Famiglia proletaria, cresciuto a Sesto, la piccola Stalingrado. Primo in famiglia a laurearsi, la medicina come una missione. La politica a scuola fra occupazioni, piazze e dibattiti. Gli studi che con merito lo portano negli Stati Uniti, fra i primi italiani ad approfondire il rivoluzionario trapianto di cuore. In America gli offrono una posizione, tanti soldi e la possibilità di far carriera. Lui ringrazia, saluta e se ne va. Fare il medico è una missione. E lui vuole farlo per chi non ha mezzi e ne ha davvero bisogno. E allora va volontario a Quetta, in Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Prende coscienza del problema delle mine PFM-1 sovietiche, che quando toccano terra sembrano dei pappagalli verdi, dei giocattoli. I bambini le raccolgono per giocarci e ci lasciano le mani, le braccia o peggio. Armi progettate per mutilare i più piccini, roba da perderci il sonno. E infatti Gino ce lo perde eccome, mentre taglia, cuce e cerca di aggiustare quelle giovani vita distrutte dalla follia. Ormai fare il chirurgo di guerra è un’ossessione, il compito di una vita.
Nel 91 arriva nell’inferno di Kabul, dove la guerra è ovunque. Si tengono ritmi di lavoro assurdi, al limite della sopportazione. Una volta resta in ospedale nove giorni di fila. Nei rari momenti in cui riesce a staccare, cerca di svuotarsi la mente ascoltando da solo in camera da letto la musica dei Pink Floyd, pifferai magici capaci di ricaricargli le batterie.
Intanto nasce Emergency, l’assistenza per tutti nelle zone più complicate del mondo, una visione apparentemente folle e utopica che in pochi anni diventa un’incredibile realtà. In testa resta sempre il cruccio dell’Afghanistan, ancor di più dopo l’attentato alle Torri Gemelle, con Bush che si incaponisce nel bombardare il paese alla ricerca di un fantasma, uccidendo per lo più civili. Gino lo spiega bene, benissimo: nelle guerre di oggi il 90% dei morti sono civili. I militari sono una minima parte dei caduti. E di quel 90% di civili che muoiono senza sapere nemmeno il perché, più della metà sono donne e bambini. Numeri che fanno venire i brividi. Numeri che fanno vergognare chiunque pensi anche solo lontanamente che la guerra possa mai essere “il male minore”.
Anni sempre in trincea quelli di Strada, senza troppi calcoli, sempre pronto a tendere la mano a chi si trova in mezzo alla tempesta. E poi un ospedale di cardiochirurgia in Sudan costruito grazie all’aiuto dell’amico Renzo Piano, il prezioso lavoro di Emergency in Sierra Leone durante la devastante epidemia di Ebola – dove Gino per vincere la tensione fuma due pacchetti di Marlboro al giorno compromettendosi definitivamente la salute. Ed eccoci al recente passato, l’epidemia di Covid con Emergency ancora in prima linea ma questa volta nella nostra martoriata Italia.
Un po’ memoir, un po’ cronaca sulle ipocrisie del mondo dalla prospettiva di uno che ne ha viste tante, troppe, “Una persona alla volta”, il libro postumo di Gino Strada uscito per Feltrinelli, è una di quelle letture capaci di toccare le corde giuste e invitare a una riflessione comune di cui tutti abbiamo tanto bisogno. In questo periodo così particolare, il libro andrebbe letto ad alta voce nelle piazze, nei supermercati, sugli autobus, nei bar. Parole intense, importanti, utili. Parole necessarie di un uomo che il destino o gli dei del cielo, hanno strappato a questo mondo troppo presto.
Una persona alla volta: la lezione di Gino Strada
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Federico Traversa
Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.