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Appunti sulla mondialità

Via al 2022

Il 2022 che si apre potrebbe essere l’anno in cui ci si lascia alle spalle la pandemia oppure la ripetizione del 2021. Abbiamo superato un anno di alti e bassi, passando dall’euforia del pensiero di esserne usciti alla depressione per il ritorno ai grandi numeri dei contagiati. Il punto è che, a due anni dall’inizio della pandemia, si continua a navigare a vista, senza avere risolto nessuno dei problemi che c’erano già e che la pandemia ha potenziato. A cominciare dal cambiamento climatico, non certo influenzato dal virus, bensì dai tentennamenti che si manifestano regolarmente quando arriva l’ora di decidere un cambiamento di rotta, soprattutto sulla sfida energetica. La Cop26 ha messo a nudo le distanze più che i punti in comune. Ora sappiamo carbone che ci accompagnerà a lungo, che sull’abbandono del petrolio “si vedrà” e che il nucleare viene rivalutato in versione “energia pulita”. Molti Paesi sfiancati da miseria e disuguaglianze, che sono aumentate ovunque e questo sì per via della pandemia, non considerano una priorità l’ambiente, ma piuttosto il cibo da garantire ai propri cittadini.

La pandemia ha aperto gli occhi ai molti che negli anni avevano assistito quasi muti allo smantellamento dei servizi di base. Sanità pubblica, scuola, reti di welfare erano state lasciate al degrado per favorire i servizi privati, destinati ovviamente a chi se li può permettere. Proprio queste politiche in Africa, America Latina e Asia – a differenza di quanto è successo in Europa – hanno reso il Covid-19 una malattia “di classe”, che ha colpito mortalmente soprattutto chi dipende dalle strutture pubbliche.

Toccare drammaticamente con mano i limiti del sistema ha portato ad alcuni cambiamenti politici. Laddove c’era democrazia e il voto è stato esercitato liberamente abbiamo visto fenomeni di rinnovamento; laddove governano regimi, invece, la situazione è peggiorata. La pandemia ha dimostrato ancora una volta che i problemi di “sicurezza”, che si tratti di terrorismo o di pandemia, sono i migliori alleati di partiti unici, uomini forti e dittatori. In pandemia abbiamo visto anche uno spettacolo inimmaginabile fuori dai film di Hollywood: l’assalto riuscito del Campidoglio statunitense, nel Paese con più armi e polizia in circolazione.

Ma il 2022 avrà al centro altri temi, oltre alla pandemia e ai rischi per la democrazia. Anzitutto sarà l’anno in cui vedremo se la sfida cinese alla supremazia economica degli Stati Uniti è fattibile. La guerra commerciale aperta da Trump, ancora non totalmente chiusa da Biden, è servita per misurare la forza dei contendenti, protagonisti dell’ordine bipolare che è destinato a subentrare al caos geopolitico attuale. Le due potenze saranno all’altezza? E, soprattutto, saranno in grado di cooperare tra loro per restituire un’architettura sostenibile al mondo? A differenza dello scontro USA-Urss, quello tra USA-Cina è un confronto tra Stati fortemente interdipendenti sul piano commerciale e finanziario, e questo fa la differenza.

L’Europa ha invece problemi più caldi, che non riguardano solo il commercio ma anche la sicurezza. La Russia di Putin e la Turchia di Erdoğan sono vicini sempre più ingombranti e insidiano l’Europa su due fronti, da est e da sud. L’Unione Europea, inconsistente dal punto di vista politico, non è all’altezza di reggere la sfida alle sue frontiere portata da autoritarismi esterni e tantomeno di posizionarsi nella contesa tra USA e Cina. Restare al traino oppure fare un balzo in avanti, rafforzando i legami tra i Paesi membri, è il punto sul quale dibattere. Però la distrazione di massa proposta da un’informazione veicolata soprattutto dai social ci propone un’altra agenda: popolata da influencer, cuccioli di animali simpatici, incidenti tra camion, cuochi dilettanti e stellati e tanto terrorismo sulla pandemia, spesso senza basi scientifiche e soprattutto senza buon senso. Dell’agenda del mondo è meglio non parlare, il dibattito ristagna sulla reperibilità di mascherine o tamponi. Sul Titanic, quando l’orchestra suonava per tirar su il morale dei passeggeri, era almeno chiaro a tutti che la nave stava affondando.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Sassoli: lodi, speranza che resiste, giovani e l’incubo sepolcri imbiancati

In un giorno due notizie tristi per motivi opposti: la morte di David Sassoli; Berlusconi che scende a Roma e va a caccia di peones per la corsa al Quirinale; un incubo, già una volta il Parlamento votò che Ruby Rubacuori era nipote di Mubarak. Non mi straccio le vesti; sono i due volti della politica: idealità e situazioni per stomaci forti. Il Presidente del Parlamento Europeo ne era cosciente. «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male»: s’è ispirato a San Paolo per unire giornalismo vigile e politica per il bene comune. L’ora del lutto conferma: le scelte d’un uomo dalla schiena dritta sono sintesi individuali d’una carta di diritti e doveri per tutti; l’impegno condiviso fa funzionare l’Europa e riduce le disuguaglianze. La politica è servizio: non piacerai a Putin, ma senza quello spirito avalli interessi, egoismi, discriminazioni. La politica è coraggio: altrimenti tutto resta com’è. La politica è sogni: sfida a conformismi, identità, infezioni psichiche; con Sassoli avevano sognato La Pira, Moro, Bachelet, demolitori di muri e di fili spinati coi soldi Ue. La politica è gavetta e formazione permanente: da bravo giornalista anche in politica vale il motto dei preti: in aeternum, libero, forte, altruista, senza sconti a nessuno. La politica è regole, senso delle istituzioni: Parlamento, gruppi, dialoghi, litigi anche ma ci si rispetta e si ama la democrazia: rappresenti chi t’ha eletto non te stesso, tornaconti tuoi o di sodali. La politica è Resistenza: lotta da cui l’Europa è nata e mentalità d’opporsi a ogni libertà negata (Sassoli che evoca la Rosa Bianca, giovani antinazisti; porta in aula Liliana Segre; difende Patrik Zaki, Navalnj; riceve Greta). La politica è rischio personale e collettivo: Sassoli chiamato David dal padre come Turoldo: il frate poeta partigiano cantò “Torniamo ai giorni del rischio” e risvegliò i cuori contro la Milano da bere. A professare verità e gesti si fa memoria degna di Sassoli, sprone per la Next Generation. Se no si somiglia a sepolcri imbiancati: «all’esterno paiono belli ma dentro son pieni di ossa di morti e di ogni marciume». Sia come Sassoli viveva Strasburgo il Parlamento che prepara il dopo Mattarella. Glielo deve.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Piovono Rane

I numeri del Covid e la variante mass media

La sola idea di nascondere i dati quotidiani dei contagi da COVID è con ogni evidenza del tutto indecente: una società aperta non si difende certo dai suoi problemi con le censure – e in generale un’opinione pubblica adulta ha bisogno di più dati, non di meno dati.

Ma un problema, come società, appunto lo abbiamo: perché quel dato specifico – con tutti i suoi effetti sul sentiment del Paese, delle persone – prima conteneva una cosa e ora ne contiene un’altra.

Banalmente, prima ci diceva che più del 2% degli infettati nel giro di qualche settimana sarebbero morti, mentre oggi la letalità è ancora incerta nei dettagli ma comunque molto, molto più bassa, grazie al combinato disposto tra la minore aggressività della variante e la grande quantità di vaccinati.

Lo stesso dicasi per il rapporto tra positivi e ospedalizzazioni/terapie intensive: oggi la percentuale di chi ci finisce è molto più bassa rispetto a un anno fa.

Quindi quel dato – i contagi quotidiani – ha un significato diverso rispetto all’era pre-Omicron e pre-vaccini. Questo fatto rende evidente che il problema di cui sopra non riguarda il Ministero della Salute né altre istituzioni sanitarie che forniscono il dato e devono continuare a farlo.

Riguarda invece la sua contestualizzazione, che ne determina la ri-significazione. In altre parole, riguarda la comunicazione, i media. Intesi prima di tutto come media “professionali” ma più in generale chiunque fa comunicazione, cioè quasi tutti, sui social ma non solo.
Siamo in grado di non snocciolare e distribuire ogni sera quel numero come termometro (unico o quasi, comunque fondamentale!) della febbre virale?
Siamo capaci – noi dei media, ma più o meno tutti – di inserirlo nel suo nuovo contesto?

E soprattutto, vogliamo farlo o preferiamo strillarlo ogni sera perché “fa titolo”, quindi fa comodo, magari in un giorno moscio anche per la politica e per il pallone, quando quindi c’è poco altro per titolare?

Ecco: noi giornalisti (e non) abbiamo sacrosanta ragione quando ci incazziamo per ogni ipotesi di censura. Ma abbiamo totale torto quando poi subordiniamo alla logica del clic – o comunque del titolo choc – non solo la responsabilità sociale, ma anche l’onestà intellettuale.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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DisOrdine internazionale

Kazakistan: quando dispotismo politico e distopia economica vanno in tensione

Sono tre gli elementi che si intrecciano nella crisi kazaka, Tre elementi che provengono da ere politico-economiche differenti e che ritroviamo contemporaneamente presenti nella fase storica che stiamo vivendo, caratterizzata dalla complessità. Il primo è quello di un regime politico dispotico corrotto di impostazione clanico-familista, che ruota intorno alla figura di Nazarbayev, ininterrottamente al potere – con diverse cariche istituzionali –  dalla nascita dello Stato kazako, nel 1991. Il secondo è legato alla linfa che ha alimentato il modello di sviluppo economico e di produzione industriale moderno, ovvero gli idrocarburi, gas e petrolio, di cui il Paese dell’Asia Centrale è straordinariamente dotato. Il terzo, infine, appartiene all’economia postmoderna, nella sua forma distopica della produzione di criptovalute, delle cui “miniere” il Kazakistan è il secondo detentore mondiale. il termine detentore non deve però ingannare: sarebbe più giusto dire che il Paese  ospita il secondo maggior numero di produttori di Bitcoin dopo gli Stati Uniti. Le ragioni sono legate a due fattori: l’eccezionale dotazione energetica della repubblica centroasiatica – come sapete, le miniere di criptovalute sono attività energivore (e micidialmente inquinanti) e le condizioni fiscali estremamente favorevoli che il regime ha varato per attrarre le compagnie di moneta elettronica in fuga dalla Cina dopo la stretta di Pechino.

Il massiccio incremento dell’assorbimento di enrgia causato dalla produzione di bitcoin ha messo pressione sulla distribuzione energetica, causando ricorrenti malfunzionamenti. A ciò si è aggiunta la conclusione del processo di “liberalizzazione” del mercato interno del gas e del petrolio, che ha provocato un’impennata dei prezzi del GPL utilizzato per autotrazione e delle bollette del riscaldamento. La fine del prezzo “politico” per l’energia ha prodotto il paradosso per cui, in un Paese che è tra i maggiori produttori mondiali di gas e petrolio, i suoi derivati sono diventati improvvisamente carissimi, e quindi relativamente “scarsi” a causa dell’alto prezzo, insostenibile per moltissime famiglie. “E’ la globalizzazione, bellezza!”: ovvero la liberalizzazione di un mercato interno come quello delle materie prime, implica, quasi inevitabilmente, la spinta al riallineamento dei prezzi verso quelli del mercato internazionale.

La distopia del mercato unico globale, guidata dalle nuove tecnologie informatiche e dalla promessa degli algoritmi di poter fare a meno di qualunque impiccio anche solo formale e residuo derivato dalla sovranità è entrato in collisione con il dispotismo politico, quello che si illudeva di regolare i rapporti tra la popolazione e le risorse del territorio e i grandi e i nuovi soggetti dell’economia moderna e postmoderna: cosa che oggettivamente era stato in grado di fare per oltre trent’anni. Il clan si accontentava di tosare abbondantemente i profitti, di controllare – insieme e grazie al potere politico esclusivo – tutte le risorse economiche, così da ricavarne una rendita perpetua.

La triangolazione tra dispotismo politico, globalizzazione e distopia economica si è rivelata troppo instabile, forse insostenibile. In termini locali ha rivelato il progressivo, ma rapido logoramento, del sistema di potere clanico e dispotico, che ha dovuto fare ricorso all’ex potenza coloniale russa per resistere e che forse vedrà comunque un riassetto interno. Come al solito, in Occidente, siamo caduti dal pero, colti dall’improvvisa esplosione di rivolte, vittime della nostra falsa coscienza, che sa benissimo che i regimi autocratici svolgono la gran parte della repressione nell’ombra, e che il ricorso plateale alla violenza repressiva è un sintomo della gravità raggiunta dalla crisi politica e sociale.

In termini globali attesta che tutti i regimi politici – autocratici o democratici che siano – sono comunque sottoposti a torsione dalla lunga fase di iperglobalizzazione che rimonta ormai a oltre trent’anni fa. Le torsioni cui il turbocapitalismo sottopone tutte le società, a prescindere dalla forma di organizzazione politico-istituzionale. Nelle democrazie si traducono spesso nel sostegno a gruppi politici sovranisti, xenofobi e populisti, che trovano nello stigma verso l’alieno, lo straniero, il nemico esterno (l’out-group)lo stratagemma per ricompattare fittiziamente il popolo (l’in-group), in realtà nascondendone la perdita di reddito, diritti e soggettività e riducendolo a mero predellino per la propria ascesa al potere. I sistemi autoritari impiegano la violenza della repressione oscura e silente e, quando non basta, quando le rivolte infine scoppiano, passano alle maniere forti, nella consapevolezza che sono in grado di applicare molta più violenza, per più tempo e più platealmente rispetto ai regimi democratici.

L’anniversario dell’assalto a Capitol Hill dovrebbe però ricordarci che nessun sistema, neppure le democrazie consolidate, è al sicuro da esplosioni di rivolta e tentativi di colpo di stato: perché tutti i sistemi stanno perdendo la sfida di governare equamente gli effetti politici, economici e sociali di iperglobalizzazione, innovazione tecnologica e distruzione ecologica. Si tratta di temi che sfidano contemporaneamente il sistema internazionale nel suo complesso, costringendolo a dove trovare un difficile equilibrio tra imperativo di cooperare per salvaguardare il pianeta e l’umanità (anche tra regimi diversi, rivali e persino ostili) e necessità di mantenere alta la guardia (proprio perché la sicurezza politico-militare è figlia di un processo diverso in cui le differenze di regime contano). La speranza  – e la scommessa – più grande e verso la quale occorre far convergere i nostri sforzi, è che questa riconciliazione possa avvenire prima che sia troppo tardi e nel nome di una centralità dell’umano e dei suoi diritti in armonia come quelli dell’ecosistema di cui siamo parte.

  • Vittorio Emanuele Parsi

    Insegna Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica a Milano, dove dirige l’ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – e all’USI di Lugano. Si occupa da molti anni dello studio delle trasformazioni del sistema globale, al crocevia tra politica ed economia e tra ambito domestico e internazionale. Ultimi volumi: Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo (2021), The Wrecking of the Liberal World Order (2021).

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La scuola non serve a nulla

Se la Natività, l’Epifania e i Re Magi fossero in una trasmissione di Giletti

Il vero giornalismo d'inchiesta

No, niente, dato che stasera stavo guardando “NON È L’ARENA” in Tv, allora m’è venuto il ghiribizzo di…

 

GILETTI (sguardo fisso e intenso in camera, mani congiunte) – “Ecco, vorrei invitare gli ospiti qui presenti e il pubblico a casa a porre l’attenzione su un dramma purtroppo quasi dimenticato. Perchè oltre al Covid, alla crisi economica spaventosa, a chi ha perso il lavoro e alle proteste dei no-vax, la politica si dovrebbe occupare anche di altre situazioni, in cui la questione migratoria si unisce a quella della povertà. Non lontano da noi, a Est  dell’Europa, mentre noi siamo qui ancora nel pieno delle Feste, guardate cosa accade: il nostro Carlo Marsili è lì in diretta, per noi, con alcuni profughi in condizioni davvero terribili… Carlo, mi senti? Dicci qualcosa…”

MARSILI (in collegamento, mano sull’auricolare, nell’altra il microfono) – “Massimo, siamo in collegamento da Betlemme, la situazione è drammatica. Al caos dovuto al censimento, che come sapete ha spostato milioni di persone, si è unito quello della protesta dei “No-Vax” palestinesi, qui chiamati “Farisei”, contrari alle disposizioni del Governatore Erode, che loro definiscono “liberticide”, e ci sono disagi enormi… C’è qui il signor Giuseppe, uno dei tanti costretto a migrare con la famiglia, che è venuto addirittura da Nazareth. Vuole dire qualcosa in studio?” (porge il microfono a Giuseppe).

GIUSEPPE – “Buonasera a lei, e al Dottor Giletti… guardi, qui è veramente uno schifo: scarsa organizzazione, veramente! Altro che, questo è veramente l’Impero delle Banane… come da noi, manco in Persia!!! Io e mia moglie siamo arrivati in ritardo al censimento per la protesta, ci siamo censiti, ma non abbiamo neanche trovato posto in albergo. Ma io dico: già è follia un censimento in piena pandemia, poi si aggiungono i manifestanti, e poi pure la disorganizzazione??? Ma non si poteva prevedere l’arrivo di tutte queste persone? Perché nessuno ha pensato agli alloggi? Guardi, ci siamo rifugiati in una stalla!”

MARSILI: “Ecco appunto, Massimo, se il cameraman mi segue, vi mostriamo come si è sistemato Giuseppe con sua moglie, che pensate, vedete… addirittura… ha partorito”.

GILETTI (dallo Studio) – “É il suo primo figlio, signor Giuseppe?”

GIUSEPPE – “Sì, e sarà anche l’ultimo, a occhio e soprattutto croce, mi sa che mangia per tre… Che poi, se l’Impero ricomincia a chiedere tasse… “Date a Cesare quel che è di Cesare…”, veramente io non so come fare… Ma non era l’Impero dei migliori, questo? L’Imperatore, Mario Dràghido Ottaviano, non doveva risolverci tutti i problemi? Qui, se non hai santi in Paradiso, non sai come riusciamo a tirare avanti…”

MARSILI – “Signor Giuseppe, lei che lavoro fa?”

GIUSEPPE – “Falegname. E con la pandemia è stato un problema lavorare in smartwoking: si stava collegati su zoom con il mio garzone di bottega, io avevo il martello e lui teneva il chiodo: ho picchiato sullo schermo ma non ha funzionato… Che poi, non ci avevano promesso il “Decreto Ristoro”? Perché forse allora ho capito male io, ma qui ci hanno detto che domani arrivano tre ufficiali a portarci  “oro”, incenso e mirra… vabbè per l’oro, ma l’incenso e la mirra!?…”

MARSILI – “Ecco, Massimo il signor Giuseppe raccontava che la cosa vi pare talmente strana che sospettate addirittura che in realtà questi, invece che portare dei doni, siano Ufficiali della Guardia di Finanza per un blitz! È vero?”

GIUSEPPE – “Guardi, siamo pure stati pignorati dall’Agenzia delle Entrate, ci stanno col fiato sul collo. Ai ricchi, quelli veri, i mercanti del tempio, invece non li toccano… Ecco, la vedete quella stella lì che viene verso di noi? Quelli sono loro, sarà un marchingegno loro per filmarci…”

MARSILI – “Tra l’altro Massimo, se il cameraman inquadra, vedete che con un ingegnoso sistema, dovuto forse alla recente stangata sul gas, qui si risparmia anche sul riscaldamento del piccolo… (camera dell’operatore va sul bue, asinello e mangiatoia). Ecco, qui accanto vedete la Signora Maria…”

GILETTI (inquadratura torna su di lui, che sorride intenerito in studio) – “Il piccolo forse è la prima volta che vede una telecamera, è un po’ spaventato…  magari da grande diventa famoso e ci si abiutuerà, chi lo sa… comunque, caro Giuseppe, c’è qualcosa che vorresti dire ai politici ospiti in studio? Che tra un attimo devo dare la pubblicità”

GIUSEPPE – “Guardi, io dico a tutti questi senatori, ai consoli, all’Imperatore… che se ne devono andare a casa. Hanno fallito. Noi non riusciamo manco ad arrivare alle idi del mese. Se continua così, l’unica cosa da fare è fuggire in Egitto. Perché noi, le leggi della pandemia le stiamo rispettando, ma nessuno ci aiuta…”

GILETTI – “Eh, forse non si può andare neanche lì, viste le restrizioni… ma Maria, Giuseppe, un’ultima domanda: siete vaccinati voi? Avete il GreenPass?

MARIA – “Sì, vaccinati, e con il Greenpass. Doppia dose Astra Zeneca più Moderna, io la terza di Moderna non l’ho fatta, perchè il medico ha detto che avevo già tutti dentro gli anticorpi… io ho risposto “Strano, non conosco Covid”, perché non sono stato mai contagiata dal virus, mai positiva, non so… Abbiamo anche le mascherine, FFP2, tutto… ma la verità: qui nessuno ci ha mai controllato il Greenpass. Né al censimento, né durante il viaggio… Mai. Ci dicono sempre che si fidano….”

MASSIMO – “A proposito, voi avete fede nella Scienza?”

GIUSEPPE – “Come potrei non averne? Io sempre creduto ai medici, anche quella volta lì, che è stato davvero difficile… Comunque, speriamo di non finire di nuovo in lockdown. Anche perché dovremmo passarlo qui, e questa stalla non ha manco il balcone…”

MARSILI – “Da qui è tutto, a voi la linea, Massimo” (chiude il collegamento)

GILETTI – “Avete visto, una testimonianza straziante. Davvero, possiamo solo sperare che… andrà tutto bene. Linea alla pubblicità”

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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    M7 – il settimanale di Metroregione - 15-03-2025

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    Psicoradio, avviata nel 2006 dalla collaborazione tra il Dipartimento di Salute Mentale di Bologna e Arte e Salute Onlus, è una testata radiofonica dedicata alla salute mentale. Include un corso triennale per utenti psichiatrici, guidato dalla prof. Cristina Lasagni, e una programmazione che esplora temi psicologici attraverso vari registri: poetico, informativo, ironico e autobiografico. Psicoradio ha realizzato oltre 220 trasmissioni nazionali, campagne di sensibilizzazione e convegni su temi di salute mentale.

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