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Appunti sulla mondialità

Una storia in movimento

Le migrazioni umane risalgono alla notte dei tempi, a quando l’Homo sapiens si spinse fuori dalla natia Africa fino a conquistare ogni angolo della Terra. Una migrazione avvenuta a piedi, che man mano creava insediamenti e sottraeva spazi al mondo animale. Negli imperi del passato esistevano migrazioni, volontarie o forzate, che erano il risultato di conquiste territoriali e consolidavano un modello agricolo, economico e culturale. Migrazioni dovute anche a motivi climatici, per esempio in concomitanza dei periodi glaciali, determinarono la fine di Stati che sembravano eterni, come l’Impero romano. Imponenti movimenti di popoli si svilupparono attraverso i mari, come la grandiosa espansione dei popoli polinesiani nel Pacifico o, dal XV secolo in poi, quella degli europei lungo le rotte del colonialismo nascente. Ci sono stati migranti per motivi religiosi, come i puritani in America settentrionale e gli olandesi in Sudafrica; per conquistare nuove ricchezze e terre agricole strappandole ai popoli originari, come in America meridionale; o per superare ancestrali ingiustizie, con radici risalenti al Medioevo, come nella grande ondata che dalla metà dell’Ottocento svuotò intere regioni povere di Irlanda, Spagna, Portogallo e Italia.

Nel corso del Novecento i movimenti migratori cambiano direzione: dalla direttrice Nord-Sud si spostano su quella Sud-Nord. Da continenti che avevano ricevuto migranti europei (Africa, America centro-meridionale, parte dell’Asia) cominciano a partire migranti verso i Paesi del Nord, diventati più ricchi ma entrati in recessione demografica. L’invecchiamento della popolazione ha liberato milioni di posti di lavoro: l’economia di questi Stati richiede manodopera giovane e disposta a lavorare nell’industria e nell’agricoltura, poi anche nei servizi alla persona. Questa rimane una delle grandi contraddizioni dei flussi contemporanei di migrazione: sono vitali per l’andamento dell’economia dei Paesi più avanzati, ma questo loro ruolo non viene riconosciuto. Anzi, si dà vita a contraddizioni giuridiche, discriminazioni, talvolta strumentalizzazioni politiche.

Nella lunga storia delle migrazioni, il fatto di assoluta novità emerso in tempi recentissimi è l’uso dei migranti come arma di ricatto o come strumento per destabilizzare altri Paesi. È stata la Turchia a inaugurare questa fase, “monetizzando” l’accoglienza dei profughi siriani sul suo territorio per ottenere fondi europei e garantirsi immunità riguardo la svolta autoritaria in corso nel Paese. Anche il Messico vive una situazione paragonabile. Da terra di emigranti è diventato Paese di passaggio per i profughi centroamericani che vogliono entrare negli Stati Uniti: e ciò gli ha fornito un nuovo strumento per ottenere vantaggi da Washington. Ora è il turno della Bielorussia, che scaglia contro le frontiere polacche la forza d’urto di migliaia di migranti, allo scopo di calmierare le sanzioni contro il regime di Minsk imposto dall’Unione Europea. Sta seguendo la linea vincente della Turchia. Nel suo piccolo, anche la Libia in mano alle bande armate tiene sotto ricatto l’Italia, e incassa lauti aiuti. E il Marocco negozia con la Spagna per la sicurezza delle roccaforti spagnole di Ceuta e Melilla, prese d’assalto da giovani che vorrebbero entrare in Europa.

Questo mix esplosivo di autoritarismo e disperazione mette in seria difficoltà i Paesi presi di mira. Perché non si può sparare contro i civili, e l’opinione pubblica sopporta sì la presenza di lager e che si lasci la gente al freddo d’inverno, ma solo lontano dai propri confini. E poiché oggi i confini sono soltanto una convenzione, alla fine si negozia. È una triste realtà che non si riesce a superare e alla base della quale ci sono da un lato il fallimento dei Paesi dai quali la gente vuole solo scappare e dall’altro l’ipocrisia dei Paesi che credono sia possibile un mondo con isole di benessere accerchiate da un mare di disperazione. Un mondo che diventa sempre più simile ai quartieri chiusi latinoamericani per soli ricchi, dove si vive fingendo che tutto funzioni e di essere sicuri, ma solo perché al confine ci sono il filo spinato e le guardie armate a difendere la tranquillità.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Breaking Dad

La febbre del sabato sera

Sabato sera, ore 22.35. Autostrada A4, direzione Cormano. Cosa ci faccio qui? Ho mal di testa, il naso completamente tappato e nello stesso tempo gocciolante (ma come fa a essere entrambe le cose contemporaneamente?). Ho i brividi, gli occhi sono due fessure (a tratti una, in realtà: si danno il cambio). Eppure era cominciata diversamente.

 

Papà, posso andare a dormire dal mio amico, domani sera? Daaaai….”

“Può venire Fabri a dormire da me domani sera? Daaaai….”

“Senti, Fabri viene da noi domani sera? Per me no problem, poi lo vieni a prendere il mattino”

Tre indizi fanno una prova che non si può confutare: Fabrizio andrà a dormire dal suo amico. Va bene, ottimo. Potrò dedicare la serata a suo fratello, Francesco, che è grande ormai (anche se nella mia testa ha appena smesso di guardare Peppa Pig) e di certo sarà ben felice di una bella cena e chiacchierata con il maschio adulto di riferimento, che sarei io. “Vedi Franci, la vita, a volte,… ma passami il whisky mentre io metto su questo vinile di jazz…”    E invece.

“Papà, io domani sera vado al compleanno di Tizio-che-fa-musica-con-me”

“Ma… di sera?”

“Sì, certo”

Il whiskey resterà in dispensa, il vinile fermo, la voce non assumerà il tono da Humphrey Bogart che avevo immaginato. Sarà per un’altra volta.

La festa a cui è stato invitato è un inedito assoluto. Non si svolgerà al parchetto, con i tavolini del pic-nic, e nemmeno a casa dei nonni del festeggiato, che hanno fatto la torta e comperato la tovaglia di carta dei Super Eroi. Macché. Sarà nel salone di un albergo di un noto Corso del centro di Milano. Ma sei sicuro Franci? Sì, è sicuro. A mezzanotte finiscono. Oh, sollievo, un limite orario a questa sfacciata ostentazione di crescita repentina. A mezzanotte ci sarò, ti vengo a prendere, tanto Fabri dorme dal suo amico. In macchina sono dieci minuti.

Nel frattempo, mentre tutto questo accade, il capo dei capi dei rhinovirus –  che non aveva evidentemente niente di meglio da fare – decide di infilarsi nelle mie vie aeree e fare un po’ il cavolo che gli pare. Nel giro di un paio d’ore capitolo e divento come quello della pubblicità dell’aspirina con la voce intasata, la copertina sulle gambe, i termometro in bocca. Ma proprio quando sto per vergare le mie ultime volontà, realizzo: questa sera sarò solo! Fabri dall’amico, Franci alla festa. Sarò in silenzio. In penombra. Al calduccio. Allora posso farcela!

Alle 20.30 tutto è compiuto. Figlio medio-piccolo sta divorando una pizza davanti alla playstation a casa del suo amico (“qui tutto bene, papà!), Figlio medio-grande sta cenando e mi ha appena mandato la foto di un risotto elegantemente impiattato (“oh papà, ci sono i camerieri!)”.

Io mi sto godendo la quiete che mi dà forza per combattere contro Rhino, che però resiste, malefico. Non sto benissimo, per la verità. Ma queste tre ore al caldo faranno la differenza. Ce la posso fare.

La telefonata arriva alle 22. Fabri la prende larga. “Papà come stai? Io bene. La pizza era buona… però… ho nostalgia…”. La voce barcolla. Tre, due, uno. “Vieni a prendermi?”. Il dio del Raffreddore guarda giù e ghigna, sadico. No, no, non può essere vero! E non è giusto: mi opporrò, farò ricorso alla Corte Internazionale dei diritti dei papà.

Ma certo, Fabri, mi vesto e arrivo”.

E così, eccomi qua, nel posto dove ogni uomo con il naso costipato, gli occhi arrossati e la testa che pulsa vorrebbe trovarsi alle dieci e mezzo di sera, a novembre. Sulla tangenziale. E cosa c’è di meglio? Ho i brividi. Alzo il riscaldamento ma ho freddo lo stesso.

Ah, nel frattempo ho aggiornato Franci. Perché la situazione si complica. A mezzanotte il figlio medio-piccolo sarà addormentato. Come faccio ad andare all’albergo a prendere il festaiolo? “Non c’è problema, prendo un taxi”. Ma sei sicuro, figlio medio-grande? E’ sicuro. La sua serata, già eccezionale, del resto, si arricchisce così di un finale quasi hollywoodiano.  “Segua quella macchina”, disse al tassista uscendo in smoking dal party nell’hotel…

Epilogo. A mezzanotte e mezza dormono. Fabri felice di essere a casa, Franci galvanizzato dalla sua serata straordinaria. Io sono inebetito sul divano. Annaspo. Prima di trovare la forza di alzarmi e andarmi a lavare i denti, penso: la cosa importante, in fondo, non è essere sulla tangenziale con la testa che ti scoppia e un taxi da organizzare. Ma avere qualcuno per cui valga la pena di farlo.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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Mia cara Olympe

C’è la quarta ondata; caro amico non ti telefono più

Ci sono amici ai quali non telefono più. Amici cari, con i quali ho riso e litigato tanto, con i quali ho condiviso guai ed allegrie, progetti e delusioni pubbliche e private.

Ci sono amiche che non si danno pace: l’amica-sorella di una vita ridacchia e non sente ragioni. Anche a costo di non vedersi, di perdersi, di stare lontani. Altre cambiano discorso per non litigare, per non ferirsi, ma quel non detto rimane lì a pesare nell’aria e inciampa anche la confidenza più rodata.

Intanto le cene – per carità a gruppi piccini e tavoli allungati – sono già pervase da quella sottile incertezza: e adesso? Ci rivedremo presto o meglio prendere una pausa, meglio stare un po’ più attenti? Prima di Natale, chissà, vediamo. Qualcuno  ha già una strategia: massimo 4 persone, ovviamente vaccinate, intorno al tavolo e molta cautela.

I più prudenti che non erano ancora tornati al cinema o a teatro adesso se ne dolgono: vedi mai che tra un po’ non si possa di nuovo. La terza dose per molti non è ancora vicina, non sono passati i fatidici sei mesi, e mentre festeggiamo chi l’ha già fatta, ci sentiamo più vulnerabili: inizia a fare freddo, i bambini e i ragazzi vanno a scuola, un paio di giorni di mal di gola allarmano le notti, un amico confessa che la paura è tornata a fargli scomoda compagnia, la coperta del vaccino che ha protetto la nostra estate si è fatta più corta e più lisa, le notizie non confortano, qui e lì. Natale? Boh, meglio non pensarci.

E sullo sfondo ci sono i nostri amici, quelli che non sentiamo, quelli con i quali si è aperta una faglia, che ogni giorno si allarga e che ormai contiene non solo un forte dissenso, ma anche un qualche giudizio morale. Eppure. I nostri amici non sono né stupidi, né fascisti. Anzi. Non li chiamiamo più proprio per non ascoltare quel tono saputo di chi del mainstream non si fida, e può stordirti con l’elenco delle malefatte di Big Pharma, può citarti studi e ricerche di nicchia – mica quelli che leggi tu sul Corriere della sera – che dimostrano che il covid è un grande abbaglio di massa mentre siamo, e proprio tu non te ne sei accorta, alla prova generale della società del controllo sotto l’imperio di tecnocrati alla Draghi. E tu pensi invece che qui c’è in ballo qualcosa di più esposto, di più nudo, qualcosa da proteggere in te e negli altri. Qualcosa che viene prima. In fondo hanno paura, dice la tua amica psicologa, mancano di empatia, ha argomentato lo scrittore Emanuele Trevi: nel senso di quella connessione con l’umano che c’è in  ciascuno e in tutti e che ci fa ha fatto assumere la responsabilità di vaccinarci, per noi stessi e per gli altri. Nonostante i dubbi, il timore, la campagna su AstraZeneca, le polemiche sul green pass e via dicendo.

Dovresti voler chiamare i tuoi amici, dovresti avere voglia di spiegare, di incazzarti, di comunicare. Di chiedere di rispettare, loro, la tua paura e la tua vulnerabilità. Ancora e ancora. Sono i tuoi amici in fondo. E c’è la quarta ondata, i paesi intorno stringono di nuovo e di più le maglie,  l’Austria impone l’obbligo vaccinale, i numeri crescono, tre quarti di mondo è senza vaccino. The big picture, come non vedere? Come non accorgersi che quel qualcosa che viene prima di ogni discussione si fa ancora più fragile, perché abbiamo poche energie e molti problemi e dunque va ancora di più e reciprocamente protetto? E invece no. Non hai più voglia, né più fiducia che parlarsi significhi parlarsi. Ti capita per le mani un articolo molto centrato di Annamaria Testa, La gran voglia di tirare i remi in barca, non riguarda questo aspetto, ma è proprio così. Sulla tua barca oggi manca qualcuno che prima c’era e che adesso vuoi solo tenere lontano.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

La Letizia (pentita?), il Cavaliere Bianco e la Guerra per la Rosa camuna

Il blitz contro le infiltrazioni della criminalità in economia e istituzioni è stato presentato dai media con il clamore della novità. Eppure a maggio la Cassazione aveva condannato a sette anni e mezzo Domenico Zambetti (già assessore della giunta Formigoni) in via definitiva per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa.

Correva l’anno 2010; altre magagne emersero, provocando: dimissioni di Formigoni (che poi passò i suoi guai); Consiglio regionale sciolto (13 inquisiti); voto anticipato (2013). Il centro sinistra provò col volto pulito di Umberto Ambrosoli. Ma ai lombardi andò bene l’usato sicuro: Pirellone al centro destra (Maroni). Guida leghista ribadita nel 2018 con Fontana. Il vaso di Pandora scoperchiato ora, colmo di affari mafiosi e relazioni con poteri economici e politici (la Magistratura dirà quante vittime e quanti collusi) offre un’occasione alla Lombardia: prepararsi al voto del 2023 con un patto antimafia tra politica, rappresentati economici e professionali; amministrazione pubblica.

Un gentlemen agreement magari davanti a un nome terzo: Gratteri, Procuratore a Catanzaro. Intanto tra i partiti s’intravede il duello: per il centrodestra la Moratti (Letizia pentita? L’attuale vicepresidente, che porta in dote la brutta Riforma sanitaria, dovrà spiegare quali informazioni da Sindaco le fecero dire che la mafia a Milano non c’era quando dalla sua parte politica stava Zambetti); nel centro sinistra il volto è sconosciuto al momento (timidi? Classe dirigente sparuta? Liti?) ma visto che Letta è venuto a Milano «per lanciare la sfida a Fontana» la fantasia corre a un Cavaliere “bianco”, cui toccherà di fare un po’ di storia (le denunce su ecomafie e rifiuti tossici da Nord a Sud son degli inizi Anni Novanta: secolo scorso!); autocritica (dopo Tangentopoli da sinistra candidati improponibili o improvvisati e bruciati); riscoprire il territorio; formare giovani; far proposte credibili e di sinistra che compete, non di testimonianza. Non possono sottrarsi al patto rappresentanti di Industrie, Credito, Commercio, Ordini professionali: sanno che le zone grigie son terreno di coltura d’infiltrazioni e avvelenano la Rosa Camuna.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Il tè nel deserto

Il futuro del cinema Odeon di Milano

Per molto tempo quando Corso Vittorio Emanuele, alle spalle del Duomo, aveva una sala di proiezione quasi ogni 100 metri si usava dire “Milano la città dei cinema”. Negli ultimi vent’anni poco a poco si sono spente le luci dei proiettori per lasciare spazio alle vetrine di negozi di abbigliamento, di maquillage, di biancheria intima e scarpe. L’ultimo in ordine di tempo, nel 2017 è stato l’Apollo, sostituito dal megastore della Apple. Ora è arrivata la notizia, che già circolava in via ufficiosa, del dimezzamento del Cinema Odeon: nel 2024 cinquemila metri quadri di quegli spazi diventeranno un centro commerciale. Nato come teatro nel 1803, diventato cinema nel 1929 e multisala nel 1986, nella nuova versione l’Oeon dovrà comunque preservare i vincolo architettonici, come il foyer, i pavimenti in marmo e lo scalone principale. Il luogo che sabato sera ha puntato i suoi fari su Lady Gaga per l’anteprima glamour di House of Gucci è pronto per spegnere le luci e aprire i cantieri.

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

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    Giocare col fuoco: storie, canzoni, poesie di e con Fabrizio Coppola Un contenitore di musica e letteratura senza alcuna preclusione di genere, né musicale né letterario. Ci muoveremo seguendo i percorsi segreti che legano le opere l’una all’altra, come a unire una serie di puntini immaginari su una mappa del tesoro. Memoir e saggi, fiction e non fiction, poesia (moltissima poesia), musica classica, folk, pop e r’n’r, mescolati insieme per provare a rimettere a fuoco la centralità dell’esperienza umana e del racconto che siamo in grado di farne.

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    Quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto. Ogni domenica dalle 13.20 alle 14.00, a cura di Stefano Ghittoni.

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    C'è Di Buono: Nicolò Scaglione presenta il suo libro "Sul gusto (o del gusto)"

    Ospitiamo Nicolò Scaglione: foodscout, gastronomo, scrittore, filosofo. Da diversi anni conduce ricerche e assaggi con meticolosità quasi ossessiva. Prima su prodotti e produttori, poi su ristoranti, principalmente di avanguardia. Il 18 aprile uscirà nelle librerie (ma si può già acquistare dal sito dell’editore Maretti e Manfredi Edizioni) il suo “Sul gusto (o del gusto) - Saggi di filosofia gastronomica”. Una raccolta di saggi brevi che riflettono e interrogano sulla materia del cibo, sulla ristorazione, sulla critica gastronomica, un libro che si apre con la prefazione di Ferran Adrià e con l’introduzione di Niko Romito. Parleremo della sua storia professionale e di questo nuovo lavoro. A cura di Niccolò Vecchia

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