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Mia cara Olympe

E se ci tocca Meloni? il danno, la beffa

Immancabile, nella cena d’agosto tra amici, piomba la frase pronunciata come un addebito: “E come la mettiamo con il fatto che la prima premier della storia d’Italia sarà Giorgia?”. Sottinteso: come la mettiamo con voi (donne, femministe, progressiste) che martellate sulle pari opportunità, che battagliate sull’equa rappresentanza, che ‘pretendete’ declinazioni femminili per lavori e cariche pubbliche, che lamentate ogni discriminazione eccetera eccetera? Detto in breve e alla Montalbano, voi che rompete i cabasisi a chi avrebbe serenamente continuato a non porsi il problema e i problemi e che ora vi trovate per le mani una postfascista che probabilmente varcherà una soglia ad alto valore concreto e simbolico: la prima volta di una donna alla guida di un governo. E quale donna e quale governo.
Neanche il tempo di archiviare la cena, peraltro dimenticabile, che ci si guasta la colazione con il titolo del Corriere: se Fratelli d’Italia vince, dichiara Meloni, sarò io il premier. Il premier, a proposito di declinazioni del linguaggio, e non è certo questa la peggiore delle notizie, visto che l’ultimo sondaggio certifica il primo posto di Fdl nelle preferenze elettorali e lei come la più gradita tra i leader.

Qui oggi siamo, e nelle line social di femministe e donne della sinistra infuria il dibattito. Non è  discussione nuova, ma stavolta parliamo del bersaglio grosso: mai nessuna è stata così vicina a centrarlo, e portandosi dietro tutto l’apparato ideologico che rimanda a Dio, patria e famiglia e che mette a rischio conquiste e diritti ottenuti e difesi con fatica. Mai nessuna: perché a destra le donne competono per il potere con meno timori, perché invece a sinistra stanno al riparo dal conflitto con gli uomini e restano all’ombra del capo di turno che spende parole forti, e solo quelle, sulle pari opportunità, perché dire donna non significa, in politica, per forza nominare una differenza, perché Meloni interpreta istanze patriarcali e dunque rassicura, perché questo e quello…. Ognuna – e ce ne sono anche altre – di queste spiegazioni racconta un pezzetto di verità, ma lì ci ferma. E incombe su di noi – vale la pena ricordarlo a chi da posizioni progressiste ha facilmente esultato per la caduta del governo Draghi –  non solo un governo nettamente di destra che già basterebbe, ma una premier che sintetizza plasticamente il punto in cui si trova, anno 2022, questo paese.
Voteranno lei e il suo partito perché dice prima gli italiani e basta con gli stranieri e pure con l’Europa se è del caso, perché hanno pochi soldi e vogliono essere ‘protetti’ o ne hanno tanti e sperano di pagare meno tasse, perché se non c’è più l’uomo forte, nel 2022  va bene anche la donna forte che con il fascismo ‘ha un rapporto sereno perché è parte della nostra storia’. La voteranno, e mi sembra questione che ci deve inquietare, anche tante donne, non sapendo, mettendo tra parentesi, o fregandosene altamente di quanto ha detto in materia di aborto e diritti lgbt o della sua visione della famiglia. La voteranno e dovremo a malincuore riconoscere  – oltre il danno, la beffa – che se la vincitrice non ci piace, la partita è stata più equa. Però, dopo che proprio tutti i buoi sono scappati, nessun alibi: può anche darsi che Meloni si dia un profilo di ragionevolezza perché governare l’Italia tra pandemia, guerra e crisi economica imporrà di farlo, ma la sberla farà male assai e a lungo anche perché, pure stavolta, una voce femminile autorevole e che faccia differenza dalle nostre parti nessuno l’ha sentita.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La scuola non serve a nulla

Cosa? Una conferenza internazionale sull’Umorismo? Ma scherziamo? Dai, su… – Puntata 3

Nelle precedenti settimane vi stavo raccontando dell’ISHS Conference, l’annuale conferenza dell’International Society of Humour Studies (tradotto: la Società Internazionale di studi sull’Umorismo), riportandovi (fingendo, come tutti gli influencers che si rispettino, una qualche vostra richiesta in tal senso), il succo degli interventi più interessanti. Dopo la prima puntata, con lo spiegone a grandi linee sul “cosa, come e perché” della Conferenza più cliffhanger con la puntata dopo, la seconda con i primi interventi, e una breve pausa per commentare i commenti alla frase di Concita de Gregorio, ecco che continuo imperterrito a sciorinarvi un riassunto dei panel più fighi, da quel che ho capito io. Tanto non è che stia accadendo niente di particolare, in Italia e nel mondo, tale da catturare la vostra attenzione: indi per cui, per scongiurare il rischio d’addormentarsi nella sonnolenza del sottombrellone agostano, ecco qui un avvincente e mozzafiato sillabo di quanto è successo…

Eravamo arrivati a Luca Bischetti dello IUSS di Pavia? E si continua con Giselinde Kuipers. Costei si è soffermata sullo stesso argomento di Bischetti, cioè il “Disaster Humour” del Covid-19 (visto che gancio?) per puntualizzare che in effetti quella del Covid è stata sì “la prima volta” dell’umanità per tante cose, ma anche la prima occasione in cui tutti i comedians – e non solo – del pianeta hanno provato a creare materiale comico sullo stesso argomento. Da lì la pubblicazione sul Web, indipendentemente, di battute molto simili anche a latitudini lontanissime. Interessante come questo materiale rispettasse dei “cicli”, della fasi, che Kuispers ha potuto isolare e definire così:

– Fase 1: “Durerà poco” (essendo il virus “di fabbricazione cinese”, “andrà tutto bene”, ecc.”);

– Fase 2: “Non è reale, non esiste” (visto che “è solo un’influenza come altre”);

– Fase 3: “Panico e morte, tentativo di fronteggiare il trauma con il ridicolo” (per intenderci, l’umorismo in stile Taffo);

– Fase 4: “Lock down, noia, adattamento al nuovo” (tipo “Gita che parte dalla cucina, fermata autogrill in corridoio, arrivo in salotto”)

– Fase 5: “Critica alle disposizioni dei governi”, percepite come incoerenti (modalità “perché i teatri sono chiusi e le chiese no”).

Per ognuna di queste fasi gli umoristi, come del resto tutti i comici su un palco con un pubblico, hanno lanciato input e poi aggiustato il tiro dei successivi interventi sulla base della risposta ai precedenti: “un po’ come fanno proprio i tanto bistrattati pipistrelli, che mandano segnali nell’aria e aspettano la risposta per capire dove possono andare”. Che il povero pipistrello avrà fatto pure danni, ma come analogia con il comico è perfetta.

Nel panel “Neurodiversity and humour”, Evelyn Ferstl, Mikhail Fiadotau e Noemi Treichel hanno analizzato la ricaduta dell’uso dell’umorismo nel lavoro di rieducazione con soggetti che presentano disturbi vari nell’area della neurodivergenze. Il loro studio ha rivelato come, sottoponendo allo stesso materiale umoristico un vasto campione di soggetti con quattro tipi di neurodiversità o disturbi diversi (autismo, iperattività/ADHD, schizofrenia e depressione), coloro che dimostrano meno difficoltà nel comprendere un messaggio con intenzione umoristica sono, udite udite (benché il loro sia il disturbo che impatta in maniera più devastante sulla rete relazionale dell’individuo e sul sistema sanitario nazionale) proprio i soggetti con schizofrenia. “E grazie al cavolo: sono almeno due, dentro, possono chiedere e aiutarsi fra loro”, ho commentato sapidamente io, nello spazio finale delle domande, rischiando di essere cacciato dalla Conferenza… ma questa è un’altra storia. Che fa pendant con una della migliori battute della conferenza, quella di una Comedian in un video, che in suo pezzo raccontava: “Mi è stata diagnosticata la Sindrome di ADHD: sono iperattiva e ho difficoltà a mantenere l’attenzione. Volevo dire una battuta per tutti quelli nel pubblico che sono nella mia stessa condizione… Ma temo si siano già distratti a pensare ad altro”. Non ricordo il nome della comedian. Credo mi fossi distratto anch’io.

Peccato poi, sempre nello stesso panel, esservi persi la prof.ssa Michelle Matter. Sì, perchè la professoressa ha illustrato i risultati di un suo bellissimo studio (come approccio, simile al precedente): ha fornito i medesimi stimoli umoristici (battute, barzellette, vignette) a soggetti con autismo e poi ad altri con sindrome di Williams-Beuren (ne ignoravo l’esistenza: è un disturbo che porta nel soggetto uno “sviluppo puberale precoce dei caratteri sessuali secondari e statura definitiva più bassa della media, ma si caratterizza soprattutto per un atteggiamento sociale aperto, spesso immotivatamente, con una tendenza a essere particolarmente gentili ed estroversi con gli estranei, specie se di età diversa”: a dirla male, un disturbo i cui sintomi parrebbero agli antipodi dall’autismo). Dallo studio è emerso come i soggetti appartenenti a entrambi i gruppi hanno grosse difficoltà a comprendere l’umorismo, ma se i soggetti con sindrome di Williams-Beuren non lo ammettono, gli autistici invece sì; e perché? Questione di gelotofobia (altra parola che ho appreso quel giorno: è la “paura di essere derisi”), molto più alta in soggetti con questa sindrome che in quelli con autismo. Riconoscere di non aver compreso una battuta esporrebbe al rischio di essere considerati diversi, e quindi di essere esclusi dal gruppo: perciò il soggetto con sindrome di Williams-Beuren riderà alla battuta pur non avendola compresa (specie se, per imitazione, ridono anche gli altri); mentre una persona con autismo non ride e ti chiede, impassibile e senza filtri, cosa c’è di divertente, perché lui non l’ha capito (esponendosi, inconsapevolmente, allo stesso rischio di esclusione, benché di segno opposto). Voi direte: e perché questo studio sarebbe interessante? Be’, fornisce idealmente i due estremi del paradigma entro cui ritrovare tutte le possibili sfumature delle reazioni che anche i soggetti neurotipici hanno verso l’umorismo quando esso è prodotto in situazioni di socialità. In altre parole: quante volte accade di ridere anche se non abbiamo compreso il motivo? Perché lo facciamo? E perché a volte è difficile dire “Non ho capito”? Quando ero piccolo, certi bulli carogne della mia cumpa, più grandi di me, probabilmente non sapevano di sottopormi allo stesso esperimento della Matter: questi spernacchiavano una battuta a tema sessuale; io non capivo, mancandomi le conoscenze fondamentali, ma ridevo lo stesso per sintonizzarmi con tutti gli altri. Poi mi chiedevano perché: io non lo sapevo spiegare. Mi picchiavano. Fine della breve storia triste.

A seguire, Maggie Hennefeld e Luvell Anderson hanno presentato il bel libro “Uproarious: How Feminists and Other Subversive Comics Speak Truth”, di Cynthia Willett e Julie Willett: una sorta di storia della comicità al femminile Made in U.S.A a partire dagli anni ‘50. Giusto per ribadire come purtroppo il pregiudizio che “le donne non fanno ridere” non è solo roba Made in Italy. Un libro che racconta come gran parte della storia della rivendicazione dei diritti delle donne sia passata anche dai palchi di tanti Comedy Clubs. Tra le tante comedians, si parla anche di Wanda Sykes, e della sua celebre battuta dopo l’elezione di Donald Trump: “Sono certa che non è la prima volta che abbiamo eletto un presidente razzista, sessista, omofobo. È semplicemente il primo che ci ha avvisato in anticipo.”

E poi? E poi basta… cioè, tanti altri interventi interessanti, ma ve li racconto nell’ultima puntata della settimana prossima…

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Alika, Simone Weil, Francesco, i piccoli inuit e milioni di loro fratelli

«In ogni uomo v’è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. E neppure la persona umana. È semplicemente lui, quell’uomo (…) È questo che è sacro in ogni essere umano»: che «gli venga fatto del bene e non del male». Questo pensiero di Simone Weil allevia sgomento e tristezza per l’assassinio di Alika; il disinteresse collettivo intorno a Francesco che al Polo Nord chiede perdono per i crimini dell’Occidente (Chiesa compresa) che ha colonizzato i nativi violando singoli e identità culturali; l’indifferenza crescente sulla guerra di Putin all’Ucraina, tanto che, sentendosi legittimate dalla diffusa capacità di adattamento al peggio, la Serbia fa scintille col Kossovo e Cina e Usa si misurano su Taiwan. I tg han potuto dire “unanime condanna del mondo politico” per la brutale uccisione a Civitanova perché sugli “ismi” ci si può ritrovare: anche sul “personalismo” paradossalmente. I partiti a parole han condannato poi, ma: la Lega monta la campagna sicurezza (chiodo fisso di Salvini anti immigrati); la Meloni segue Orban che s’è scagliato contro il miscuglio delle razze (parola da bagaglio fascista); il Pd non ce la fa proprio con lo jus scholae. Da che parte stai emerge davanti un uomo, una donna, un bambino, un anziano. Di fronte ad ogni singolo o sei rispettoso, accogliente, prossimo cioè fai il bene di lui per come è, per il solo fatto che è lì: punto. O lo ignori, lo attacchi, gli imprimi uno stigma, lo irridi, lo violenti, lo uccidi. Il resto: chiacchiere. Le vittime: Alika; un bimbo inuit; un abitante di Odessa; un rifugiato; una donna che vuol ricostruirsi la vita con un altro. La Weil ha scritto negli ultimi mesi di vita (inizi ’43) a Londra i pensieri da cui son partito. La salute le aveva impedito di fare la Resistenza; lei ha lottato con idee giocate in ogni scelta e azione “per il bene” dell’uomo, non “per il male”. Contraddire nei fatti che «in ogni uomo v’è qualcosa di sacro» (o camuffarsi dietro parole vuote) è dire che Weil e milioni di donne e uomini han patito il nazifascismo, combattuto: son morti invano. E muoiono ancora solo perché nati. Poi ci stupiamo. Inaccettabile! Star vigili, sempre, ovunque. Essere uomini è l’eredità che possiamo lasciare. L’unica che vale.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Incontro con Hugo Vau, il monaco del mare che surfò una montagna

Riuscite a immaginare la sensazione di essere sulla cresta di un’onda alta 35 metri e di provare a cavalcarla? I pensieri immobili, corpo e mente assorbiti dall’istante, in una danza con il mare totalizzante e pericolosa. Adoro il surf perché – al netto delle gare, degli sponsor e delle costose marche di infradito di cui sinceramente mi interessa poco – chi pratica questo sport con autentica vocazione é una specie di monaco del mare. Rispetta la natura, sa vivere il presente e possiede una giusta distanza dalle cose. E ha un rapporto quasi famigliare con le onde. Come Hugo Vau, il surfista portoghese che ha cavalcato con la sua tavola quel gigante d’acqua di cui parlavamo prima. 35 metri, si é scritto. Una roba impressionante. Da allora Hugo, a quell’onda che ha osato surfare e che gli ha cambiato la vita trasformandolo in uno dei surfisti più conosciuti del mondo, ha dato un nome: Big Mama. Grande mamma.
Perché questo é stata per lui.
L’incredibile esperienza di Hugo si é concretizzata il 17 gennaio 2018 a Nazarè, in Portogallo. Il resto é leggenda, con una storia che ha fatto il giro del mondo ed é diventata un libro – Big Mama La madre di tutte le onde – che Vau ha scritto insieme al giornalista e scrittore ligure Fabio Pozzo, che da sempre é un abile e credibile narratore del mare e dei suoi protagonisti.
Ho la fortuna di incontrare i due a Chiavari, in una delle tante presentazioni che li stanno portando in giro per l’Italia a raccontare Big Mama. In una serata caldae non di meno afosa, Hugo mi viene incontro sorridente, il viso abbronzato incorniciato da una folta barba. Indossa pantaloni leggeri, t shirt scura e ai piedi gli immancabili infradito. Nonostante dalla sua impresa siano passati 4 anni non sembra ancora essersi abituato al fatto che tante persone vogliano stringergli la mano e conoscerlo. E anche io sono una di queste.
Me lo presenta Fabio Pozzo, con cui in settimana ci eravamo accordati per un’intervista da registrare per la Radio (la troverete presto in onda all’interno di Onde Road).
La serata scorre via piacevole, Hugo racconta al numeroso pubblico la “sua onda”, l’emozione di trovarsi sopra una montagna, inseguito da una valanga. A fianco siede Fabio, che da cantastorie esperto tratteggia luoghi, persone e sfumature di quell’incredibile impresa. Il resto lo fanno i contributi video di quella giornata a Nazaré, con quell’onda immensa a scompigliare per sempre il destino di Hugo, un giovane laureato in psicologia innamorato del mare, che a seguito della morte della mamma decide di seguirlo fino in fondo quell’amore. E allora lascia un lavoro stabile e un futuro scritto per cavalcare le onde dentro un futuro da scrivere. Una storia da film, che raggiunge il suo punto piu alto quel giorno a Nazaré, con l’allora trentasettenne Vau che compie il proprio eroico destino. Eppure, devo ammettere un po’ inaspettatamente, la cosa che piu colpisce di tutto quell’adrenalinico video che anima la notte chiavarese non é tanto la cavalcata dell’onda ma un’altra cosa. Sto parlando della nota audio che accompagna una parte del filmato, dove si puó ascoltare la registrazione delle comunicazioni radio fra Hugo e Alex Bothello – l’amico surfer che quel giorno guidava il jet sky che accompagnó Vau in cima a quella montagna d’acqua – con il loro team a terra. Ecco, la voce rilassata, tranquilla e focalizzata sul momento di Hugo – che non dimentichiamo stava andando a calvacare Big Mama rischiando la pelle – sono qualcosa che colpisce, stupisce, addirittura sorprende. Piu da monaci zen che da sportivi, e proprio qui sta il suo bello. Come bello é Hugo, il suo mondo fatto di onde, la vita alle Azzorre, i piedi scalzi e un bimbo avuto da poco dalla compagna. E come é bella quella Big Mama a cui non si puo che volere bene.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Il sangue e la parola: altro che agenda Draghi, promesse, sinistri ritorni!

Roma: benedetta, maledetta città! In 48 ore ha dato il peggio e il meglio di sé e di noi (noi eleggiamo il Parlamento, ci indigniamo, cerchiamo di rimediare, rischiamo di fallire). Il 20 in Senato il cupio dissolvi d’una politica senza bussola, senso della realtà e della storia ha affossato Draghi. Il 22 in piazza Quirinale s’è materializzato l’altro volto: è andata in scena la novità splendida di Nicola Piovani: Il sangue e la parola, cantata con testo tratto dalle Eumenidi di Eschilo e riferimenti ai lavori preparatori di Padri e Madri Costituenti.

Piovani (Oscar per la musica de La vita è bella di Benigni) con profezia laica ha stabilito un ponte di idee, valori, umanità, civiltà fra la tragedia greca che ripudia vendette e celebra nascita di diritto, giustizia, dialogo e i tempi grami nel Paese, nei rapporti internazionali (aggressione di Putin all’Ucraina, ricatti su grano e gas), diritti traditi, inflazione. A Piovani l’idea era venuta più di 10 anni fa (le crisi han radici che ci ostiniamo a non vedere). S’era commosso a leggere Eschilo «in un momento in cui i valori fondanti della nostra Costituzione antifascista venivano messi in discussione da alcune correnti di pensiero reazionarie». Creatività e senso civico l’han convinto bisognasse “fare” (poesis vuol dire modellare, trasformare la realtà), rappresentare passaggi epocali così che il coro (il popolo, cittadini attivi, non i follower cari ai politici) prenda coscienza e cambi. I propositi: «Non più la violenza per dirimere questioni, ma il dialogo. Non più la spada per vincere, ma il pensiero per convincere. Non più il campo di battaglia, ma il tribunale dell’Areopago. Non più il sangue ma la parola».

Rimettiamo la parola al centro; gli inizi di campagna elettorale inquietano: promesse senza coperture; pregiudizi (verso i migranti), formule (agenda Draghi); ideologie bollate dalla storia. Con Piovani reagiamo al «cinismo anche nostro, non solo degli altri, che ci impedisce di guardare la vita con gli occhi di Eschilo, dei poeti». La cantata chiude così: «Osanna a te, Zeus, / guidaci sulla strada / di giustizia e libertà…/ la luce della mente / vince sull’oscurità della vendetta. / E la strada della pace / sarà illuminata». La parola è vita, è spirito costituente!

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    Gli impiegati pubblici fuggono da Milano

    Seimila dimissioni in un anno e mezzo, tra il 2022 e il 2023 il numero dei dipendenti pubblici, nel milanese, è sceso del 15%: 32 mila posti di lavoro in meno. I dati dell’Inps, elaborati dalla Camera del lavoro e dalla Funzione pubblica della Cgil, raccontano l’impoverimento del pubblico impiego a Milano: migliaia di posti di lavoro in meno, soprattutto nel servizio sanitario e negli enti locali, un calo di quasi un miliardo dei trasferimenti di risorse statali, stipendi troppo bassi per vivere in città. Ne abbiamo parlato con Lucilla Pirovano della Fp Cgil di Milano.

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    Il giro del mondo in 24 ore. Ideato da Chawki Senouci e in onda dal 6 ottobre 2003. Ogni giorno alle 19 Chawki Senouci e Martina Stefanoni selezionano e raccontano fatti interessanti attraverso rubriche, reportage, interviste e approfondimenti. Il programma combina notizie e stacchi musicali, offrendo una panoramica variegata e coinvolgente degli eventi globali.

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    Poveri ma belli di mercoledì 27/11/2024

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Vieni con me di mercoledì 27/11/2024

    Vieni con me! è un’ora in cui prendere appunti tra condivisione di curiosità, interviste, e il gran ritorno di PASSATEL, ma in forma rinnovata!! Sarà infatti partendo dalla storia che ci raccontano gli oggetti più curiosi che arriveremo a scoprire eventi, iniziative od occasioni a tema. Eh sì, perché poi..ci si incontra pure, altrimenti che gusto c’è? Okay ma dove, quando e poi …con chi!?! Semplice, tu Vieni con me! Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16.30, in onda su Radio Popolare. Per postare annunci clicca qui Passatel - Radio Popolare (link - https://www.facebook.com/groups/passatel) Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa, un oggetto particolare o proporti come espert* (design, modernariato o una nicchia specifica di cui sai proprio tutto!!) scrivi a vieniconme@radiopopolare.it Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni

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    L'Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp

    Nell'intervista di Chawki Senouci a Jack, l'Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp presenta il nuovo album "Ventre Unique". Come riportato sul loro sito ufficiale, la OTPMD è un'orchestra in continua evoluzione, ispirata ai grandi gruppi africani del XX secolo come il Tout Puissant Orchestre Poly-Rythmo de Cotonou e omaggiante il rivoluzionario artista francese Marcel Duchamp.

    Clip - 27-11-2024

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    Le "Poesie al Banco" di Vimercate

    Oggi a Cult, in onda dal LAB Libri al banco di Vimercate, Ira Rubini ha avuto come ospiti il libraio Andrea Bressa (con un intervento anche di Sara Perego) e il poeta e graphic novelist Davide Passoni, con i quali ha parlato delle iniziative "Poesie al Banco".

    Clip - 27-11-2024

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    Playground di mercoledì 27/11/2024

    A Playground ci sono le città in cui abitiamo e quelle che vorremmo conoscere ed esplorare. A Playground c'è la musica più bella che sentirai oggi. A Playground ci sono notizie e racconti da tutto il mondo: lo sport e le serie tv, i personaggi e le persone, le ultime tecnologie e le memorie del passato. A Playground, soprattutto, c'è Elisa Graci: per 90 minuti al giorno parlerà con voi e accompagnerà il vostro pomeriggio. Su Radio Popolare, da lunedì a venerdì dalle 15.00 alle 16.30.

    Playground - 27-11-2024

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    Gr in breve mercoledì 27/11 15:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    GR in breve - 27-11-2024

Adesso in diretta