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Appunti sulla mondialità

Lo scontro geopolitico per l’Ucraina

L’attuale crisi politica e militare che vede al centro l’Ucraina è determinata da due ordini di fattori, entrambi di natura geopolitica. In primo luogo siamo di fronte a un proseguimento della Guerra Fredda che, con altri metodi, continua a determinare i rapporti di forza tra Occidente e Russia: né la Nato ha mai rinunciato all’antico obiettivo di avvicinare sempre di più la propria forza militare al confine russo, né la Russia ha mai cambiato il suo giudizio su tale mossa, considerata un pericolo da scongiurare. Per trovare le radici di queste tensioni si può risalire fino al 1989, quando – almeno secondo la narrazione russa – George Bush senior e Mikhail Gorbaciov si accordarono affinché la riunificazione della Germania e il ritiro delle truppe sovietiche non aprissero le porte all’allargamento della Nato verso est. Fu Bill Clinton, invece, a insistere perché l’Unione Europea, quando arrivarono le domande di ingresso da parte dei Paesi dell’Est, richiedesse anche la volontà di “aderire ai principi” della Nato. Così è effettivamente andata sia per i Paesi baltici sia per diversi Stati “satellite” dell’Unione Sovietica, entrati sia nell’UE sia nella Nato.

Ma Mosca non cederà mai sull’Ucraina, che per Vladimir Putin rappresenta un limite invalicabile e che rimane legata alla sua identità storica di granaio, arsenale e miniera dell’URSS. L’Ucraina ha il destino nel suo stesso nome, che significa “al confine”: culturalmente e politicamente il Paese è diviso in due, una parte guarda all’Unione Europea e l’altra, anche per motivi linguistici, continua ad avere Mosca come punto di riferimento. Nel 2008 la richiesta dell’Ucraina di aderire alla Nato, caldeggiata dagli USA, era stata stoppata da Italia, Francia e Germania al Vertice di Bucarest; poi le tensioni sono continuate con l’annessione russa della Crimea e la secessione di fatto del Donbass.

Il secondo ordine di fattori all’origine di questa crisi riguarda il ruolo geopolitico della Russia. Il grande Paese euro-asiatico, potenza militare ma non economica, negli ultimi anni ha fatto passi da gigante per conquistare una leadership geopolitica su scala mondiale. Oltre a controllare la Bielorussia e avere stanziato contingenti militari in Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, si è affermata come riferimento politico per la Serbia, la Georgia e l’Armenia. Allargando lo sguardo, ha appena vinto il conflitto siriano insieme a Iran e Turchia sbaragliando l’ISIS e, insieme alla Turchia, controlla la Libia. Attraverso il Wagner Group, opaca società che gestisce mercenari ed è molto vicina al Cremlino, ha interessi in 23 Paesi africani e ha appena firmato un accordo con il Sudan per costruire una base navale sul Mar Rosso. In America Latina Putin ha promesso a Cuba e Venezuela sostegno militare in chiave antistatunitense e ha appena firmato un accordo con l’Argentina per fornire aerei da combattimento e addestramento ai militari.

Questo riposizionamento globale di Mosca è stato agevolato, economicamente e non solo, dalla firma dell’accordo per la fornitura di metano alla Cina, avvenuta nel 2014: oltre a garantire ai russi un cliente di prim’ordine in alternativa all’Europa, il patto ha sancito un’alleanza strategica con ricadute a livello mondiale. Semplificando, si è innescata una dinamica per la quale Mosca alza la voce e fa vedere le armi, poi Pechino media, ricuce e chiude gli accordi commerciali.

Tornando all’Ucraina, in questa prospettiva è necessario ricordare la differenza tra Cina e Russia: per gli USA la Cina è un nemico, la Russia “solo” un antagonista, tra l’altro fortemente dipendente dagli scambi commerciali con l’Occidente. Alla fine dei conti, con l’invio di truppe al confine ucraino Putin sta chiedendo che gli venga riconosciuto il ruolo di garante della stabilità in Europa e, di conseguenza, che i confini geopolitici russi siano rispettati: perciò l’Ucraina deve restare uno Stato cuscinetto. Potrebbe anche spuntarla, perché per gli USA la vera posta in gioco è nel Pacifico, non certo in Europa. Caso mai il problema ce l’ha l’Europa, che rischia una guerra e che, in ogni caso, dovrà gestire praticamente da sola l’ingombrante vicino russo.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Mattarella, il coro greco, i gusci della politica, lo zaino sulle spalle

Le parole valgono e pesano per l’affidabilità di chi le pronuncia. A dare spessore non son sufficienti luogo in cui vengono dette, occasione, qualifica di chi parla. Mattarella rende pregni, importanti, inequivocabili, credibili sotantivi, aggettivi, verbi. Se altri o altre al suo posto e lì avessero parlato di morti sul lavoro, disuguaglianze, violenza alle donne, Giustizia, cultura, cittadini indifesi, passione politica, solidarietà, libertà, ruolo del Parlamento forse molti tra il pubblico che ascoltava in tv il discorso del Presidente della Repubblica dopo il giuramento avrebbero cambiato canale.

Invece lo share ha retto e Mattarella è stato interrotto 55 volte dagli applausi dei mille grandi elettori, quelli cioè che la settimana prima avevan votato con spettacolo inverecondo tra scouting dissennato, deficit di coraggio e sogni; gli stessi politici che dan tutti giorni prove di non essere credibili, affidabili, coerenti in tweet e discorsi o in atti da essi iscritti nel segno di una delle parole usate dal Presidente: queste impiegate da loro suonano vuote, dal Capo dello Stato son vere linee di cambiamento. Potrebbe essere terapeutica la discrasia andata in scena a Camere riunite tra Mattarella e i suoi elettori, col pubblico a casa a far da Coro greco, comunità spesso inconsapevole, distratta, neghittosa che di fronte al conflitto in scena a Montecitorio si risveglia, prende coscienza della situazione insostenibile, dalla vivida rappresentazione trae impegno per cambiare; la catarsi: calato il sipario trasformare modi di pensare, vedere, agire, gesti individuali e collettivi.

A distanza sembrano affrettati i commenti che hanno associato Mattarella bis e sconfitta della politica. Può esser vero il contrario. Primo per la caratura del personaggio (ha anteposto il bene del Paese al proprio accettando). Secondo perché, col discorso, Mattarella ha mostrato che le parole son gusci se qualcuno le svuota, ma pietre su cui la democrazia si fonda («La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo»!). Condizione: far tesoro d’una delle espressioni del Presidente, Responsabilità, e di un’immagine in cui essa è declinata: «Prendere sulle proprie spalle il futuro del Paese». Con lui possiam caricarci lo zaino in spalla. Facendo ciascuno suo l’invito di Matterella ai giovani diveniamo noi credibili a noi stessi!

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Piovono Rane

Mattarella e l’applauso dei sordi

Mentre Mattarella parlava, giovedì a Montecitorio, sia i i parlamentari sia i giornalisti erano lì con l’orecchio teso a carpire qualsiasi possibile accenno su Draghi, sugli equilibri politici contingenti, su quelli che ci saranno dopo le prossime elezioni: a cui sia i politici sia i giornalisti guardano come il punto più lontano del loro orizzonte.

Ma se loro pensavano a  questo, il presidente rieletto invece guardava molto oltre. Molto oltre non in termini temporali, ma di profondità. 

Perché  Mattarella ha posto la questione gigantesca del divorzio tra politica e potere, quella a cui Zygmunt Bauman ha dedicato l’ultima parte della sua vita. 

La politica ha sempre meno potere, circondata com’è dall’economia e dalla finanza. 

E avendo sempre meno potere, esercita sempre meno il suo ruolo di rappresentanza di interessi o ideali dei cittadini. 

Quindi al divorzio tra politica e potere ne segue un altro, quello tra politica e cittadini: che alla politica non credono più, come mezzo di realizzazione dei propri interessi o dei propri ideali.

“Di fronte alle disuguaglianze, alla precarietà, al disagio sociale, la politica non fa nulla, sottomessa ai poteri economici internazionali che cercano di imporsi sulle democrazie”, testuale.

Un tema gigantesco, quello affrontato dal Capo dello stato, forse il tema per eccellenza del nostro tempo.

E Mattarella ha detto alla politica che deve avere – sempre testuale – “la forza e l’orgoglio” per proporsi come mezzo di realizzazione della democrazia, di “inveramento” della democrazia. E che senza questo  ruolo, i cittadini, specie quelli più deboli, restano indifesi, soli.

Non è chiaro se i politici in aula questo lo abbiano capito. 

Ma non è nemmeno chiaro se poi vogliono davvero provarci, a svolgere il compito chiesto da Mattarella. 

Quei continui applausi a interromperlo, tuttavia, sembravano quasi apotropaici. E non promettevano nulla di buono.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

La storia ci ha barrato con una X, Generazione X: cari anni 90 vi scrivo…

Tutto iniziò con Beverly Hills 90210, che sarà stato stupido, vuoto e patinato quanto volete ma ha innegabilmente aperto le porte a un nuovo genere televisivo che ci torturerà negli anni a venire: il teen drama – per dirlo in modo figo, all’americana – o più semplicemente le serie televisive a puntate per ragazzi. Costruita sul modello delle telenovelas sudamericane per casalinghe annoiate, moderatamente aperta nell’affrontare tematiche attuali, seppur trattate con manate di vasellina e politically correct, BH 90210 ha segnato un paio di generazioni agli inizi degli anni novanta, compreso quella del sottoscritto. Classe 1975, vidi la prima puntata che non avevo nemmeno 16 anni e mi fece del male, visto che da allora tarai il pivello che ero sulle fattezze del bello e scorbutico Dylan McKay, una specie di James Dean ricco e problematico portato sullo schermo dal bravo e sfortunato attore Luke Perry. Capitemi, allora si andava in discoteca di sabato pomeriggio e la cosa più eversiva che si faceva era incollare il citofono del vicino calabrese del primo piano, un ex carabiniere in pensione, che ci bucava il pallone quando finiva sul suo terrazzo. Ero conteso da due ragazze in quel periodo, dolci e bellissime entrambe. Una era scura, l’altra bionda. Proprio come Dylan nel telefilm. E proprio come lui scelsi la bionda. Lo so, lo so, da rabbrividire quanto mi facevo coglionare dalla tv.
A staccarmi di dosso un po’ di patinatura, ci pensarono il cinema, i libri e la musica. A partire da “The Doors” di Oliver Stone, che mi presentò Jim Morrison. Il Re Lucertola spazzò via McKay in meno di un’estate e diventò la mia fonte d’ispirazione per la vita. Grazie a Jim, e alla sua scapestrata biografia ‘Nessuno Uscirà Vivo di qui’, scoprii l’amore per la poesia, la letteratura, Rimbaud, Baudelaire, Castaneda, la beat generation, e decisi che nella vita avrei fatto lo scrittore. E l’ho fatto, ragazzi. Ok, non sono diventato Bukowski ma ci campo con un certo stile.
Impossibile non citare poi, nella mia formazione artistoide, Twin Peaks, innovativo capolavoro di David Lynch, una serie capace di segnare per sempre un’epoca.
Alla voce disimpegno, invece, come dimenticare il Karaoke e quegli anni in cui folletto Fiorello fece credere agli italiani che anche senza il mandolino restavamo un popolo di cantanti. Oppure Non é la Rai, che invece ci ricordò che siamo sempre stati, e sempre saremo, un popolo di eterni segaioli. Già che si fa riferimento a Onan, meritano una citazione i culi al vento delle 18e30, quando su Italia 1 andava in onda Baywatch di Pamelona Anderson. E anche gli agghiaccianti balletti sexi di Spice Girls et simili.
Stasera la mia mente torna a quelle mattinate in giro, a saltare scuola appena possibile per gli scioperi o l’occupazione, ai bombardamenti nato sul’Iraq, alla guerra che, per la prima volta, arrivava in diretta televisiva. Craxi, tangentopoli, l’arrivo di Berlusconi, il Milan di Capello che vinceva molto ma stava sulle palle a tutti. Le domeniche allo stadio, noi sempre in uniforme: bomber, dr Martens, jeans strappati e sciarpa d’ordinanza. La camicia, il maglioncino a righe e il montgomery solo per entrare in discoteca.
E ancora: i film horror in vks affittati il sabato pomeriggio in videoteca, le playlist, che allora chiamavamo compilation, che facevi alla tipa che ti piaceva e dove non potevano mancare canzoni come Wind of Change degli Scorpions, Don’t Cry dei Guns e Home Sweet Home dei Motley Crue. Ma anche Vivere o Senza Parole del Blasco. E sto citando proprio le più ovvie. Senza scordare il wrestling commentato da Dan Peterson, le puntate di Willy Superfigo di Bel Air, di Casa Keaton, dei Robinson, fino ai concerti bubblegum ma indimenticabili di Michael Jackson. Cosby e Jackson: il papà buono che tutti avremmo voluto avere e lo zio strambo e pieno di talento che amava i bambini. Avessimo saputo cosa c’era dietro…
Poi arrivarono i Nirvana, e Kurt Cobain spazzò via la paura di noi ragazzi di mostrarci per quello che eravamo di fronte a un mondo che stava cambiando. All’improvviso far vedere le proprie debolezze, la propria rabbia e la propria paura non era più oggetto di vergogna come per il macho anni ottanta ma qualcosa che si poteva, anzi doveva fare.
Intanto tutto si stava contaminando, tutto cambiava, gli steccati fra i generi crollavano come castelli di carte vecchie. Il fenomeno dei rave invase le nostre notti, a livello mainstream si affermarono proposte musicali inusuali quali Prodigy, Moby, Fatboy Slim o i Chemical Brothers. Il rock inglese invece si vestiva di vintage e, ribatezzatosi brit pop, proponeva moderne versioni di Beatles e Rolling Stones con gruppi tipo Oasis, Blur, Verve, Stone Roses e così via.
Lontano dal mondo dei rave per una radicata idiosincrasia verso l’insopportabile cassa dritta, e mai stato troppo affascinato dai Fab Four – figurarsi i loro cloni – trovai rifugio nella mescola che odorava di contaminazione, nei libri e nei film: Manu Chao, il movimento delle Posse, il gansta rap di Pac e Biggie, i reportage di viaggio di Terzani, The Beach di Alex Garland, vera bibbia per chi in quegli anni virava verso l’Asia, lo schiaffo di Palhaniuk in Fight Club, la carezza pop di Nick Hornby con Alta Fedeltà, la siringata di poetico disgusto del Welsh di Trainspotting e Colla, o le botte di John King col suo Fedeli Alla Tribù. Ovviamente tutto Bukowski, e poi John e Dan Fante. Il Brizzi imbastardito di Bastogne e Tre Ragazzi Immaginari. Andrea De Carlo. Gli incubi up-class di Brett Easton Ellis e quelli profumati di minimalismo yuppie di Jay McInerney. I diari di basket del grande Jim Carroll, le illuminazioni tornate attuali di Hesse in Siddharta. E come dimenticare il caschetto scazzato e i pantaloni over size di Natalie Imbruglia, i Red Hot Chili Peppers di Under the Bridge, i film di Gus Van Sant, i surfisti fuorilegge di Point Break, e poi Intervista col Vampiro, i dialoghi surreali di Pulp Fiction, la scena underground italiana che diventa mainstream: Subsonica, Afterhours, Africa Unite, Prozac + (che la terra ti sia lieve Elisabetta Imelio), Esa, Bluvertigo, Sottotono, ecc. E poi Leo di Caprio che fa Romeo recitando Shakespeare in camicia hawaiana, l’ugola delicata di Jeff Buckley, quella consapevole di Ben Harper, oppure i video degli Aereosmith con Alicia Silverstone e Live Tyler.
“Non puó piovere per sempre” diceva il martire Brandon Lee nel Corvo.
“Io sono ancora vivo” rispondeva Eddie Vedder nell’iconica Alive dei Pearl Jam.
Ma vi ricordate?
Quanto si era belli, puri, appassionati, difettosi e fragili allora. Tanto tanto fragili. Non era neanche tutta colpa nostra. Eravamo una generazione brutalmente schiacciata, presa in mezzo tra la naufragata illusione che il capitalismo made in Usa ci avrebbe resi tutti ricchi degli ottanta, e la certezza che nel nome di quella falsa illusione ci avevano fregato persino la sedia da sotto il culo dei 2000 and more.
La storia ci ha barrato con una X, Generazione X, come il bel libro di Douglas Copeland. E così verremo trasmessi ai posteri.
Oggi di quello strano decennio restano solo i nostri ricordi, frammenti confusi, raffreddati dagli anni, di un momento che é stato veramente nostro giusto il tempo di uno sputo. Atterrato neanche troppo distante.
Ma Cristo di un Dio se ne é valsa la pena…

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Il tè nel deserto

Open Arms, il film

È arrivato al cinema il film dedicato a Open Arms e alla sua opera di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo.

Cosa può fare un film che si misura con una realtà e drammatica? Cosa possono suggerire le immagini di gente che cerca di salvarsi e di scappare alla ricerca di una vita migliore? La risposta la troverete dopo aver guardato “Open arms – La legge del mare”. Il film infatti è basato sulla storia vera di Oscar Camps, fondatore dell’omonima ONG, da quando decise di lasciare tutto per andare in mare a salvare i migranti. Diretto dallo spagnolo Marcel Barrena, il film ricostruisce i salvataggi in mare al largo di Lesbo, a partire dal ritrovamento sulla spiaggia del corpo esanime del piccolo Alan Kurdi, con quell’immagine drammatica che ha fatto il giro del mondo. Era il 2015, data in cui Camps, già esperto di salvataggi in mare decide di lasciare Barcellona, di formare una squadra di volontari e andare sulle coste del Mediterraneo per accogliere sulla sua barca i migranti che stavano annegando in mare. Oscar Camps, che ha collaborato alla realizzazione del film anche aiutando l’attore che lo interpreta Eduard Fernandez, sta accompagnando il film per discuterne con il pubblico. Dopo il festival di Roma, ha incontrato anche gli spettatori di Milano e di altre città. “Salvare vite umane è diventato un reato, la politica ha strumentalizzato l’azione dei soccorsi” ha dichiarato Camps, spiegando che all’inizio il film in Spagna era stato boicottato dall’estrema destra. Ora vedremo come andrà in Italia.

  • Barbara Sorrentini

    Laureata in filosofia, giornalista, conduttrice e autrice a Radio Popolare. Dal 2002 cura e conduce la trasmissione “Chassis” e per qualche anno ha realizzato “Vogliamo anche le rose”, dedicata ai documentari. Per Radio Popolare ha condotto i diversi contenitori culturali e tuttora realizza servizi e interviste per trasmissioni e Gr. Tra le ultime trasmissioni “A casa con voi” e “Fino alle 8” con la rassegna stampa del mattino. È stata direttrice artistica del Festival dei beni confiscati alle mafie. Ha collaborato con La Repubblica, E-Il Mensile, Pagina 99, blogger per MicroMega, Cineforum Web, Cinecittà News, 8 1/2. È tra i curatori del libro Entretiens- Nanni Moretti, edito dai Cahiers du Cinéma, ed è tra gli autori della Guida ai film per ragazzi (Il Castoro). È stata consulente dell’Assessorato alla Cultura di Milano (2012-2013).

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    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

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    In Gran Bretagna al via l'iter di una legge sul fine vita

    Il parlamento britannico ha dato il via libera in "seconda lettura" alla proposta di legge sul fine vita. La norma, presentata dalla deputata laburista Kim Leaderbeater prevede la possibilità della "morte assistita" per chiunque abbia da 18 anni in su e una diagnosi d'aspettativa di vita di non oltre 6 mesi, con il consenso dei medici curanti. Ha ottenuto 330 sì e 275 no, con divisioni in tutti i maggiori partiti. L'iter verso l'approvazione finale richiederà diversi mesi, ma l'indicazione è che una maggioranza trasversale c'è. Ne abbiamo parlato con il nostro collaboratore dal Regno Unito Daniele Fisichella.

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    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 29-11-2024

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    1) Della striscia di Gaza non si parla più, ma ogni giorno decine di persone vengono uccise e il governo israeliano prepara il terreno per un’occupazione a lungo termine. 2) Siria, i ribelli jihadisti entrano ad Aleppo. In meno di tre giorni i combattenti hanno riacceso un fronte che sembrava congelato, aprendo ad un’altra ampia destabilizzazione nella regione. (Marco Magnano) 3) Dopo 5 ore di dibattito il parlamento britannico approva una storica legge sul fine vita. Il processo legislativo sarà ancora lungo, ma è una prima speranza per migliaia di persone. (Daniele Fisichella) 4) La Francia perde anche il Ciad. Il ministro degli esteri ha annunciato la fine degli accordi di cooperazione in materia di sicurezza e difesa con Parigi (Francesco Giorgini) 5) Oggi è il Black Friday, la sagra del consumismo globale che racconta la nostra epoca. (Alfredo Somoza) 6) Storie estreme. La rinascita della capitale dello Sri Lanka: dalle montagne di rifiuti, alle zone umide. (Sara Milanese)

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    Conversazioni con la direttrice. Microfono aperto con Lorenza Ghidini.

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    Non è una banlieue, non è un ghetto, non è un luogo dimenticato: Corvetto è l’ultima frontiera sud-est tra la Milano che cresce e quella che viene espulsa. Questo è un racconto a più voci del Corvetto fatto con amici di Ramy Elgaml, abitanti, lavoratori. Il reportage di Roberto Maggioni e Luca Parena

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    Vieni con me! è un’ora in cui prendere appunti tra condivisione di curiosità, interviste, e il gran ritorno di PASSATEL, ma in forma rinnovata!! Sarà infatti partendo dalla storia che ci raccontano gli oggetti più curiosi che arriveremo a scoprire eventi, iniziative od occasioni a tema. Eh sì, perché poi..ci si incontra pure, altrimenti che gusto c’è? Okay ma dove, quando e poi …con chi!?! Semplice, tu Vieni con me! Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16.30, in onda su Radio Popolare. Per postare annunci clicca qui Passatel - Radio Popolare (link - https://www.facebook.com/groups/passatel) Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa, un oggetto particolare o proporti come espert* (design, modernariato o una nicchia specifica di cui sai proprio tutto!!) scrivi a vieniconme@radiopopolare.it Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni

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    A Playground ci sono le città in cui abitiamo e quelle che vorremmo conoscere ed esplorare. A Playground c'è la musica più bella che sentirai oggi. A Playground ci sono notizie e racconti da tutto il mondo: lo sport e le serie tv, i personaggi e le persone, le ultime tecnologie e le memorie del passato. A Playground, soprattutto, c'è Elisa Graci: per 90 minuti al giorno parlerà con voi e accompagnerà il vostro pomeriggio. Su Radio Popolare, da lunedì a venerdì dalle 15.00 alle 16.30.

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    Piergiorgio Pardo, dopo averci parlato dell'importante compilation "Transa", ci porta la sua rubrica "The Sweatest Taboo" parlandoci di Ciao sono Vale e della colonna sonora del bellissimo film "Emilia Perez". Nella seconda mezz'ora ospitiamo Lorenzo Kruger dei Nobraino in attesa del suo live al Santeria

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    Radio Popolare Minilive - La Maschera

    La raccolta delle esibizioni dal vivo degli ospiti di Jack, il magazine musicale di Radio Popolare, andate in onda dallo studio 7 di via Ollearo. Nell’episodio di giovedì 28 novembre 2024 Matteo Villaci ha ospitato Roberto Colella de "La Maschera"

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    Gabriele Salvatores presenta Napoli - New York

    Barbara Sorrentini ha intervistato Gabriele Salvatores, regista di Napoli - New York, un film tratto da una sceneggiatura scritta da Federico Fellini e Tullio Pinelli, ritrovata nel 2006. Il regista racconta una storia che esplora l'Italia degli anni Quaranta e il tema dell'emigrazione, in particolare quella verso gli Stati Uniti d'America.

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