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L'Ambrosiano

Salvate il soldato Pd

Sono tra i tanti che non han risparmiato critiche e ironie a omissioni, scelte, propositi e attese tradite del Pd. Non rinuncio a indispettirmi per autoreferenzialità e liturgie ma non posso non constatare: il Pd è il solo partito sulla scena in linea col disegno costituzionale. In una riga e mezza la Carta definisce la democrazia e fissa il confine oltre cui c’è il piano inclinato della deriva autoritaria. Art. 49: «Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Guardo al Parlamento e vedo agitarsi gruppi, leader che ne sono proprietari coi nomi nei loghi, schieramenti personalizzati, legati a fortune di singoli, gradimenti, sondaggi; non vedo organismi, Statuti, strutture sul territorio, luoghi di dibattito, elaborazione d’idee, strategie, culture, formazione di classi dirigenti, appuntamenti congressuali, modi in cui valutare presente e visioni generali, confronti su linee politiche, popoli a cui parlare, provvedimenti da proporre a chi si ispira a orientamenti diversi e coi quali o allearsi o competere (il «metodo democratico»), persone da eleggere perché con onestà e coraggio propugnino scelte condivise. Oggi in gioco è il modello costituzionale. Sul Pd, pur con carenze e difetti, grava un ruolo che va oltre le fortune sue. V’è da bloccare il deterioramento degli assetti istituzionali, l’alterazione dei contrappesi tra organi e poteri dello Stato, il perseguimento di condizioni afninché diritti e doveri siano garantiti. Quasi 30 anni fa Giuseppe Dossetti lasciò per un attimo il ritiro del monaco preoccupato del berlusconismo rampante. Nacquero Comitati per la difesa della Costituzione. Anche grazie a una rivolta civile e culturale appetiti furon placati: a destra e a sinistra. Al risveglio del pericolo va pensato qualcosa che lo contrasti in termini di cultura, mentalità. Presidenzialismo e autonomia differenziata, offerti come efficientamento democratico, la svuotano. I partiti sarebbero le prime vittime d’una deriva autoritaria. Come non vederlo? Anche sul no intransigente alla destra si giocano il futuro il Pd, le tradizioni cattolica e quella riformista, il Paese. E l’Europa, a voler guardare lontano.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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L'Ambrosiano

Collusioni

Piano col giubilo! Plauso e soddisfazione hanno valore se l’arresto di Palermo produce cambiamenti in noi. Un boss in carcere non ridà vita alle vittime di atrocità mafiose, né dignità a chi inala lo smog d’un potere distorto e pervasivo, né prestigio alle istituzioni se apparati e politica le occupano per lucro e rendite di posizione, non per servirle. Giustizia è coscienza civile rigenerata, ricreare condizioni perché l’umano pianti tende dove prepotenze, violenza fisica e psicologica, conformismi, avidità han fatto il deserto. Propongo un grande rito collettivo laico: lavacro e purificazione in pubblico; riandare alla fonte primigenia di convivenza: l’etica, la morale pubblica. I Consigli Comunali diano l’esempio. Cominci Milano. Qui si candida in Regione Moratti: fu Sindaca d’una maggioranza di centro destra, tipo l’attuale a Roma, che fece revocare la Commissione d’Inchiesta sugli interessi mafiosi. Pure il Prefetto sosteneva: niente mafia al Nord. Storia? Inconscio culturale? Energia psichica attivabile? Un dibattito in Comune farebbe emergere l’Ombra in noi. Tecnicamente non si chiamerà mafia ma è parente, terreno di coltura. Il boss preso fa scattare la rassicurante proiezione: succede in Sicilia. Ma anche qui abita la mentalità del chi te lo fa fare; una Sanità in cui posti e primariati van sempre a quelli; i cartelli nelle gare e il far spallucce dell’Anticorruzione nel Codice degli appalti; Bergamo e Brescia oggi capitali della Cultura, ieri di cimiteri e Covid, mai di verità. Sconvolto da Capaci Jovanotti scrisse “Cuore”. Se crede a ciò che dice la politica dia ai giovani che nei tg esultano per il boss catturato aule per cantare: «I ragazzi diffidano di ogni proposta,/ non stanno cercando nessuna risposta,/ ma fatti, giustizia, rigore morale/ da parte di chi calza questo stivale. / L’Italia è anche un’altra. /la gente lo grida: / i ragazzi son pronti per vincere la sfida». Jovanotti spiegò che Capaci gli fece prender coscienza di «vivere in un Paese libero dal potere della malavita organizzata. Organizzata – precisò – in ogni sua forma, dalla più atroce e violenta a quella più strisciante, mascherata, istituzionalizzata e collusa con altri poteri». Chi? Dove? Come? Parliamone.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Il mare della violenza e il nostro cucchiaino

Una mia cara amica, femminista intelligente e impegnata, ieri era a Roma ed ha partecipato al presidio in ricordo di Martina Scialdone, uccisa dal suo ex compagno in un ristorante della capitale. Ha scritto a sera, la mia amica: “Tanta gente… ma mi  sto chiedendo, serve?”.

Ecco, la domanda è questa e in tante ce la poniamo: serve? Cosa serve? Perché non è mai abbastanza? Perché sembra di svuotare il mare con un cucchiaino, e il mare è l’oceano della violenza e delle tante scuri che si abbattono sulla vita delle donne – in Afganistan, in Iran, nella democratica America che ostacola chi vuole abortire, qui da noi, sotto casa, al tavolo accanto del ristorante dove una donna discute con un uomo perché vuole lasciarlo e in cambio riceve una pallottola letale. O in Spagna dove le quattro donne uccise in poco meno di 24 ore, dopo un crudelissimo mese di dicembre, fanno dire al ministro degli Interni che siamo davanti a un ‘terrorismo di tipo machista’. La Spagna, proprio il paese in cui era stata promulgata una delle più avanzate leggi del mondo in materia di violenza di genere nel  lontano 2004, dove si usa un algoritmo per predire la violenza e dove oggi ci si chiede cosa si è sbagliato, cosa serve e si sposta il focus sul controllo del potenziale aggressore a forza di braccialetti elettronici.

E ci si domanda cosa serve, cosa dobbiamo fare ancora perché avvenga, ad un livello visibile, apprezzabile, diffuso, lo scatto che tanti uomini hanno fatto e che molti di più ancora non fanno, continuando a pensare le donne come una proprietà, e ad agire il dolore di un abbandono come una cruenta vendetta.

È morta tra le braccia di suo fratello Martina Scialdone, è morta pochi giorni prima una ragazza di Genova, Giulia Donato si chiamava e aveva solo 23 anni, e subito dopo Martina una donna di 43 anni, Teresa Di Tondo, ammazzata a coltellate. Nel primo e nel terzo caso, come spesso ormai accade, gli assassini si sono tolti la vita che sono stati incapaci di vivere, così tanto da toglierla a una donna: e fa pensare questa impotenza distruttiva. Giulia, Martina, Teresa: sono la contabilità infinita di una strage che non accenna a diminuire. E poi ci sono le vite ferite, quelle che alla cronaca non arrivano, che restano urla da un appartamento vicino, o litigi al tavolo accanto e che ti lasciano lì a chiederti: cosa faccio, intervengo, chiamo la polizia, speriamo che finisca, che tutto si calmi…

E non si calma niente, e ci vuole il grande coraggio di chi ogni giorno continua a svuotare quel mare – nei centri antiviolenza, ma anche nelle relazioni di aiuto tra amiche, sorelle, vicine di casa, uomini di buona volontà  anche, certo – per non sentirsi sfiduciate, sopraffatte e per non dubitare. Serve, serve tutto – lavorare sugli stereotipi, con i giovani, con i figli, mettere soldi e risorse su questo piatto, scriverne, parlarne, non abbassare la guardia, uscire di casa per stare con altre in un presidio sotto la casa di una, l’ennesima,  vittima.  Serve, ma  stasera che fatica.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Ville Valo è tornato, il Love Metal è salvo

Poco più di una ventina d’anni fa c’è stato un periodo in cui il mondo del metal più commerciale venne invaso dalla musica di una band finlandese assai discussa, che seppe spaccare in due il pubblico, dividendolo fra chi li amava alla follia e chi li disprezzava senza rimorso. Sto parlando degli Him di Ville Valo, che in mezzo mondo, Italia compresa, nel 2000 fecero il botto con l’album Razorblade Romance. Quel disco, trascinato dalla ballatona gotica Join Me In Death e da una manciata di pezzi tirati, orecchiabili, in bilico fra glam, pop, goth e metal, diventò un classico garantendo alla band nata nel ‘91 a Helsinki, un posto di rilievo nel panorama musicale del periodo. Gli Him erano innegabilmente bravi, e altrettanto innegabilmente ruffiani. E poi avevano un cantante come Ville – bello come un modello e con quel look da maudit decadente – che gli garantiva una fanbase non composta dai soliti metallari col chiodo che ai concerti si agitano con la birra in mano pogando nelle prime file, ma uno stuolo di ragazzine urlanti che sbavavano su quel frontman dalla voce calda e urticante come un bicchiere di assenzio e la capacità di ammiccare come pochi. Già perché quei testi intrisi di love, death, perdizione e redention sembravano costruiti ad arte per generare appiccicosi wet dreams. Un po’ di Cure, un po’ di Billy Idol, una spruzzata dell’Ozzy Osbourne più pop, e poi un pizzico di glam, un filo di Jim Morrison nell’attitudine imbronciata, un briciolino di pseudo satanismo all’acqua di rose – Him stava per His Infernal Majestic – ed ecco la band che inventò il love metal. Inevitabile che a tanti piacessero e ad altrettanti facessero schifo. Personalmente ero tra i primi: adoravo Ville e i suoi. Sarà stato paraculo quanto volete ma con la sua musica sapeva emozionarmi; quell’atmosfera romantica e decadente mi faceva sognare e per quanto intuissi fosse un po’ artefatta, me la godevo comunque, come si fa con un film dell’orrore o una romantica commedia dalle tinte scure. D’altronde, come dicevano gli ismaeliti, quando niente è vero tutto è permesso. Per questo ci patii parecchio quando nel 2017, dopo un lucroso tour d’addio, il gruppo si sciolse. Ci patii ma lo accettai anche con un certo sollievo, perché era ormai da tempo che Valo, principale compositore di tutti i brani, sembrava stanco e a corto di idee.
Da allora il cantante degli Him ha fatto perdere le sue tracce. Tolta una collaborazione con lo stagionato gruppo folk finlandese degli Agents, è sparito dai radar lasciando i fan orfani della sua musica, perlomeno fino al 13 gennaio di quest’anno, giorno in cui è uscito Neon Noir, il suo primo disco solista, un album dove Valo suona tutti gli strumenti, dalla batteria alla chitarra. Come è il disco? Come una versione più morbida, azzarderei pop, degli Him. Ma attenzione, non sto dicendo sia male, a tanti magari questa versione un filo più annacquata e a tratti ispirata piacerà anche di più. Le inconfondibili trame melodiche di Valo ci sono tutte, state tranquilli. Quello che manca sono gli ammiccamenti facili, il goth a tutti i costi, che pur non sparendo del tutto si attenua, lasciando spazio anche a momenti più luminosi, quasi ottimisti, che so può sembrare irrispettoso visto che stiamo comunque parlando dell’ex frontman degli Him. Quello che convince meno è il risultato finale del disco, con le canzoni che – meno tirate, rabbiose e potenti che in passato – finiscono per suonare tutte molto simili, e alla alla lunga annoiano un po’. O magari semplicemente servono più ascolti per assimilarlo, vi saprò dire. Alla fine chissenefrega, la cosa importante è che Ville sia tornato, di nuovo produttivo e desideroso di spendersi sul palco, pronto ad adombrare la candela nera di amori fuggiaschi eternamente tormentati. Il love metal, anche se forse ora sarebbe più lecito chiamarlo pop metal, è salvo. Il suo re è tornato.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Appunti sulla mondialità

La salute della Cina

Poche volte l’andamento dell’economia mondiale è dipeso dalla salute di un popolo, ma in questo 2023 che inizia dipenderà da quella del popolo cinese. I timori che il brusco allentamento delle misure draconiane di prevenzione finora adottate da Pechino contro il coronavirus possa tradursi in un’ondata incontrollata di contagi sono molto forti. I motivi sono diversi, ma i principali rimangono l’alta percentuale dei cittadini non vaccinati, una decina di milioni solo tra gli over-85, e la scarsa efficacia dimostrata nei test dai vaccini cinesi della Sinovac rispetto a quelli a mRna prodotti dalle multinazionali occidentali. In Cile, dove questi vaccini erano stati usati per la prima volta fuori dalla Cina, si è calcolato che la copertura di vaccini Sinovac di prima generazione non superava il 40% di efficacia. Nel 2022, la scarsa circolazione del virus nel Paese asiatico è stata dovuta non tanto ai vaccini, ma alle politiche di isolamento dei focolai, fondate su rigidissimi lockdown. La domanda degli esperti è se la Cina oggi è pronta per sostenere la ripresa economica globale, visto il ruolo determinante che svolge per la filiera produttiva mondiale. La pandemia, infatti, ha messo in evidenza come della Cina non si possa fare a meno: garantisce percentuali che toccano il 40% dei componenti attivi dell’industria farmaceutica e il 35% del mercato mondiale dei microchip, oltre a una enorme quantità di beni che spaziano dall’elettronica avanzata alle terre rare, che sono estratte o elaborate in Cina quasi per il 70%.

Si è così compreso che la globalizzazione è sì una fase dell’economia mondiale nella quale tutti partecipano a un unico e grande mercato, ma questo mercato è tenuto in piedi da pochi Paesi, e soprattutto dalla Cina. Se la salute dei cinesi quindi vacilla, ne risente l’economia di tutto il mondo e in alcuni settori si rischia addirittura la paralisi. Questa è la conseguenza di un processo iniziato negli anni ’80 del secolo scorso, con il trasferimento di interi comparti industriali dismessi dall’Occidente verso la Cina, capace di acquisire velocemente una capacità produttiva che in precedenza non aveva grazie al suo inesauribile serbatoio di manodopera a basso costo, ma anche a zero politiche ambientali e sfruttamento illimitato di energia prodotta dal carbone. Poi il colosso asiatico è diventato esso stesso un grande mercato, ma senza perdere il ruolo di esportatore che, anzi, si è rafforzato nel tempo anche attraverso enormi investimenti diretti in una miriade di Paesi in tutto il mondo. Il vero colpo di reni della Cina è stata però la sua politica estera, non guidata da mire geopolitiche tradizionali ma volta a consolidare il primato economico raggiunto. Stringendo accordi commerciali, Pechino si è garantita rifornimenti certi di quasi tutte le commodities necessarie per la sua economia. E quindi grano, soia, carne, legname dal Sudamerica e minerali strategici dall’Africa, diventata il suo cortile di casa. Per non parlare del resto dell’Oriente, dove spiccano gli accordi con Vietnam e Laos e il sostegno a regimi come quello al potere in Myanmar.

L’espansione della Cina assomiglia molto, almeno da un punto di vista economico, a quella che fu propria dell’Impero britannico, ma senza l’apporto delle cannoniere e senza le colonie, almeno in apparenza. La Cina è dunque una potenza moderna e allo stesso tempo antica, ormai da tempo siede al tavolo dei grandi del mondo ma continua a usare retoriche terzomondiste con i Paesi più poveri. Questo ruolo, però, ora diventa fragile per via del più grande errore commesso da Pechino negli ultimi decenni: quello di non avere voluto, per motivi di orgoglio nazionale, copiare o acquistare i vaccini occidentali, preferendo continuare a seguire la via, rivelatasi fallimentare, del controllo della diffusione dei contagi. Il punto è che la salute del popolo cinese è un problema di tutti: senza la Cina non si uscirà dalla crisi iniziata nel 2019, a dimostrazione del fatto che, oggi più che mai, i problemi e i conflitti arrivano dall’economia molto più che dai missili. Ma a differenza dei carri armati, sono problemi che fanno poco rumore.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Metroregione - 20-01-2025

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    "From Genesis to Revelation" è una trasmissione radiofonica dedicata al rock-progressive, attiva regolarmente dal 1999. Condotta da Renato Scuffietti e Matthias Scheller, offre un'ora settimanale di musica prog, spaziando dai grandi classici dei seventies al newprog e al prog sinfonico, con interviste, recensioni e monografie sui sottogeneri. Nata come un hobby, è diventata un importante punto di riferimento per gli appassionati del genere.

    From Genesis To Revelation - 20-01-2025

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    "Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).

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    News della notte di lunedì 20/01/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Il Suggeritore, storico programma di teatro di Radio Popolare, si trasforma in "Il Suggeritore Night Live" per il suo diciassettesimo compleanno. Ora in diretta ogni lunedì dalle 21:30 alle 22:30 dall’Auditorium “Demetrio Stratos”, il nuovo format è un night talk-show con ospiti dello spettacolo dal vivo che raccontano e mostrano estratti dei loro lavori. Gli ascoltatori possono partecipare come pubblico in studio a partire dalle 21:00.

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    I reportage e le inchieste di Radio Popolare Il lavoro degli inviati, corrispondenti e redattori di Radio Popolare e Popolare Network sulla società, la politica, gli avvenimenti internazionali, la cultura, la musica.

    Gli speciali - 20-01-2025

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    L'Orizzonte delle Venti di lunedì 20/01/2025

    A fine giornata selezioniamo il fatto nazionale o internazionale che ci è sembrato più interessante e lo sviluppiamo con il contributo dei nostri ospiti e collaboratori. Un approfondimento che chiude la giornata dell'informazione di Radio Popolare e fa da ponte con il giorno successivo.

    L’Orizzonte delle Venti - 20-01-2025

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    Gaza: il ritorno dei palestinesi nelle proprie case tra vittime e distruzione

    Migliaia di palestinesi di Gaza hanno cominciato a tornare nelle loro case. Ma spesso di fronte a loro hanno trovato solo distruzione. Secondo le Nazioni Unite in 15 mesi di guerra sono stati distrutti o danneggiati almeno i due terzi degli edifici della Striscia, soprattutto nelle zone urbane. Spesso chi torna a casa vuole anche cercare i cadaveri dei familiari. Oggi le autorità locali hanno dato una nuova stima delle vittime totali: circa 47 mila, 10mila sarebbero ancora da recuperare.Ieri, primo giorno di tregua, sono entrati a Gaza 630 mezzi con aiuti umanitari. Non è ancora disponibile la cifra di oggi. L’accordo di tregua prevede che per le prime sei settimane entrino nella Striscia almeno 600 mezzi al giorno.Hamas ed esercito israeliano si sono scambiati altre minacce. Entrambi hanno detto di essere pronti a tornare a combattere se fosse necessario.Dicevamo del drammatico livello di distruzione e dell’alto numero di vittime. Francesco Checchi è uno dei ricercatori che ha curato un recente studio pubblicato su The Lancet, secondo il quale lo scorso giugno le vittime erano probabilmente già 64mila, rispetto alle 47mila che stimano oggi le autorità locali di Gaza…

    Clip - 20-01-2025

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    Esteri di lunedì 20/01/2025

    Il giro del mondo in 24 ore. Ideato da Chawki Senouci e in onda dal 6 ottobre 2003. Ogni giorno alle 19 Chawki Senouci e Martina Stefanoni selezionano e raccontano fatti interessanti attraverso rubriche, reportage, interviste e approfondimenti. Il programma combina notizie e stacchi musicali, offrendo una panoramica variegata e coinvolgente degli eventi globali.

    Esteri - 20-01-2025

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    Speciale: L'insediamento di Donald Trump

    Lo speciale sull'insediamento di Donald Trump in diretta.

    Gli speciali - 20-01-2025

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    Vieni con me di lunedì 20/01/2025

    Vieni con me! è un’ora in cui prendere appunti tra condivisione di curiosità, interviste, e il gran ritorno di PASSATEL, ma in forma rinnovata!! Sarà infatti partendo dalla storia che ci raccontano gli oggetti più curiosi che arriveremo a scoprire eventi, iniziative od occasioni a tema. Eh sì, perché poi..ci si incontra pure, altrimenti che gusto c’è? Okay ma dove, quando e poi …con chi!?! Semplice, tu Vieni con me! Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, dalle 16.30, in onda su Radio Popolare. Per postare annunci clicca qui Passatel - Radio Popolare (link - https://www.facebook.com/groups/passatel) Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa, un oggetto particolare o proporti come espert* (design, modernariato o una nicchia specifica di cui sai proprio tutto!!) scrivi a vieniconme@radiopopolare.it Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni

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    L'intervista a Jesper Lindell e Scarlet Rivera

    Oggi a Jack è andata in onda l'intervista di Matteo Villaci e Claudio Agostoni a Jesper Lindell, cantautore svedese, e alla violinista americana Scarlet Rivera. Jesper ha tradotto “Un Malato di Cuore” di Fabrizio De Andrè, dal capolavoro “Non al Denaro Ne all’Amore Ne al Cielo”. La canzone è uscita il 10 gennaio col nuovo titolo “Once in A Dream” all’interno dell’EP “Windows Vol.2” che contiene anche una ispirata cover di “Sweetheart Like You” di Bob Dylan. Jesper ha presentato “Windows Vol. 2” in anteprima in Italia accompagnato da Scarlet Rivera, la violinista che fece perdere la testa a Bob Dylan. Anche Scarlet Rivera ha omaggiato Fabrizio De Andrè cantando la sua versione di “Hotel Supramonte”, incisa in inglese con la partecipazione di Dori Ghezzi ai cori.

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    A Playground ci sono le città in cui abitiamo e quelle che vorremmo conoscere ed esplorare. A Playground c'è la musica più bella che sentirai oggi. A Playground ci sono notizie e racconti da tutto il mondo: lo sport e le serie tv, i personaggi e le persone, le ultime tecnologie e le memorie del passato. A Playground, soprattutto, c'è Elisa Graci: per 90 minuti al giorno parlerà con voi e accompagnerà il vostro pomeriggio. Su Radio Popolare, da lunedì a venerdì dalle 15.00 alle 16.30.

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