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L'Ambrosiano

Affaropoli e premierato

Non è Tangentopoli. Chi rievoca il 1992 non sa (allora studi), o parla a vanvera (disdicevole: è cosa pubblica) o mente. A Genova è andato in scena un Gran Ballo d’interessi: Affaropoli volendo definizioni. Contrastiamo il malcostume con riscatto civile e battiamo il Premierato che rende i cittadini, sudditi, lasciam perdere nuove leggi: l’anticorruzione è solo da applicare. A destra l’etica pubblica è un optional: 30 anni fa brandiva in Parlamento il cappio, oggi dice che un’inchiesta non esige dimissioni. La differenza sostanziale tra Mani Pulite e Genova è la democrazia: allora c’erano i partiti; oggi no. I partiti hanno avuto fior di responsabilità nella crisi ma rappresentavano società e istituzioni con difetti però funzionanti; il Paese era libero di parlare, discutere, dissentire: di cadere e di rialzarsi. Nei partiti si discuteva, s’elaboravano idee, progetti, strategie dialoghi e alleanze, si selezionava una classe dirigente. Allora non si compresero i limiti anche economici di lotte interne per la leadership (i costi della politica), scoppiò Tangentopoli, il conto lo pagarono tutti: buttammo il bambino con l’acqua sporca. Un’intera classe dirigente decapitata. Un suicidio collettivo. Un lutto mai elaborato. Non ci fu misura nel repulisti interni, nell’opinione pubblica, nei Tribunali. I rimedi precari: nacque lì la personalizzazione di politica, Governo, Regioni, Comuni; lì maturò il populismo che ora punta a completare l’opera di affossare Repubblica e Costituzione col Premierato che farebbe regredire ad un sistema arcaico, tipo tribù: conta il capo. Si reagisce a Genova con la democrazia, combattendo un progetto che punta su un popolo immaginario (vota la metà), lo mantiene smarrito nelle crisi con una politica che non garantisce più la sanità pubblica e dà sempre la colpa ad altri, un popolo di sonnambuli (Censis). È strategia della destra parlar d’altro: fingere di litigare sui superbonus così si lascia cadere l’allarme di Liliana Segre; mettere in scena il duello Giorgia-Elly da Vespa, da far credere che la Rai sia democratica e che la politica è talk show; promettere il Ponte sullo stretto, intanto i titoli di presunti costruttori volano. L’illiberalità è bestia strisciante.  

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Il dibattito sì: elogio della discussione argomentata

Una (bella) aula dell’Università di Pavia, due team che discutono una mozione – pro e contro – un pubblico attento che fa domande, interviene e vota, all’inizio e poi alla fine della discussione,  per decidere l’argomentazione più convincente. Insomma, in tempi di opinioni urlate, polarizzate, poco informate, una boccata di ossigeno.

Ed è così – con la sensazione di una boccata di ossigeno e avendo capito più cose di quante ne sapessi all’inizio e assicuro che avevo studiato – che sono tornata a casa dopo aver partecipato come speaker ad uno dei dibattiti del ciclo ‘Fluidi’  organizzato dalla Società dei dibattiti pavese, un’associazione nata da studenti e docenti che dal 2019 promuove il pensiero critico, ispirandosi alla Debating Society della Oxford Union e alla versione didattica sperimentata da Ian Carter, docente di Filosofia Politica a Pavia. La mozione del nostro dibattito  – “Il consenso è sufficiente perché una relazione sessuale sia etica” – mette i piedi nel piatto di una questione di grande attualità – dal Metoo alla legge spagnola ‘Solo sì es sì” al recente pronunciamento del parlamento europeo – e di altrettanta complessità. E  direi che il dibattito ha rispecchiato la problematicità della mozione con il concorso di un pubblico che ha anche posto questioni ulteriori rispetto a quelle proposte dai team e alla fine ha concluso che il consenso è certo una misura necessaria per un sesso etico ma non sufficiente, perché – lo dico in breve – vanno tenute in considerazione le molte variabili – strutturali e individuali, dalle aspettative di genere agli stereotipi  – che in quel consenso hanno un ruolo.

Riprendendomi dalla  piacevole fatica del dibattito – né prepararlo né parteciparvi è semplice e, per esempio, il mio team ha miseramente fallito sul rispetto dei tempi che è rigidissimo-  mi sono imbattuta in questo articolo di Alessio Marchionna su Internazionale: nel momento in cui nelle università americane divampano le proteste contro la guerra a Gaza, con arresti, polizia nei campus eccetera, nel momento in cui, come ha scritto Zadie Smith sul New Yorker, il linguaggio e la retorica sono – come lo sono sempre stati quando si parla di Israele e Palestina – armi di distruzione di massa, da qualche parte si riesce ancora a discutere. E proprio come, nel senso del metodo, abbiamo fatto a Pavia. Steven David, docente di relazioni internazionali, tiene alla Johns Hopkins university di Baltimora un corso, che si intitola “Israele ha un futuro?”: facile capire  quanto sia utile adesso e quanto la discussione strutturata e informata che lì avviene sotto la sua guida chieda a ciascuno di sostenere l’argomentazione in maniera dialettica e informata, rispondendo alle obiezioni degli altri. “Dico sempre che non è una questione di giusto e sbagliato, ma di argomenti buoni e argomenti cattivi. E mi aspetto che sostengano le loro affermazioni con letture e discussioni per rafforzare i loro punti di vista”, dice David. Chi ha partecipato al corso che è arrivato all’oggi e alla domanda sulla reazione di Israele al  massacro del 7 ottobre ha raccontato di essere uscito con posizioni, oltre che più informate, anche più sfumate e problematiche sull’intera questione convinto che non esistono superiorità morali da sbandierare e con una maggiore insofferenza verso gli integralismi di entrambe le parti. Da qualche parte insomma e ciò consola in tempi così difficili  si depongono le armi di guerra, anche retoriche, si abbandonano gli slogan e le parole d’ordine troppo facili e ci si siede a ragionare: piccoli semi che speriamo germoglino o almeno resistano.

 

 

 

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La scuola non serve a nulla

…e come usare l’Intelligenza Artificiale a scuola? – 2

Qualche spunto...

Come fatto altre volte su questo blog, ho diviso in più articoli (stavolta, in due) un pezzo che mi è venuto troppo lungo per presentarlo come uscita unica. Indi per cui…

La volta scorsa vi raccontavo un po’ ciò che penso dell’uso dell’AI a scuola e di quanto sarebbe utile un approccio consapevole a questo dispositivo. E per far ciò, di quanto sia importante capire ciò che è più opportuno chiedere all’AI, e ciò che è meglio non farle fare, perché ancora non è cosa sua (e quindi: quelle robe lì toccherà farle, ancora per molto, a noi umani). Qui il precedente articolo, nel caso: in sostanza, agli alunni in classe, avevo anticipato l’idea di mettere “in competizione poetica” l’Intelligenza Artificiale con dei geni riconosciuti della nostra letteratura, di modo che i ragazzi potessero così verificare lo scarto, il “Delta di creatività” tra questi letterati e quello di ChatGpt, ma non solo.

Iniziamo. Con schermata di ChatGpt proiettata ai ragazzi, ho chiesto al Computer di scrivere una poesia, fornendo nel prompt informazioni minuziosissime su un certo testo poetico già esistente e ben noto (parafrasi dettagliata, trama, stile, lessico, atmosfera…). Come primo esempio da condividere, ho usato “A Zacinto” di Foscolo, con questa richiesta:

-Io: -“ChatGPT, potresti scrivere un sonetto di endecasillabi (di due quartine più due terzine), nello stile del poeta Ugo Foscolo? Il sonetto deve avere un linguaggio epico, in stile neoclassico; deve citare elementi mitologici ed essere costruito con numerosi enjembements, in un unico periodo sintattico nelle prime due quartine e prima terzina. Deve parlare di Zacinto (la terra natale del poeta), deve raccontare come egli ci passò la fanciullezza; deve descrivere l’isola, situata nel mar greco, dalle cui acque nacque Venere, che rese fertili quelle isole con il suo sorriso. Deve parlare anche di Omero, che cantò queste isole e questo mare, e dell’esilio di Ulisse, bello, famoso e sventurato. Il sonetto deve chiudersi con una profezia: il poeta sa che, diversamente da Ulisse, lui non tornerà mai più in patria, per cui Zacinto potrà avere solo questo canto, del poeta, e non il corpo, perché morirà in esilio”

– ChatGPT: – Certo, ecco qui:

“Tra l’onde dolci del mar di Grecia,

ove Zacinto posa e si distende,

la mia fanciullezza passò lieve,

tra colli ombrosi e l’antica brezza.

Venere sorrise alle acque feconde,

dalle quali nacque Zacinto, amata,

e la Musa danza su questa terra,

sotto il cielo azzurro che il mare chiude.

Omero, il sommo cantor, narrò

di Ulisse, errante tra scogli e stelle,

il saggio eroe, famoso e sventurato.

Ulisse, esule in terre remote,

la profezia mi sussurra il destino:

Zacinto, avrai solo il canto mio.” 

– Io: “Grazie, però mancano le rime: la fine di ogni verso deve rimare secondo lo schema: ABBA, ABBA, CDE, CED. Potresti riscrivermelo rispettando questo schema?

ChatGPT: – Certo, ecco qui:

“Tra l’onde dolci del mar di Grecia (A)

ove Zacinto posa e si distende (B)

la fanciullezza mia passò lieta (B)

tra colli ombrosi e l’antica brezza. (A)

Venere sorrise alle acque feconde, (A)

da cui Zacinto, amata, sorse al cielo. (B)

La Musa danza su questa terra, (B)

sotto il cielo azzurro che il mare chiude. (A)

Omero, il cantor sublime, narrò (C)

di Ulisse, errante tra scogli e stelle, (D)

il saggio eroe, famoso e sventurato. (E)

Ulisse, esule in terre remote, (C)

la profezia mi sussurra il destino: (D)

Zacinto, avrai solo il canto mio. (E)

Al di là del risultato, ai ragazzi ho fatto notare che…  “Capito, ragazzi? ChatGpt fa un po’ come avrebbe fatto qualcuno di voi (non potevo dire “come un qualunque alunno paraculo”): ricopia la stessa poesia limitandosi a aggiungere a fine verso soltanto le lettere dello schema metrico di rime”.

Comunque, a questo punto, dopo il mio esempio su Foscolo, toccava agli alunni: ho quindi proposto loro di fare lo stesso per altre liriche studiate (scegliendo, ovvio, tra quelle brevi: chi “L’Infinito”, chi “Tanto gentile e tanto onesta pare”, chi “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia”, ecc.); divisi in coppie, hanno chiesto a ChatGpt proprio di scrivere una poesia “sul modello di…”. Il punto è che pure loro, nel prompt, dovevano fornire informazioni quanto più precise possibili su quella determinata poesia (di nuovo: metrica, parafrasi, stile, ecc.), affinché la macchina potesse lavorare adeguatamente. Insomma, la valenza didattica dell’esercizio credo stia qui: per formulare il prompt, i ragazzi devono conoscere a menadito (o andarsi a ripassare) le caratteristiche del testo e del poeta in questione.

Una volta poi che la macchina tira fuori le varie proposte, che ce ne facciamo? Le possibilità sono tante: discutere sui (deludenti) risultati dell’AI se paragonati a quelli di (alcuni) umani; provare a definire in cosa la macchina “ci ha preso” e in cosa no; ma soprattutto, fare esperienza di come, se si ripropone più volte la richiesta a ChatGpt, con un prompt via via sempre più preciso (e quindi, con l’alunno che mi diventa sempre più esperto di quell’autore lì), l’effetto mimetico è sempre più apprezzabile.

Dopo questo esperimento in classe, vediamolo ora alle prese con una prova di “parodia” (questa volta, tutta mia, a casa, non in classe):

Io:

“ChatGpt, ora invece potresti scrivere una poesia che sia una parodia delle liriche di Giovanni Pascoli e della sua poetica? Dovrebbe imitarne il linguaggio, ma anche prenderlo in giro, sbeffeggiarlo, ingigantendone le caratteristiche peculiari, e cioè: onomatopee, lessico che ha a che fare con campagna, piante, fiori, animali e agricoltura. Ma anche i toni soffusi, sfumati, tipici della poesia di Pascoli. Tutto deve essere immerso in un’ambientazione di mistero. Il risultato dovrebbe essere comico o umoristico”.

ChatGPT:

Certo, ecco qui:

“Tra l’erba che sussurra e il chicchirìo,

Pascoli, coi fiori, faceva lo stravagante filo.

Mugghiavan mucche, un banale respiro,

mentre lui, in versi contorti, cercava l’arcano tiro.

Oh, l’odore di letame e galli che si destan,

Pascoli, l’agricoltore dei desideri, s’illudevan.

Con parole di campagna, costruiva un teatro,

tra steli di grano e un cielo d’inquieto rancore.

Nelle sue rime, un chiasso di zampilli e frullii,

Pascoli, il poeta dell’eccesso, ci cascava nei grilli.

Ogni sillaba un sospiro, un seme impazzito,

nella sua testa, un campo di parole sbiadito.

Pascoli, Pascoli, incantator di stelle,

tra uccelli e piante, col suo sguardo in quelle.

Ma nella sua sinfonia sfocata di consonanti,

io rido, tra il mistero e il riso dei suoi amanti.

Nel suo gioco di luci e tentazioni,

Pascoli, il coltivatore di suggestioni,

Ma io, nella farsa che si dipinge,

colgo l’eco dei suoi desideri, tra umor e capriccio”

 

Qualcosa è carina, ok, e la salviamo. Ma anche qui volevo proporvi un confronto con l’umano: nelle foto, la parodia della poesia di Giovanni Pascoli realizzata da quel genio di Luciano Folgore

Per tirar qualche conclusione: credo che tutto questo spieghi bene (non solo ai miei alunni), quanto sostiene Bill Gates, e cioè che la differenza principale tra noi e l’Intelligenza Artificiale è che “L’AI fa pochissimo avendo a disposizione tutte le informazioni; noi invece riusciamo a volte a fare moltissimo avendone a disposizione un numero limitato”. E il punto è proprio lì: capire i benefici che possono arrivare a tutti aumentando il numero di informazioni sempre disponibili…

E voi? Che tipo di esperimenti fate con l’AI nelle vostre classi?

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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L'Ambrosiano

Abitudini pericolose

Ci stiamo abituando alla guerra. Putin fa manovre con l’atomica; ci consoliamo: solo armi nucleari tattiche! E Hiroshima? Nel 25 sono 80 anni. E noi? S’aspetta gli Usa. Conte è amletico: Biden o Trump? Sulla scheda: pace.

Ci stiamo abituando ai morti sul lavoro: basterebbero pochi milioni per gli ispettori; ma il Governo straspende per difenderci dai migranti, quasi loro fossero il problema, non sicurezza, subappalti, caporalato, paghe minime.

Ci stiamo abituando a riforme tipo premierato e autonomia, tombe per democrazia e giustizia sociale. Annunci, diche chi sa. Ma Meloni è già “sola al comando” e i Tg rassicurano: all’estero ci rispettano (che eco strana). E se la Rai ha il sindacato giallo ci s’informa con lo smartphone. Siam sempre più sudditi (digitale e Stato autoritario) che cittadini. E non si va a votare.

Ci stiamo abituando a non curaci o ad andare dai privati sborsando per ciò che ci spetterebbe. Per chi governa è uguale chi paga le tasse (e finanzia il SSN) e chi evade (ruba a tutti). Le tasse son “pizzo di Stato” (Giorgia).

Ci stiamo abituando a ministri che non si dimettono nonostante i magistrati li vogliano portare in giudizio per truffa ai danni dello Stato. «Scelta personale dimettersi»: è l’etica pubblica della maggioranza. Mo’ arrivano anche i Governatori. Tangentopoli? La storia è fumo negli occhi a destra; il motto: guardare avanti! A furia di rimozioni finiranno per abituarci all’idea del duce statista (Vannacci, quello dei disabili) e della Liberazione merito dei repubblichini: eran dalla parte sbagliata e perdendo consentirono la Costituzione antifascista, da cui la libertà a tutti, anche a loro. La revanche.

Ci stiamo abituando alle elezioni con riedizione del mito antico: la Premier usa l’urna per un referendum su di sé: fanciulla-Giorgia-Europa rapita da Zeus sotto sembianze di toro bianco e sarà regina (nel mito per ora). 

Ci stiamo abituando a pericolose abitudini e ad altre di cui non ci si rende conto. Converrebbe porci domande, fare nessi tra piani in apparenza diversi, immaginare alternative. Per reagire all’intossicazione delle abitudini, riscattarsi c’è un mese. Se non ora, quando dicevano le donne poco tempo fa.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Lavoro, Europa, inerzia

La sincronicità 1° maggio e presentazione liste per le europee induce a riepilogare le ragioni d’un voto e rianimare l’inerzia di Cacciari nei consensi verso il Pd. Il faro è un’Europa fondata sul lavoro, come dice la nostra Costituzione antifascista ripresa nella Dichiarazione universale dei Diritti, (“non sullo sfruttamento!”, Landini). Lavoro è umanità, responsabilità, dignità, solidarietà, fratellanza; esige negoziazione e concertazione, privato e pubblico tesi al bene comune; è esercizio di democrazia in luoghi dove donne e uomini prestano la propria opera, in rappresentanze sindacali, associazioni professionali di categoria Ordini, Enti locali, parlamenti nazionali, istituzioni comunitarie, consessi internazionali. Il lavoro è per la persona se ci sono: moralità (con retribuzioni orarie di 0,98 centesimi dovrebbe arrossire chi governa che non vigila e i partiti che chiedono salario minimo ma poi non riescono a trovare forme per farlo passare); sicurezza (basta insufficienze nei controlli: un morto ogni 6 ore!); salubrità dei luoghi (caso Di Mare punta d’iceberg di migliaia di casi non riconosciuti); sanità pubblica (non si curano più lavoratori, pensionati, inattivi, immigrati; lo smantellamento in Italia è dissennato: timida e frustrante la sinistra che si lamenta ma non ha soluzioni praticabili); welfare (tutela delle donne in dignità e retribuzione oltreché per il doppio ruolo lavoratrici-mamme); riforme dell’organizzazione (vedi iniziative spagnole). L’altra faccia del lavoro è che ci sia, le persone vengano formate, si svolga nella pace conquistata dalla Liberazione dai nazifascisti. Son motivi che rendono indispensabili Europa e parlamentari che guardino oltre pretese nazionalistiche di potere (premierato) per: politiche economiche tra i colossi Usa e Cina (leggi Prodi e Draghi); fiscalità equa (intollerabile concorrenza tra Stati in sgravi a imprese se migrano da un Paese all’altro; condannabili meloniani no a tasse su extraprofitti e sì a condoni); scuola pubblica inclusiva, dall’infanzia all’università; immigrati lavoratori trattati “come noi”. Può far sorridere oggi leggere che «Il poeta è un operaio» (Majakovskij 1917). Ma se non si vota anche per i sogni vincono i sovranisti.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Nel rugby il terzo tempo è il dopo partita, quando gli animi si rilassano, si beve e si mangia insieme: questo è lo spirito con cui nasce questa trasmissione, che potrebbe essere definita una sorta di “spin off” di Esteri – in onda tutte le sere dal lunedì al venerdì dalle 19 alle 19:30 – oppure, prendendo in prestito la metafora sportiva, un “terzo tempo” di Esteri. Sarà una mezz’ora più rilassata rispetto all’appuntamento quotidiano, ricca di storie e racconti, ma anche di musica. A cura di Martina Stefanoni

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    In studio con Arakikka e Chiara Calza per parlare di attivisimo, disegni, di come raggiungere le persone più giovani e come combattere la violenza di genere, e molto altro; poi torna ai nostri microfoni Anais Poirot-Gorse che ci presenta un podcast realizzato con una giovane redazione in Giambellino su cosa è il maschilismo.

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