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Mia cara Olympe

Ospedale di Mariupol, le donne in ‘dolce’ attesa

Mentre come ogni giorno da quando è cominciata, leggi, vedi e senti della guerra, tra giornali, siti,  tv, podcast e social ecco una frase: ‘tra le donne in dolce attesa dell’ospedale di Mariupol’. L’ospedale bombardato dai russi, il reparto maternità sventrato, 3 morti, tra cui un bambino, molti  feriti è il bilancio chissà quanto provvisorio del giorno dopo. E tra loro c’erano, in quelle stanze distrutte, le donne ‘in dolce attesa’.

Quella penna che ha scritto per conto suo – sappiamo come ogni tanto, se non si è attenti, se si ha fretta, se si è un po’ sciatti, parta il pilota automatico della frase fatta –  colpisce dove fa male, nel punto dell’immedesimazione e proprio per l’inconsapevolezza di ciò che trasmette. L’ho vista quella donna ‘in dolce attesa’ portata via in barella, in una scena di macerie, un lato del suo corpo insanguinato, una mano a proteggere il ventre, nel gesto più comune ed ‘eterno’ della gravidanza.

Le giornaliste più attente ci ricordano che Mariupol non è purtroppo, nella storia delle guerre, il primo ospedale pediatrico bombardato: era successo nello Yemen, come in Siria, e chissà in quali altri conflitti meno visibili, colpevolmente meno visti. Vero, ma ciò non toglie, semmai aggiunge. E riporta, questa scena e quelle che non abbiamo voluto in passato guardare, alla propria esperienza, alla propria attesa, all’intenso bisogno provato di concentrarsi  sulla soglia che si sta per attraversare.
Altro che dolce attesa o simili zuccherose espressioni, anche in pace, dunque: le donne sanno quanto sia uno stereotipo, quanto non si dia mai un’attesa interamente dolce perché quel cammino mescola sogni e fantasmi, speranze e paure. E a Mariupol oggi, poi. Continuare a proteggere, credere nella propria capacità di farlo richiede a quella donna e alle altre una forza per la quale ogni aggettivo appare inadeguato.  Perché  siamo davanti agli estremi, da un lato la responsabilità e la cura dell’attesa e, dall’altro, la distruzione bellica non solo della vita, ma persino della sua possibilità.

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La scuola non serve a nulla

In soldoni

Impressioni buttate lì due anni fa per la pandemia e che potrebbero valere anche per la guerra…

Esattamente due anni fa, a inizio pandemia, scrissi di getto le righe in corsivo in basso che, in soldoni, forse un po’ possono valere anche oggi per la guerra. Ci capisco davvero poco, io… a volte mi pare che stiamo vivendo, per un atroce scherzo del destino, solo il frutto d’una nemesi linguistica: a furia di parlare del Covid con lessico militare, la guerra è arrivata veramente. Adesso l’abitudine ci porterà a invertire l’approccio verbale, forse: “Il contagio bellico si sta diffondendo a macchia d”olio”, “È in arrivo la variante nucleare”, “Manteniamo un rigido distanziamento sociale da qualsiasi cosa sia della Russia”.

L’altro giorno mia madre si chiedeva (e spero che non passi per filoputiniana pure lei), che cosa di così inderogabile ci ha portato l’allargamento della Nato ai Paesi ex Patto di Varsavia dopo la caduta dell’URSS a cui proprio non potevamo rinunciare, noi Occidente. Ok, durante la Guerra Fredda la Nato ci ha garantito la pace, ma dopo il 1991? Che ne so, se uno dicesse: guarda, abbiamo avuto una maggiore solidità dell’Euro, un’affermazione più decisa dell’UE…  ha dato nuove risorse al Welfare State, ha allargato i nostri mercati, o chennesò, serviva a fermare i migranti… ma anche meno: ci è arrivato Netflix, il curling, il burlesque, le modelle russe, o i monopattini… Cosa? Boh? Io non le ho saputo rispondere.

E siccome, se non altro, è ripartita alla grande la giostra della Storia (allacciate le cinture!), che tanto poi, alla fine della fiera, tutto è abbastanza motivato sempre dai sacri soldoni, se Storia dev’essere, l’unica speranza è che sia ricostruzione d’una società. Che grande opportunità: potrà essere ricordata in futuro solo con toni di glorioso apprezzamento, l’umanità di questo decennio: o ricostruzione d’una società, o non ci sarà nessuno a poter raccontare che non andò così…

 

“In soldoni, è come fosse l’imposizione coatta d’una sorta di “marxismo epidemiologico”, per cui “io posso essere sano, solo se lo sei anche tu”. E ciò vale a prescindere, boia maledetta, dalla qualsivoglia identità di quel “tu”, che può essere davvero anche la persona più distante da me, la peggior cloaca di cattiveria e ignoranza del pianeta, uno più cretino di un mazzo di carte senza il dieci a coppe; anche, che so, un neonazista, un pedofilo, o un subumano microcefalo che sale su un treno zeppo e incastrato tipo Tetris per tornarsene dalla pummarola di mammà.

Ecco, in soldoni: non tanto perché il male non si augura a nessuno, ma proprio per una questione statistica, non possiamo fregarcene. Siamo costretti a occuparci anche di loro e sperare che neanche ‘sti qua si ammalino: magari passano sullo stesso mezzo pubblico su cui salirò io, o un mio caro… o potrebbero, peggiorando loro, gravare d’un ennesimo posto letto il sistema sanitario nazionale.

Che non è tanto urlare “State a casa!!! Maledetti!!!”… Cioè, anche, per carità… (in questi giorni crolla una delle mie convinzioni per cui l’ignoranza potesse essere in qualche modo meglio collegata all’accidia, allo star fermi… e invece no: qui abbiamo i “deficienti attivi”).

In aggiunta, a me viene in mente che in un suo spettacolo, “Miserabili – Io e Margaret Thatcher”, Marco Paolini (“che tutte le sfighe a teatro se l’è già fregate lui”), raccontava, in soldoni, quello che è successo al nostro pianetucolo negli ultimi trent’anni con la globalizzazione finanziaria, il capitalismo ecc. ecc. ecc. Raccontava della Thatcher, che a inizio anni ’80, affermò che “la società non esiste (più): esistono solo le persone, le famiglie e le aziende”. E raccontava di quel processo di disgregazione sociale che, in soldoni, ha trasformato tante comunità nazionali – legate da vincoli di mutua assistenza anche economica, non inossidabili, ma più tangibilmente riconoscibili di oggi -, in una moltitudine di monadi egoisticamente slacciate: con tempi diversi, ma ovunque nel mondo. L’erosione d’un solido “sentirsi pubblico” in pulviscoli auto(no)mi. SocietàliquidaBauman bla bla bla.

Poi Paolini raccontava del secondo principio della Termodinamica, per cui certi processi in entropia non sono reversibili: cioè, in soldoni, non puoi tornare indietro, tipo la perdita della verginità (e lì mi veniva in mente quella battuta di Renato Trinca, “entro-pia, esco-troia”). Paolini ripeteva l’esempio citato da molti fisici: in soldoni, “se riscaldo un acquario, ottengo una zuppa di pesce; ma se raffreddo la zuppa di pesce, poi non ri-ottengo l’acquario”.

A me pare, in soldoni, che questa cosa qui ora noi la possiamo risolvere solo con la società. La Società. Abbiamo bisogno di nuovo della Società. Tanto più difficile adesso perché dovrebbe marciare coordinata in un’unità d’intenti verso lo stesso scopo, e in più con l’obbligo di restare tra di noi ben nettamente separati, come da protocollo. Fisicamente ben distanti, ma in telepatica simbiosi (capito adesso quanto conta la cultura, la scuola e la sanità pubblica?).

Insomma la speranza d’un cretino come me, che ragiona solo in soldoni, è che io la rivorrei indietro, sta società. Che non sia come quella zuppa di pesce che non può più ritornare acquario. In soldoni”.

 

 

 

Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però, purchè formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Appunti sulla mondialità

Il mondo che giudica la mossa spericolata di Putin

Sono tuttora relativamente modeste le reazioni a un fatto di enorme gravità quale l’invasione armata di un Paese sovrano con l’intenzione di smembrarlo, sostituirne il governo e deciderne il futuro. Da molto tempo non succedeva nulla di simile: bisogna fare un salto all’indietro di tre decenni per trovare analogie. Nell’agosto del 1990 l’Iraq di Saddam Hussein invadeva il Kuwait con una guerra lampo durata 48 ore. La risposta della comunità internazionale portò alla prima guerra del Golfo, il primo conflitto nella storia condotto da una coalizione formata sulla base di risoluzioni delle Nazioni Unite, contro le quali nessuna potenza pose il veto. Perché l’invasione militare di uno Stato sovrano è uno spartiacque, viola un principio primordiale del diritto internazionale: si può essere in forte disaccordo ma il rispetto dei confini, cioè della sovranità di un Paese, rimane un baluardo. Perciò, nel discorso con il quale ha annunciato l’invasione, Vladimir Putin ha tentato di demolire la stessa ragione di essere dell’Ucraina. Un Paese, secondo l’autocrate di Mosca, che non avrebbe storia né cultura al di là di quelle comuni con la Russia, governato da una cricca di delinquenti e tossicodipendenti: quindi un Paese che non esiste, e l’intervento militare russo, mirato a “denazificarlo”, rappresenterebbe solo un tentativo di rimettere le cose in ordine.

Sul piano politico, i calcoli di Putin si sono però dimostrati errati. La Russia, se si esclude qualche Stato vassallo come la Bielorussia o l’Eritrea, non ha incassato il sostegno che si aspettava. L’India e in modo più evidente la Cina in sede ONU si sono astenute, ma la loro disapprovazione è palpabile. Non soltanto perché un mondo in guerra, con l’inflazione che riparte, la corsa al riarmo e l’instabilità dei mercati non è un’ambiente favorevole per gli affari, ma perché il precedente che l’azione di Putin, qualora riuscisse, diventerebbe un pericolo per tutti. Il fatto che per colpire un Paese sovrano sia sufficiente delegittimarlo e affermare di correre in soccorso di una minoranza che è, o si ritiene, perseguitata potrebbe portare a focolai di guerra praticamente in tutto il mondo. Nel Kashmir indiano, nei tanti territori popolati dai curdi, in un’infinità di situazioni distribuite nel continente africano e anche nei mai pacificati Balcani. Se l’azione azzardata della Russia dovesse avere successo, aprirebbe le porte a un mondo definitivamente deregolamentato, privo perfino di una base comune di diritto. I calcoli fatti da Putin sono facili da intuire: debolezza di Joe Biden dopo la disfatta in Afghanistan, e quindi anche della Nato; debolezza dell’Unione Europea dopo la Brexit e la fine dell’era Merkel; supremazia militare della Russia nei confronti dell’Ucraina; effetto sorpresa. Tutti elementi reali, ma quello che Putin non ha considerato, ed è tipico dei regimi, è che l’azione militare avrebbe ricompattato i suoi nemici, cancellato i distinguo e rilanciato la cooperazione militare in chiave anti-russa.

Molti osservatori pensano che questo conflitto sia una specie di sequel della Guerra Fredda. In parte è davvero così, ma che si tratti solo di questo è la narrazione che Putin ha cercato di far passare, senza successo. La Russia di oggi non è l’Unione Sovietica e l’Ucraina non è il Quarto Reich, così come l’assedio di Kiev non è paragonabile a quello di Stalingrado. Semplicemente, un Paese molto potente ne ha attaccato uno assai meno potente. Il primo è un regime; il secondo, tra mille ambiguità, aspira a essere una democrazia, novità per una regione dove questo non è mai successo. Il mondo sta a guardare, è vero, ma è chiarissimo per chi tifa, perché Putin ha infranto un pilastro sacrosanto del diritto internazionale, forse senza nemmeno aver compreso bene le conseguenze.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Breaking Dad

“La guerra viene anche qui?”

“La guerra viene anche da noi, papà?”

Ore 20.30 di un giorno in cui forse non abbiamo più paura del virus ma dobbiamo di nuovo aver paura. La risposta non c’è, ma si deve trovare, subito, in fretta, l’inquietudine di un bambino non può aspettare.

Le maestre hanno chiesto, per domani, di indossare una maglietta bianca. Faranno una fotografia tutti insieme, bimbe e bimbi delle elementari, nell’androne della scuola. E canteranno “Give peace a chance”.

“Papà, è di quello che ti piace, John Lennon!”

E’ una bella idea, penso. Ma non so dare forma a questa sensazione. Perché è una bella idea? Si deve coinvolgere i bambini in questo nuovo incubo? Bisogna far loro vedere le immagini dei carriarmati? E cosa bisogna raccontare? E come?

Non che sia la prima guerra che  – in altri luoghi – abbia incrociato le loro giovani esistenze. No, questo non è vero. La Siria, per dirne una. Ma è lontana, la Siria. Cosa hanno percepito i loro occhi, i loro cuori? La gente che scappa e viene qui. I migranti, i rifugiati. Quello, credo, glielo abbiamo potuto raccontare così: bisogna accogliere quelle persone, quei bambini sfortunati, perché hanno bisogno, sono scappati via dalle bombe e noi li aiutiamo.

Ma adesso la faccenda è diversa.

“La guerra viene anche da noi?”

“Ma no, stai tranquillo, qui non viene”

“Ma noi siamo in Europa, no? E ho sentito che la guerra stavolta è in Europa…”. La voce è ferma, seria. Mi sembra di cogliere un lievissimo fremito su “stavolta”.

“Sì, è vero, ma l’Europa è grande e per fortuna qui c’è la pace”

“Ma ho sentito che può diventare la Guerra Mondiale… quindi vuol dire tutto il mondo in guerra, no?”

“No, non succede, stai tranquillo. Piuttosto com’è che hai detto che si chiama il tipo, lì, chi era… quel trapper nuovo…”.

Ecco, tutto qua. Parole improvvisate, dettate più che altro dall’istinto di protezione. Giuste, sbagliate, adeguate? Non lo so. Ho pensato che situazioni così stiano capitando a tanti genitori, nonni, insegnanti, in questi giorni. Così ne ho parlato alla Radio, invitando Daniele Novara, un pedagogista di grande esperienza e umanità. Gli ho fatto – in onda – quelle domande che ci stiamo facendo in tanti.

Il senso delle sue risposte – che mi permetto di riassumere – è stato: rassicurate i bambini. Soprattutto i più piccoli, fino alla quinta elementare – più o meno. Non fategli vedere immagini di distruzione, di morte. Cannoni, bombe, mitra, persone che piangono, sangue. Gli fate solo paura. Non diventeranno – in questo modo – pacifisti o più sensibili e attenti al mondo. Al contrario. Ne scapperanno. Saranno feriti, spaventati da un nemico troppo al di là della loro capacità di comprensione.

Proteggeteli, ci ha detto il professor Novara. Ma siccome qualcosa arriva loro comunque, inevitabilmente, fate che gli possano almeno dare una forma concreta a quell’ansia che si infiltra nei loro cuori. La maglietta bianca per fare la foto, ottima idea. La bandiera della Pace. Andare tutti insieme in piazza a cantare “Imagine”.

In trasmissione telefona un insegnante di scuola media. Racconta che i suoi ragazzi e le sue ragazze sono turbati, coglie in loro l’ansia. Ha deciso di guardare insieme a loro le prime pagine dei giornali, provare a commentare, a parlare a ruota libera. Lui insegna matematica, in realtà, ma in questo momento fa questa cosa qui.

Telefona un papà, dice che ha portato il bambino di otto anni alla manifestazione.  Racconta che lo ha visto contento, sereno. Anzi: “consapevole”, dice. Mi vengono dei dubbi, ma me li tengo, non devo far l’avvocato del diavolo: vorrei semplicemente capire come si fa.

Penso anche a Francesco che fa la prima superiore. Certo, l’età è ben diversa. Al liceo ne stanno parlando. Seguono le notizie, discutono. E credo che si stiano facendo delle domande, queste ragazze, questi ragazzi, che hanno vissuto due anni tra Dad, mascherine, terrore di ammalarsi e far ammalare i nonni. Due anni in cui hanno rispettato le regole perché hanno capito che era giusto farlo.

Credo che la vorrebbero rivolgere al mondo degli adulti quella domanda: ma veramente? Cioè veramente dopo tutto questo ora, cari adulti, ci dite che fate la guerra? Che vi ammazzate e magari ci coinvolgete tutti quanti? Così siete? E poi fate le pulci a noi se stiamo tanto al telefono?

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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L'Ambrosiano

L’uomo senza qualità: la profezia che si auto adempie. Se non si veglia

Mi auguro che il Tribunale dell’Aia apra presto l’istruttoria sui crimini contro l’umanità in Ucraina. Dovevamo vederla in Europa per ricordare cos’è la guerra: bambini uccisi e traumatizzati; bombe a grappolo vietatissime; case, ospedali, scuole, edifici pubblici colpiti da missili; file di chilometri di profughi. Nel decennio scorso in Siria (pure là Russia e Occidente in guerra sulla pelle d’altri) s’è devastato, con talune differenze: a Damasco e Aleppo ad esempio i civili non avevano la metropolitana dove ripararsi; i profughi non avevano le porte spalancate dai Paesi vicini che per fortuna oggi hanno chi fugge da Kiev; anche da Ungheria e Polonia che hanno eretto muri e fili spinati contro i profughi dai Balcani già respinti e angariati da Paesi come la Croazia. De Gregori e Venditti faranno un tour tornando ad ammonire dopo 50 anni: «Generale, dietro la collina / ci sta la notte crucca e assassina». «Per capire i tempi bisogna ascoltare cosa dicono i poeti.

Per capire cosa patisce il mondo bisogna interrogare i poeti»: lo disse Martini premiando Turoldo; gli chiese scusa perché non avevamo prestato attenzione alla sua voce profetica. Siam stati sordi al sentire cui diede parole Guccini nell’83: «La notte, udite, sta per finire, / ma il giorno ancora non è arrivato, / sembra che il tempo nel suo fluire / resti inchiodato». Non avendo vegliato s’è adempiuta la profezia di Musil L’uomo senza qualità, Ombra dell’Europa tra le guerre mondiali, mai morta. L’uomo senza qualità non vede il valore di pensieri, decisioni, azioni; ha un deficit d’immaginazione e considera solo l’esistente; è adattabile, funzionale, conformista quanto basta a trarre convenienze per sé e i gruppi in cui ha riconoscimenti e contestatore sin quando non deve giocarsi in prima persona; è cultore dell’identità se questa dà i vantaggi delle appartenenze, distaccato se appartenere comporta condivisione generosa. «Ora capisco il mio non capire»: Guccini rilancia il vegliare: sentinella quanto resta della notte? A Kiev, in Europa, nel mondo. Torniamo a cantare, riempire le piazze, invocare la pace: sempre! La poesia squarcia il buio, apparecchia l’aurora, riporta il sorriso sul viso dei bambini: a Kiev e da noi.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Olden, cantautore perugino trapiantato da anni a Barcellona, sta portando in giro "La Fretta e la Pazienza", il suo ultimo disco uscito qualche mese fa. Di passaggio a Jack intervistato da Matteo Villaci, ha parlato di questo lavoro, ce ne ha regalato tre brani dal vivo e ha anche dedicato un commosso ricordo a Paolo Benvegnù, unico ospite dell'album.

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    Diario da Gaza. Episodio 1. Dalla Palestina all’Italia, un viaggio inaspettato

    A inizio ottobre 2023 Yara Abushab arriva in Italia dalla striscia di Gaza. Doveva stare un mese per uno scambio universitario, ma una settimana dopo il suo arrivo, il 7 ottobre, sono iniziati i bombardamenti israeliani sul suo paese. In questo primo episodio di Diario da Gaza, Yara racconta di quei giorni, della sua paura e dell'inferno che ha vissuto la sua famiglia in Palestina.

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    Le "Perle sparse" (Perles fanné par tous) di Vashish Soobah

    Cosa si porta con sé quando si migra? L’artista visivo Vashish Soobah è nato a Catania da genitori mauriziani. Del suo paese di origine conserva un’immagine: un immenso campo di canna da zucchero che si apre di fronte alla casa di sua nonna. "Perle sparse" indaga il tema del viaggio, della diaspora e del ritorno. Una mappa geografica multimediale che traccia un percorso narrativo e sensoriale tra i ricordi con una vena poetica di delicata bellezza. A Cult Ira Rubini ha intervistato Vashish Soobah, il suo spettacolo sarà alla Triennale Milano il 15 e 16 marzo.

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    Oggi ascoltiamo un brano e parliamo del disco d'esordio del "Mago del Gelato", "Chi è Nicola Felpieri?", ascoltiamo gli ultimi singoli de La Nina, di Nada, la reinterpretazione della canzone del bosco dei Punkreas da parte dei Tre Allegri Ragazzi Morti e quella in inglese di Mi Camino di Camille, nella seconda mezz'ora parliamo con Olden del suo disco "La Fretta e La Pazienza" e ne ascoltiamo tre brani dal vivo

    Jack - 14-03-2025

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    Musica leggerissima di venerdì 14/03/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Considera l’armadillo di venerdì 14/03/2025

    Noi e altri animali È la trasmissione che da settembre del 2014 si interroga su i mille intrecci di una coabitazione sul pianeta attraverso letteratura, musica, scienza, costume, linguaggio, arte e storia. Ogni giorno con l’ospite di turno si approfondisce un argomento e si amplia il Bestiario che stiamo compilando. In onda da lunedì a venerdì dalle 12.45 alle 13.15. A cura di Cecilia Di Lieto.

    Considera l’armadillo - 14-03-2025

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    Cult di venerdì 14/03/2025

    Oggi anche Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare, era in onda da Fa‘ la cosa giusta a Rho Fiera Milano, con: Pietro Scidurlo di Free Wheels ONLUS per le disabilità con accessibilità, la counselor e scrittrice Valeria Pompili, Ornella Vancheri di Trillino Selvaggio, Carmelo Di Gesaro e Francesca Ferraro del Centro Internazionale del Libro Parlato, Marcello Paolocci di Strade Maestre e naturalmente Antonio Serra per la rubrica di fumetti

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    Lezioni antimafia: Marisa Manzini

    Seconda lezione del nono ciclo di incontri ideato dalla Scuola di formazione “Antonino Caponnetto” e realizzato insieme a Radio Popolare. Il ciclo di lezioni si intitola: "Storie vere di poteri selvaggi e relazioni inconfessabili". Il 12 marzo 2025, ospiti della Casa della Memoria di Milano, si è svolta una lezione sul patriarcato mafioso e sul coraggio delle donne nel ripudiarlo. Titolo di questo secondo incontro e del libro che l’ha suggerito è: "Il coraggio di Rosa, storia di una donna che ha ripudiato la ‘ndrangheta”. Relatrice: Marisa Manzini, autrice del libro pubblicato da Rubbettino. Manzini è sostituta procuratrice presso la procura generale di Catanzaro. L’incontro è stato introdotto da Sabrina Riccardi, della Scuola di formazione “A. Caponnetto”.

    Lezioni di antimafia - 14-03-2025

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    37e2 di venerdì 14/03/2025

    Povertà sanitaria e farmaci; difficoltà a prenotare una visita per un nostro ascoltatore; l’assistenza ai disabili gravi; Alberto Cairo e la sua vita in Afghanistan.

    37 e 2 - 14-03-2025

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