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L'Ambrosiano

Salvate il soldato Pd

Sono tra i tanti che non han risparmiato critiche e ironie a omissioni, scelte, propositi e attese tradite del Pd. Non rinuncio a indispettirmi per autoreferenzialità e liturgie ma non posso non constatare: il Pd è il solo partito sulla scena in linea col disegno costituzionale. In una riga e mezza la Carta definisce la democrazia e fissa il confine oltre cui c’è il piano inclinato della deriva autoritaria. Art. 49: «Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Guardo al Parlamento e vedo agitarsi gruppi, leader che ne sono proprietari coi nomi nei loghi, schieramenti personalizzati, legati a fortune di singoli, gradimenti, sondaggi; non vedo organismi, Statuti, strutture sul territorio, luoghi di dibattito, elaborazione d’idee, strategie, culture, formazione di classi dirigenti, appuntamenti congressuali, modi in cui valutare presente e visioni generali, confronti su linee politiche, popoli a cui parlare, provvedimenti da proporre a chi si ispira a orientamenti diversi e coi quali o allearsi o competere (il «metodo democratico»), persone da eleggere perché con onestà e coraggio propugnino scelte condivise. Oggi in gioco è il modello costituzionale. Sul Pd, pur con carenze e difetti, grava un ruolo che va oltre le fortune sue. V’è da bloccare il deterioramento degli assetti istituzionali, l’alterazione dei contrappesi tra organi e poteri dello Stato, il perseguimento di condizioni afninché diritti e doveri siano garantiti. Quasi 30 anni fa Giuseppe Dossetti lasciò per un attimo il ritiro del monaco preoccupato del berlusconismo rampante. Nacquero Comitati per la difesa della Costituzione. Anche grazie a una rivolta civile e culturale appetiti furon placati: a destra e a sinistra. Al risveglio del pericolo va pensato qualcosa che lo contrasti in termini di cultura, mentalità. Presidenzialismo e autonomia differenziata, offerti come efficientamento democratico, la svuotano. I partiti sarebbero le prime vittime d’una deriva autoritaria. Come non vederlo? Anche sul no intransigente alla destra si giocano il futuro il Pd, le tradizioni cattolica e quella riformista, il Paese. E l’Europa, a voler guardare lontano.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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L'Ambrosiano

Collusioni

Piano col giubilo! Plauso e soddisfazione hanno valore se l’arresto di Palermo produce cambiamenti in noi. Un boss in carcere non ridà vita alle vittime di atrocità mafiose, né dignità a chi inala lo smog d’un potere distorto e pervasivo, né prestigio alle istituzioni se apparati e politica le occupano per lucro e rendite di posizione, non per servirle. Giustizia è coscienza civile rigenerata, ricreare condizioni perché l’umano pianti tende dove prepotenze, violenza fisica e psicologica, conformismi, avidità han fatto il deserto. Propongo un grande rito collettivo laico: lavacro e purificazione in pubblico; riandare alla fonte primigenia di convivenza: l’etica, la morale pubblica. I Consigli Comunali diano l’esempio. Cominci Milano. Qui si candida in Regione Moratti: fu Sindaca d’una maggioranza di centro destra, tipo l’attuale a Roma, che fece revocare la Commissione d’Inchiesta sugli interessi mafiosi. Pure il Prefetto sosteneva: niente mafia al Nord. Storia? Inconscio culturale? Energia psichica attivabile? Un dibattito in Comune farebbe emergere l’Ombra in noi. Tecnicamente non si chiamerà mafia ma è parente, terreno di coltura. Il boss preso fa scattare la rassicurante proiezione: succede in Sicilia. Ma anche qui abita la mentalità del chi te lo fa fare; una Sanità in cui posti e primariati van sempre a quelli; i cartelli nelle gare e il far spallucce dell’Anticorruzione nel Codice degli appalti; Bergamo e Brescia oggi capitali della Cultura, ieri di cimiteri e Covid, mai di verità. Sconvolto da Capaci Jovanotti scrisse “Cuore”. Se crede a ciò che dice la politica dia ai giovani che nei tg esultano per il boss catturato aule per cantare: «I ragazzi diffidano di ogni proposta,/ non stanno cercando nessuna risposta,/ ma fatti, giustizia, rigore morale/ da parte di chi calza questo stivale. / L’Italia è anche un’altra. /la gente lo grida: / i ragazzi son pronti per vincere la sfida». Jovanotti spiegò che Capaci gli fece prender coscienza di «vivere in un Paese libero dal potere della malavita organizzata. Organizzata – precisò – in ogni sua forma, dalla più atroce e violenta a quella più strisciante, mascherata, istituzionalizzata e collusa con altri poteri». Chi? Dove? Come? Parliamone.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Il mare della violenza e il nostro cucchiaino

Una mia cara amica, femminista intelligente e impegnata, ieri era a Roma ed ha partecipato al presidio in ricordo di Martina Scialdone, uccisa dal suo ex compagno in un ristorante della capitale. Ha scritto a sera, la mia amica: “Tanta gente… ma mi  sto chiedendo, serve?”.

Ecco, la domanda è questa e in tante ce la poniamo: serve? Cosa serve? Perché non è mai abbastanza? Perché sembra di svuotare il mare con un cucchiaino, e il mare è l’oceano della violenza e delle tante scuri che si abbattono sulla vita delle donne – in Afganistan, in Iran, nella democratica America che ostacola chi vuole abortire, qui da noi, sotto casa, al tavolo accanto del ristorante dove una donna discute con un uomo perché vuole lasciarlo e in cambio riceve una pallottola letale. O in Spagna dove le quattro donne uccise in poco meno di 24 ore, dopo un crudelissimo mese di dicembre, fanno dire al ministro degli Interni che siamo davanti a un ‘terrorismo di tipo machista’. La Spagna, proprio il paese in cui era stata promulgata una delle più avanzate leggi del mondo in materia di violenza di genere nel  lontano 2004, dove si usa un algoritmo per predire la violenza e dove oggi ci si chiede cosa si è sbagliato, cosa serve e si sposta il focus sul controllo del potenziale aggressore a forza di braccialetti elettronici.

E ci si domanda cosa serve, cosa dobbiamo fare ancora perché avvenga, ad un livello visibile, apprezzabile, diffuso, lo scatto che tanti uomini hanno fatto e che molti di più ancora non fanno, continuando a pensare le donne come una proprietà, e ad agire il dolore di un abbandono come una cruenta vendetta.

È morta tra le braccia di suo fratello Martina Scialdone, è morta pochi giorni prima una ragazza di Genova, Giulia Donato si chiamava e aveva solo 23 anni, e subito dopo Martina una donna di 43 anni, Teresa Di Tondo, ammazzata a coltellate. Nel primo e nel terzo caso, come spesso ormai accade, gli assassini si sono tolti la vita che sono stati incapaci di vivere, così tanto da toglierla a una donna: e fa pensare questa impotenza distruttiva. Giulia, Martina, Teresa: sono la contabilità infinita di una strage che non accenna a diminuire. E poi ci sono le vite ferite, quelle che alla cronaca non arrivano, che restano urla da un appartamento vicino, o litigi al tavolo accanto e che ti lasciano lì a chiederti: cosa faccio, intervengo, chiamo la polizia, speriamo che finisca, che tutto si calmi…

E non si calma niente, e ci vuole il grande coraggio di chi ogni giorno continua a svuotare quel mare – nei centri antiviolenza, ma anche nelle relazioni di aiuto tra amiche, sorelle, vicine di casa, uomini di buona volontà  anche, certo – per non sentirsi sfiduciate, sopraffatte e per non dubitare. Serve, serve tutto – lavorare sugli stereotipi, con i giovani, con i figli, mettere soldi e risorse su questo piatto, scriverne, parlarne, non abbassare la guardia, uscire di casa per stare con altre in un presidio sotto la casa di una, l’ennesima,  vittima.  Serve, ma  stasera che fatica.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ville Valo è tornato, il Love Metal è salvo

Poco più di una ventina d’anni fa c’è stato un periodo in cui il mondo del metal più commerciale venne invaso dalla musica di una band finlandese assai discussa, che seppe spaccare in due il pubblico, dividendolo fra chi li amava alla follia e chi li disprezzava senza rimorso. Sto parlando degli Him di Ville Valo, che in mezzo mondo, Italia compresa, nel 2000 fecero il botto con l’album Razorblade Romance. Quel disco, trascinato dalla ballatona gotica Join Me In Death e da una manciata di pezzi tirati, orecchiabili, in bilico fra glam, pop, goth e metal, diventò un classico garantendo alla band nata nel ‘91 a Helsinki, un posto di rilievo nel panorama musicale del periodo. Gli Him erano innegabilmente bravi, e altrettanto innegabilmente ruffiani. E poi avevano un cantante come Ville – bello come un modello e con quel look da maudit decadente – che gli garantiva una fanbase non composta dai soliti metallari col chiodo che ai concerti si agitano con la birra in mano pogando nelle prime file, ma uno stuolo di ragazzine urlanti che sbavavano su quel frontman dalla voce calda e urticante come un bicchiere di assenzio e la capacità di ammiccare come pochi. Già perché quei testi intrisi di love, death, perdizione e redention sembravano costruiti ad arte per generare appiccicosi wet dreams. Un po’ di Cure, un po’ di Billy Idol, una spruzzata dell’Ozzy Osbourne più pop, e poi un pizzico di glam, un filo di Jim Morrison nell’attitudine imbronciata, un briciolino di pseudo satanismo all’acqua di rose – Him stava per His Infernal Majestic – ed ecco la band che inventò il love metal. Inevitabile che a tanti piacessero e ad altrettanti facessero schifo. Personalmente ero tra i primi: adoravo Ville e i suoi. Sarà stato paraculo quanto volete ma con la sua musica sapeva emozionarmi; quell’atmosfera romantica e decadente mi faceva sognare e per quanto intuissi fosse un po’ artefatta, me la godevo comunque, come si fa con un film dell’orrore o una romantica commedia dalle tinte scure. D’altronde, come dicevano gli ismaeliti, quando niente è vero tutto è permesso. Per questo ci patii parecchio quando nel 2017, dopo un lucroso tour d’addio, il gruppo si sciolse. Ci patii ma lo accettai anche con un certo sollievo, perché era ormai da tempo che Valo, principale compositore di tutti i brani, sembrava stanco e a corto di idee.
Da allora il cantante degli Him ha fatto perdere le sue tracce. Tolta una collaborazione con lo stagionato gruppo folk finlandese degli Agents, è sparito dai radar lasciando i fan orfani della sua musica, perlomeno fino al 13 gennaio di quest’anno, giorno in cui è uscito Neon Noir, il suo primo disco solista, un album dove Valo suona tutti gli strumenti, dalla batteria alla chitarra. Come è il disco? Come una versione più morbida, azzarderei pop, degli Him. Ma attenzione, non sto dicendo sia male, a tanti magari questa versione un filo più annacquata e a tratti ispirata piacerà anche di più. Le inconfondibili trame melodiche di Valo ci sono tutte, state tranquilli. Quello che manca sono gli ammiccamenti facili, il goth a tutti i costi, che pur non sparendo del tutto si attenua, lasciando spazio anche a momenti più luminosi, quasi ottimisti, che so può sembrare irrispettoso visto che stiamo comunque parlando dell’ex frontman degli Him. Quello che convince meno è il risultato finale del disco, con le canzoni che – meno tirate, rabbiose e potenti che in passato – finiscono per suonare tutte molto simili, e alla alla lunga annoiano un po’. O magari semplicemente servono più ascolti per assimilarlo, vi saprò dire. Alla fine chissenefrega, la cosa importante è che Ville sia tornato, di nuovo produttivo e desideroso di spendersi sul palco, pronto ad adombrare la candela nera di amori fuggiaschi eternamente tormentati. Il love metal, anche se forse ora sarebbe più lecito chiamarlo pop metal, è salvo. Il suo re è tornato.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Appunti sulla mondialità

La salute della Cina

Poche volte l’andamento dell’economia mondiale è dipeso dalla salute di un popolo, ma in questo 2023 che inizia dipenderà da quella del popolo cinese. I timori che il brusco allentamento delle misure draconiane di prevenzione finora adottate da Pechino contro il coronavirus possa tradursi in un’ondata incontrollata di contagi sono molto forti. I motivi sono diversi, ma i principali rimangono l’alta percentuale dei cittadini non vaccinati, una decina di milioni solo tra gli over-85, e la scarsa efficacia dimostrata nei test dai vaccini cinesi della Sinovac rispetto a quelli a mRna prodotti dalle multinazionali occidentali. In Cile, dove questi vaccini erano stati usati per la prima volta fuori dalla Cina, si è calcolato che la copertura di vaccini Sinovac di prima generazione non superava il 40% di efficacia. Nel 2022, la scarsa circolazione del virus nel Paese asiatico è stata dovuta non tanto ai vaccini, ma alle politiche di isolamento dei focolai, fondate su rigidissimi lockdown. La domanda degli esperti è se la Cina oggi è pronta per sostenere la ripresa economica globale, visto il ruolo determinante che svolge per la filiera produttiva mondiale. La pandemia, infatti, ha messo in evidenza come della Cina non si possa fare a meno: garantisce percentuali che toccano il 40% dei componenti attivi dell’industria farmaceutica e il 35% del mercato mondiale dei microchip, oltre a una enorme quantità di beni che spaziano dall’elettronica avanzata alle terre rare, che sono estratte o elaborate in Cina quasi per il 70%.

Si è così compreso che la globalizzazione è sì una fase dell’economia mondiale nella quale tutti partecipano a un unico e grande mercato, ma questo mercato è tenuto in piedi da pochi Paesi, e soprattutto dalla Cina. Se la salute dei cinesi quindi vacilla, ne risente l’economia di tutto il mondo e in alcuni settori si rischia addirittura la paralisi. Questa è la conseguenza di un processo iniziato negli anni ’80 del secolo scorso, con il trasferimento di interi comparti industriali dismessi dall’Occidente verso la Cina, capace di acquisire velocemente una capacità produttiva che in precedenza non aveva grazie al suo inesauribile serbatoio di manodopera a basso costo, ma anche a zero politiche ambientali e sfruttamento illimitato di energia prodotta dal carbone. Poi il colosso asiatico è diventato esso stesso un grande mercato, ma senza perdere il ruolo di esportatore che, anzi, si è rafforzato nel tempo anche attraverso enormi investimenti diretti in una miriade di Paesi in tutto il mondo. Il vero colpo di reni della Cina è stata però la sua politica estera, non guidata da mire geopolitiche tradizionali ma volta a consolidare il primato economico raggiunto. Stringendo accordi commerciali, Pechino si è garantita rifornimenti certi di quasi tutte le commodities necessarie per la sua economia. E quindi grano, soia, carne, legname dal Sudamerica e minerali strategici dall’Africa, diventata il suo cortile di casa. Per non parlare del resto dell’Oriente, dove spiccano gli accordi con Vietnam e Laos e il sostegno a regimi come quello al potere in Myanmar.

L’espansione della Cina assomiglia molto, almeno da un punto di vista economico, a quella che fu propria dell’Impero britannico, ma senza l’apporto delle cannoniere e senza le colonie, almeno in apparenza. La Cina è dunque una potenza moderna e allo stesso tempo antica, ormai da tempo siede al tavolo dei grandi del mondo ma continua a usare retoriche terzomondiste con i Paesi più poveri. Questo ruolo, però, ora diventa fragile per via del più grande errore commesso da Pechino negli ultimi decenni: quello di non avere voluto, per motivi di orgoglio nazionale, copiare o acquistare i vaccini occidentali, preferendo continuare a seguire la via, rivelatasi fallimentare, del controllo della diffusione dei contagi. Il punto è che la salute del popolo cinese è un problema di tutti: senza la Cina non si uscirà dalla crisi iniziata nel 2019, a dimostrazione del fatto che, oggi più che mai, i problemi e i conflitti arrivano dall’economia molto più che dai missili. Ma a differenza dei carri armati, sono problemi che fanno poco rumore.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    About a City 2024 – Migrant City è il titolo della settima edizione del festival sulle trasformazioni urbane. Un’occasione per riflettere su come flussi di persone, denaro, merci e interessi attraversino le metropoli contemporanee, amplificando disuguaglianze, aumentando i costi dell’abitare e trasformando lo spazio collettivo in un privilegio. A queste dinamiche si sommano le sfide del cambiamento climatico e dell’economia di piattaforma, che accelerano i processi di trasformazione. Ma a favore di chi? E con quali effetti sulle relazioni sociali e di comunità? Ira Rubini ne ha parlato con Tommaso Vitale, sociologo, preside della Urban School di SciencesPo

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    Jack di martedì 26/11/2024

    Dedichiamo un corposo approfondimento a GNX, ultimo disco di Kendrick Lamar uscito a sorpresa venerdi, ascoltiamo l'ultimo singolo dei Franz Ferdinand dal disco in uscita a gennaio, diamo un po' di aggiornamenti su Stromae, in pausa da mesi ma con un nuovo singolo e un documentario in uscita sul tour del suo ultimo disco, ospitiamo memento per un'intervista e un paio di brani love dal nuovo disco ))) ECHO ((((

    Jack - 26-11-2024

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    Musica leggerissima di martedì 26/11/2024

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Sciopero generale, contro la legge di bilancio. Il governo Meloni fa pasticci sulle aliquote Irpef. L’economista Roberto Romano ce li spiega. In attesa della giornata di protesta di Cgil e Uil del 29 novembre, Pubblica ha ospitato una storica sindacalista della Cgil, oggi vice-presidente dell’Anpi: Betty Leone. Ha fatto bene Landini a parlare di rivolta sociale? Ai tempi dei governi Berlusconi, dello scontro sull'articolo 18, Cofferati minacciava una “rottura sociale pesantissima”. E’ più difficile oggi per il sindacato portare in piazza lavoratrici e lavoratori rispetto ad un quarto di secolo fa? Cosa fu la manifestazione della Cgil a Roma del 23 marzo 2002, con l'invasione pacifica della capitale da parte di centinaia di migliaia di persone?

    Pubblica - 26-11-2024

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    A come America di martedì 26/11/2024

    a cura di Roberto Festa con Elisa Graci

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 26-11-2024

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    Gli Stati Uniti alla sfida decisiva. A cura di Elisa Graci e Roberto Festa

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    STEFANO MASTROPAOLO - DRAG - presentato da Ira Rubini

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    Emanuele Valenti con Riccardo Alcaro, responsabile del programma “Attori globali” dello Istituto Affari Internazionali, analizzano le possibilità della tregua in Libano, tra pressioni statunitensi, opposizione degli ultraortodossi israeliani, debolezza del governo libanese. Il risiko bancario si complica con l'offerta di acquisto di Unicredit a Banco BPM: gli scenari, i protagonisti e il ruolo del governo raccontati da Andrea Di Stefano. Il caso Beko e lo stabilimento di Cassinetta a Varese, tra salari che non bastano, cassaintegrazione per qualche settimana al mese e le promesse di licenziamento del nuovo padrone turco, con Luciano Frontera Delegato Rsu Fiom dello stabilimento.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 26-11-2024

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