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L'Ambrosiano

Meno figli, più solidarietà e “sogni possibili”. Poesia, civitas, politica

Nessun PNRR fermerà il declino se non si cambia testa: tutti, non solo i politici. Due esempi. Uno: Draghi s’è arreso all’egoismo di destra: no al contributo di solidarietà per il caro bollette a carico di chi supera 75.000 euro (neanche 300 euro nel 2022, meno d’un caffè al giorno!). Due: lacrime di coccodrillo di partiti, media, intellettuali per la denatalità. Senza bambini non ha futuro il Paese, che però non ha domani se non corregge disuguaglianze, ingiustizie, perversioni che rendono più poveri i poveri e più ricco chi già lo è. Ne Il villaggio di cartone, film sui migranti, 10 anni fa Olmi ammoniva: «O cambi la storia o la storia cambierà te». Da poeta e profeta d’accoglienza trasformò una chiesa vuota in rifugio di disperati. Oggi si costruiscono muri a Est; spicca l’impotenza d’un’Europa stanca come noi (pur con politiche per la famiglia più lungimiranti); Meloni e Salvini alzano la voce (copre vuoti e confonde la gente). Forse non aveva torto Mimmo Lucano con Riace aperta ai migranti; la tremenda sentenza che l’ha bollato più d’un criminale dice lo spirito del tempo: un Paese preda d’una resistenza inconscia al cambiamento, sino al cupio dissolvi. Un incubo. A Natale, con la coppia archetipica dei migranti (Giuseppe e Maria appaiono tali nei vangeli, tra ricerca d’un posto a Betlemme e la fuga in Egitto) la Chiesa in cui papa Francesco predica “sogni possibili” e laici sostenitori d’associazioni umanitarie potrebbero immaginare corridoi umanitari che portino famiglie d’Asia e Africa, offrendo borghi spopolati ad esempio sugli Appennini. Sindaci virtuosi danno case a prezzi simbolici a chi s’impegna a ristrutturarle, al Sud: opzione endogamica, però, per chi ha già e vuol di più. Precedendo la politica con immaginazione e idee si offrirebbero un futuro in umanità, vita economica, sociale, culturale. Una scelta di civiltà (l’Italia ha già avuto utopisti: Olivetti, don Zeno, Danilo Dolci, Capitini, Spinelli) con effetti collaterali: utilità pubblica (tutela di monti, boschi, fiumi, agricoltura, artigianato) e compimento di profezie senza tempo: piedi per terra e occhi al cielo. Scrive Gibran: «I vostri figli non sono figli vostri. / Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ballando nel Silenzio: un viaggio tra misticismo e razionalità

Darinka Montico, che affettuosamente chiamo la furia, è una di quelle poche persone ancora capace di sorprendermi. Rappresenta la dimostrazione lampante che il coraggio vuole ridere, così come l’universo, e se riesci davvero a giocare con la vita, alla fine il Signore, la legge di natura, o l’energia che soggiace l’esistenza di questo casino in cui viviamo – scegliete voi come volete chiamarlo – finisce per ricompensarti.
Ma attenzione, giocare con la vita non significa credere che la vita sia un gioco, la frase sembra simile ma il concetto é profondamente diverso.
Giocare con la vita vuol dire desiderare conoscere e conoscersi, parafrasando il maestro Battiato. Vuol dire affrontare le difficoltà con sobrietà e leggerezza fin dove possibile, senza sentirsi dei martirizzati quando si presentano ostacoli più o meno importanti.
“Non c’è niente nella vita da prendere seriamente eccetto il godere della vita stessa” diceva Maharishi Mahesh Yogi, il mistico indiano che portò in occidente la pratica della Meditazione Trascendentale.
Che in parole spicce vuol dire vivere ostacoli e cambiamenti come delle opportunità.
E vuol dire anche, ad esempio, dopo essere state lasciate dal fidanzato a un passo dall’altare come successo a Darinka, non trascorrere la vita a recriminare la tremenda ingiustizia subita maledendo il genere umano, ma rimettersi in discussione e affidarsi completamente alle persone. E così rimarginare le proprie ferite. Nel caso di Darinka questo è coinciso con la decisione di attraversare l’Italia a piedi, da sola e senza soldi, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, affidandosi all’ospitalità degli sconosciuti disposti a offrirgli una cena e un posto per la notte. E lei in cambio, se ne restava ore ad ascoltare quello che avevano da dire, raccogliendo i loro sogni – che spesso sono i nostri più grandi segreti – in biglietti di carta che poi portava con sé. Se conoscete un modo più poetico ed efficace di ritrovare fiducia nell’umanità dopo un tradimento, fatemelo sapere.
Questa esperienza è poi stato raccontata in un libro ultra indipendente, “Walkabout Italia”, che è diventato un successo underground da diverse migliaia di copie e ha trasformato questa bionda e sorridente giramondo originaria di Baveno, sulle rive del lago Maggiore, in una piccola star del web.
Viaggiatrice impenitente, Darinka si è poi concessa un mezzo giro del mondo senza prendere aerei, in modo eco-sostenibile, una traversata dell’Atlantico in barca vela, e di un altro bel pezzo di mondo in bicicletta. E non aveva ancora smesso di viaggiare quando la “longa mano” della pandemia si è stretta intorno al mondo. Darinka si trovava in Indonesia, pronta a ripartire e invece…
Rimasta bloccata a Bali a un passo dai 40 anni, ha deciso di vivere quella pausa forzata non come una costrizione ma come un’opportunità per realizzare l’unico viaggio che ancora le mancava: quello dentro sé stessa. E lo ha fatto seriamente, con mente aperta, curiosità e anche una certa dose di attenzione, perché dietro alla “beatitude” matchata Namasté, non sempre tutto gira limpido come un torrente himalayano. Tra viaggi con l’ayahuasca, meeting online con guru indiani ben introdotti dentro il business spirituale, centri di yoga, pittori schizzati che trovano la propria realizzazione attraverso la magia dei sigilli e un nuovo amore sullo sfondo, questa ragazza eccezionalmente normale ha trascorso i lunghi mesi in cui il mondo si è fermato alla ricerca di un modo per accettare se stessa, tracciare una quadra nel complicato rapporto con i genitori e comprendere qualcosa di più sul senso più profondo e spirituale della vita.
Un viaggio importante, a tratti anche goffo, certamente sincero, che si è concretizzato nel libro “Ballando nel Silenzio”, uscito da qualche tempo per i tipi di Altrevoci Edizioni, nuovo editore che pubblica storie capaci di accarezzare i lettori più esigenti e inquieti.
In un mondo dove il self-help, la ricerca spirituale e la riscoperta delle nostre dimensioni metafisiche vengono urlate, vendute come certezze e commercializzate come l’ultimo Big panino, questo libro va in direzione diametralmente opposta. Come una giovane Terzani post apocalittica – e in certi passaggi il suo modo di raccontare mi ha piacevolmente ricordato “Un Indovino mi disse” – Darinka non insegna, non traccia percorsi, non vende certezze a prezzi modici ma condivide gratuitamente i suoi dubbi con noi, e nel farlo si spinge oltre, rischia di suo, e poi condivide l’esperienza. Sì, esattamente come un esploratore dell’anima, che cammina, vede, raccoglie e racconta. Che poi è l’unico modo possibile, e aggiungerei credibile, per muoversi su certi territori così affascinanti ma nei quali la sola certezza è che certezze non ce ne sono.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Breaking Dad

Babbo Natale? Diciamo che lo stimo

Prima o poi doveva succedere. Non ci crede più neanche lui. Passi il grande, che ha il 45 di scarpa, sfila in corteo e va alle prime feste serali. Lo ammetto: è ragionevole che lui non creda più a Babbo Natale. Ma il piccolo, il cucciolo di casa! Ma come?! E non è stata colpa del vescovo-Grinch di Noto. E neanche della Commissione Europea con le sue circolari. E’ successo con naturalezza, come le cose che devono succedere.

Si fa la letterina: Franci il grande sta al gioco, come da un po’ di anni a questa parte, Fabri il piccolo elenca i desideri. Questo, questo, quell’altro… A un certo punto si arriva a un livello di spesa che tocca chiedere una deroga al Pnrr. Così non va, bisogna togliere qualcosa. “Ma tanto i regali non li comperate mica voi, no? Li porta Babbo Natale, no?”. Pausa. Bè, sì, però, in effetti… All’improvviso salta il tappo. Come una bolla di sapone che cresce, cresce ma quando è arrivato il momento scoppia. Bum!

Ma allora… ecco perché non si capisce come fa a portare tutto a tutti in una notte, ecco perché è impossibile che gli elfi costruiscano le X-Box con il legno e i chiodi, ecco perché quando lo vedevo dalla finestra, con il vestito rosso e la barba bianca, il nonno non era mai in casa, ecco perché se uno è ricco gli porta giochi da ricco, ecco perché le renne che volano non esistono proprio, ecco perché Pietro mi ha detto che non esiste e anche Marco era d’accordo, ecco perché. Perché non esiste.

Fabrizio non ci è rimasto male. Chissà da quanto tempo, in fondo al cuore, fingeva di crederci. E’ bello credere a qualcosa di magico che ti tiene legato all’infanzia. Grande Babbo, sei stato importante! Ma importante è anche non crederci più, se succede al momento giusto. Non credere più in qualcosa che ti hanno fatto credere perché eri piccolo: oh, raga, sono diventato grande. E’ quello che continueremo a fare per il resto della vita, tra l’altro: credere in cose che ci danno felicità fin quando ha senso e poi non crederci più e passare oltre, crescere ancora.

E poi, mica vorrai fare come Omar che il suo amico Vincenzo lo convinse che Babbo Natale non esisteva portando prove inconfutabili. E poi, acquisita ai suoi occhi una indiscutibile autorevolezza e credibilità, gli disse: “Invece Dracula esiste”. Mandando il piccolo Omar nel panico e facendolo dormire per mesi con il lenzuolo sopra la testa.

E’ inevitabile che l’aver smascherato Babbo Natale si ripercuota anche sull’altra protagonista delle feste. Santa Lucia. Sì, perché le origini parmigiano-veronesi hanno fruttato ai pargoli una doppia elargizione. Santa Lucia – per chi non lo sapesse – a Verona (come a Parma, a Brescia, a Mantova e qualche altra città padana) è la VERA festa dei bambini. A lei si scrive la letterina. E’ lei che porta i balocchi. I giocattoli e i dolcetti. Il Natale è la festa della famiglia, del pranzo, dei parenti, della messa, eccetera. Ma è Santa Lucia a esaudire i desideri! Con il suo asino a cui bisogna lasciare una ciotola d’acqua e qualcosa da mangiare, quando la notte si intrufola in casa per consegnare i doni.

Quindi, viste le premesse, considerate le attuali conclusioni… anche santa Lucia è una favola per bimbetti creduloni. O no? In effetti se ne parla meno. E’ meno inverosimile, in fondo, di quell’omone da pubblicità. E’ meno appariscente, si fa solo qualche città, tutte vicine: potrebbe pure farcela. Voi che ne dite? Vuoi vedere che Santa Lucia esiste davvero?

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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L'Ambrosiano

Macbeth, ripartenza, Colle, successione. E le Ombre (di Banco & C.)

Alla Scala è andata in scena una versione del post Mattarella. Nel palco reale il Presidente, garante dell’autenticità della ripartenza; il pubblico plaude e chiede il bis per 6 minuti: è lo psicodramma nazionale; in scena il Macbeth di Verdi truce metafora della lotta per il potere politico-economico ambientato in un’anonima, tecnologica, supermoderna città. L’opera dà corpo a una tragica verità, esaltata da effetti speciali: ci sono i rei, ma il Fato(l’inconscio? Il contrappasso?) giocherebbe la sua parte governando i tremendi eventi narrati; lui guiderebbe congiure e delitti grazie a streghe, sinistre foreste, stanze buie dal regista rese col postmoderno di personale soldatino tecnologico, stanze dei bottoni, leader un po’ boss di C’era una volta in’America e fantasmi di poteri forti. La retorica della ripartenza ha evocato il 75° dell’inaugurazione della Scala; ma nel 1946, quando reduce dagli USA Toscanini sancì la Ricostruzione, Milano e il Paese eran popolati da partiti di massa, visioni del mondo, leader venuti dalla Resistenza, la politica bene comune, intellettuali sedotti da idee non da Narciso. Ei fu. Nel V atto del Macbeth Shakespeare scrive: «La vita non è che un’ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo per la sua ora e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un’idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla». La morale della tragedia lha indicata Liliana Segre: «Vorrei uno come lui», Mattarella. I bis son attestati daffetto e stima a un Presidente punto di riferimento per tutti, anche per quelli del governo giallo-verde quando chiesero l’impeachment del Presidente che disse no a un Ministro sponda di chi sognava uscita dall’Euro (Salvini) e gilet gialli (Di Maio) e ora vorrebbero restasse. Pure con loro si deve trovare la soluzione. Un’impresa? È la democrazia. Il teatro c’è per i bei sogni non solo per gl’incubi di Macbeth e Lady. Il Fato (Shakespeare docet)userà chi terrà schiena dritta e testa a posto e delle Ombre (di Banco & C.) che abitano i Palazzi: farà eleggere il Presidente di tutti. Se poi non si parlerà più dei Grandi Elettori agitati sino all’ultimo quorum: «non significa nulla».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

Il ritorno della politica parte dai microchip

Una delle ricadute della pandemia che più hanno spaventato la politica è stata la messa a nudo di un rischio finora negato: il rischio, cioè, che la suddivisione internazionale della produzione fosse diventata un vulnus per la sovranità dei Paesi. Con sorpresa, la politica ha verificato che quando non si controlla più il ciclo industriale – perché delocalizzando si è dato il via all’industrializzazione di altre regioni del pianeta – la posizione di forza che in passato era esclusiva dei Paesi occidentali passa in altre mani. In un primo momento il problema era l’approvvigionamento di mascherine, guanti chirurgici e dei vari supporti per garantire il distanziamento, rigorosamente made in China; ora è la carestia dei semiconduttori che servono per fabbricare quasi qualsiasi cosa. L’Europa ha scoperto che è solo cliente di un mercato che vede Taiwan, Corea del Sud e Cina in posizione quasi monopolistica e sta discutendo un cambio di rotta che sarebbe stato imprevedibile ancora nel 2019.

L’annuncio della commissaria europea per la Concorrenza Margrethe Vestager è stato chiaro: la Commissione non soltanto continuerà a finanziare i progetti di ricerca e sviluppo sui semiconduttori ma prevede di sovvenzionarne anche la produzione. Insomma un ritorno alla vecchie pratiche del protezionismo, che ha aperto un vivace dibattito tra gli stati membri. I Paesi Bassi ad esempio, alfieri del libero mercato, scalpitano perché una corsa ai sussidi andrebbe a vantaggio degli Stati più grandi. Ipotesi realistica visti i piani di Intel, il gigante statunitense del settore che prevede di investire 30 miliardi di dollari per la produzione di microchip in Europa dividendoli tra la Germania (alla quale andrebbe la produzione), la Francia (per la ricerca) e l’Italia (per il confezionamento). La Germania si è spinta oltre, lanciando l’idea di creare un Fondo Sovrano Strategico dedicato ai semiconduttori che all’Europa costano oggi 44 miliardi all’anno, cifra che entro il 2030 toccherà gli 80 miliardi di spesa. Non è una questione solo di soldi, anche se tanti, ma anche e soprattutto di sovranità. Non è pensabile sostenere un’industria europea, da quella delle lavatrici fino a quella dei satelliti, senza produrre nemmeno un semiconduttore. Soprattutto è un grande rischio dipendere per il rifornimento da un Paese non riconosciuto e dal futuro incerto come Taiwan.

La voglia di riprendersi le produzioni strategiche non è sentita solo in Europa. Negli Stati Uniti è stato appena finanziato con 52 miliardi di dollari un capitolo specifico dell’Innovation and Competition Act dedicato ai semiconduttori, per rinforzare il settore allentando la dipendenza dai produttori asiatici.

Il mondo post-pandemico continua a stupire gli analisti perché si sta tornando a percorrere strade che nella narrazione della globalizzazione si davano per scomparse. Protezionismo, incentivi per il ritorno delle imprese, sovvenzioni, dazi. Tutti strumenti tipici della politica degli Stati. Ed è questo il protagonista della fase che si sta aprendo: lo Stato che non soltanto protegge i cittadini con i vaccini e con le limitazioni, non solo sostiene imprese e lavoratori indebitandosi, ma ora sta anche ridisegnando il mercato. Da qui derivano anche le difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi di Parigi sul clima. Nessuno vuole regalare vantaggi ai concorrenti, anche se le conseguenze ambientali ricadranno su tutti.

Il mondo post-pandemia, ammesso che si possa considerare il Covid come un problema risolto, assomiglierà solo in parte a quello di prima. Nessuno si sarebbe mai immaginato che, in così pochi mesi, la delega in bianco che la politica consegnò all’economia 30 anni fa sarebbe stata ritirata. E questo può essere un bene, ma insieme è anche un grande rischio.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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