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

    News della notte - 16-03-2025

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    La sacca del diavolo di domenica 16/03/2025

    “La sacca del diavolo. Settimanale radiodiffuso di musica, musica acustica, musica etnica, musica tradizionale popolare, di cultura popolare, dai paesi e dai popoli del mondo, prodotto e condotto in studio dal vostro bacicin…” Comincia così, praticamente da quando esiste Radio Popolare, la trasmissione di Giancarlo Nostrini. Ascoltare per credere. Ogni domenica dalle 21.30 alle 22.30.

    La sacca del diavolo - 16-03-2025

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    Percorsi PerVersi di domenica 16/03/2025

    Poesie, liriche, sonetti, slam poetry, rime baciate, versi ermetici, poesie cantate. Ogni settimana Percorsi PerVersi incontra a Radio Popolare i poeti e li fa parlare di poesia. Percorriamo tutte le strade della parola poetica, da quella dei poeti laureati a quella dei poeti di strada e a quella – inedita – dei nostri ascoltatori.

    Percorsi PerVersi - 16-03-2025

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    Bohmenica In di domenica 16/03/2025

    "Bohmenica In", curata da Gianpiero Kesten e co-condotta da Zeina Ayache, Gaia Grassi, Astrid Serughetti e Clarice Trombella, con ospite fisso Andrea Bellati, colonizza la domenica su Radio Popolare. Tra curiosità scientifiche e esistenziali, la squadra porta contributi settimanali come una famiglia allargata, condividendo idee e buon umore dalle 19.45 alle 21.00. La missione è divulgativa e d'infotainment, in uno spirito di condivisione e riflessione tipico della domenica.

    Bohmenica In! - 16-03-2025

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    Mash-Up di domenica 16/03/2025

    Musica che si piglia perché non si somiglia. Ogni settimana un dj set tematico di musica e parole scelte da Piergiorgio Pardo in collaborazione con le ascoltatrici e gli ascoltatori di Radio Popolare. Mail: mischionepopolare@gmail.com

    Mash-Up - 16-03-2025

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    Bollicine di domenica 16/03/2025

    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 16, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

    Bollicine - 16-03-2025

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    Gli speciali di domenica 16/03/2025 - ore 17:00

    I reportage e le inchieste di Radio Popolare Il lavoro degli inviati, corrispondenti e redattori di Radio Popolare e Popolare Network sulla società, la politica, gli avvenimenti internazionali, la cultura, la musica.

    Gli speciali - 16-03-2025

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    Giocare col fuoco di domenica 16/03/2025

    Giocare col fuoco: storie, canzoni, poesie di e con Fabrizio Coppola Un contenitore di musica e letteratura senza alcuna preclusione di genere, né musicale né letterario. Ci muoveremo seguendo i percorsi segreti che legano le opere l’una all’altra, come a unire una serie di puntini immaginari su una mappa del tesoro. Memoir e saggi, fiction e non fiction, poesia (moltissima poesia), musica classica, folk, pop e r’n’r, mescolati insieme per provare a rimettere a fuoco la centralità dell’esperienza umana e del racconto che siamo in grado di farne.

    Giocare col fuoco - 16-03-2025

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    La Pillola va giù di domenica 16/03/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 16-03-2025

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    Comizi d’amore di domenica 16/03/2025

    Quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto. Ogni domenica dalle 13.20 alle 14.00, a cura di Stefano Ghittoni.

    Comizi d’amore - 16-03-2025

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