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Mia cara Olympe

Meloni, Lollobrigida: intanto le donne…

Confesso: aggiungere il proprio granello di indignazione e protesta a commento delle parole del ministro Lollobrigida sulla ‘sostituzione etnica’, deplorare l’uscita della premier Meloni che dice ‘prima (degli immigrati, dei neri, degli e delle ‘altre’, ndr) facciamo lavorare le donne’ che daranno alla luce, nella sua visione, italianissime e italianissimi neonati, suona quasi inutile. Ogni giorno infatti il nuovo governo per bocca di uno dei suoi esponenti, dà ampia materia di reazione e preoccupazione mostrandosi addirittura peggiore di ciò che avevamo cupamente immaginato prima delle elezioni. Lo fa su ogni capitolo e con un sottotesto culturale chiarissimo: l’immigrazione oggi tornata ad essere nel loro dire ‘invasione’, la creazione costante di nuovi reati mentre si picconano i diritti, l’interpretazione securitaria di ogni fenomeno sociale cui la risposta è solo il carcere – non ce ne fosse già abbastanza – per non parlare dell’economia e del lavoro, del ritardo sul Pnrr, degli annunci bandierina come il ponte sullo stretto eccetera eccetera.

Funziona, dal punto di vista della propaganda, questo linguaggio? Contamina di sé, delle proprie istanze razziste ed escludenti, ‘brutali’ come dice giustamente Romano Prodi, un paese stanco, sfiduciato, ripiegato su una quotidianità complicata che, in una certa ma non piccola parte, ha messo in soffitta come inutile arnese l’architrave antifascista su cui si è edificato? Altera, nella coscienza collettiva, la gerarchia dei reali problemi, funzionando come un’arma di distrazione di massa? Più che una risposta a questa domanda ho molti timori e per questo aggiungo il mio sassolino sulla manifesta strumentalità di un ragionamento come quello di Meloni che contrappone le donne ai migranti, in una chiave natalista e identitaria che non solo va culturalmente respinta, ma che non tiene conto della realtà di questo paese e quella più larga del mondo. Basta entrare nelle classi e nelle case, basta vedere la vita quotidiana delle donne, chiedersi perché molte non lavorano e perché non fanno figli o ne fanno uno solo, tardi e a fatica. Perché ci sono i migranti o perché il lavoro è mediamente povero e precario? Perché siamo ‘invasi’ o perché quel lavoro, quegli stipendi, quella mancanza di prospettive non consentono di reggere il peso – economico e psicologico – di un lavoro di cura che continua ad essere talmente un problema privato che trovare un posto all’asilo nido è meglio che vincere alla lotteria? “Sono uscite le graduatorie dei nidi e io sono al settimo cielo” ha scritto su Facebook Angelica Vasile, consigliera comunale del Pd a Milano, tra le ‘fortunate’ a trovare un posto per suo figlio, mentre 3800 famiglie non possono dire altrettanto. E ciò vale dove almeno i nidi ci sono, anche se non bastano: inutile o utile ripetere che ci sono due Italie e non è un caso se soprattutto al sud è in atto un silenzioso sciopero delle donne che porta ad una divaricazione forte tra il desiderio di figli e quelli che effettivamente nascono, per la prima volta sotto i 400 mila l’anno? Mentre facciamo guerra ad un’immigrazione che non solo non si può fermare ma di cui abbiamo molto bisogno e che andrebbe gestita nella direzione di un benvenuto allargamento della cittadinanza, mentre usiamo il basso tasso di occupazione femminile come arma di esclusione e contrapposizione e comunque declinato al fine praticamente esclusivo della natalità e non come tema centrale di autonomia e crescita individuale e collettiva, la vita delle donne – italiane e straniere – è un costante arrabattarsi nel tenere insieme i pezzi di una società che invecchia, che chiede sempre più cura e non trova serie risposte pubbliche né per gli anziani, né per i piccoli. Ognuna con la sua sfida quotidiana, ognuna spesso sola o comunque con un maggior carico sulle spalle per condizioni materiali e culturali, ognuna a cercare di farcela: altro che ‘invasione’, altro che ‘sostituzione etnica’, altro che ‘riserva inutilizzata’…

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Santità e polemiche: cosa è veramente successo al Dalai Lama?

Partiamo dal fatto: Sua Santità il Dalai Lama ha baciato sulla bocca un bambino che aveva chiesto di abbracciarlo, poi gli ha mostrato la lingua e infine gli ha detto “sucks my tongue”, che in lingua inglese vuol dire “succhiami la lingua”.
Il contesto: il Dalai Lama stava partecipando a un evento pubblico davanti a circa 200 persone, con macchine fotografiche e telefonini che scattavano e riprendevano tutto quanto.
Le conseguenze: il video, datato 28 febbraio, qualche giorno fa diventa virale. Il mondo occidentale si scandalizza, il Dalai Lama viene additato come vecchio pedofilo e sulla sua pagina ufficiale si scusa per aver scherzato in una maniera che poteva essere male interpretata.
Personalmente ci sono rimasto male. E come me i milioni di persone nel mondo che negli anni hanno trovato nelle parole e nel sorriso di Sua Santità un esempio da seguire.
Nella gompa tibetana che ho costruito nel bosco davanti a casa ci sono solo una coperta, delle candele e due quadretti: uno é un ritratto di Gandhi. L’altro del Dalai Lama.
Capirete quanto sia difficile per me analizzare con obiettività l’accaduto. Eppure ci ho provato. Ho visto il video. L’ho rivisto. Ho letto sia i commenti degli scandalizzati che puntano il dito, sia di quelli che vogliono difendere SS a tutti i costi.
E ho sentito le testimonianze di coloro che il Dalai Lama lo conoscono e, negli anni, lo hanno vissuto da vicino.
Personalmente sono portato a pensare che il Dalai Lama con gli anni, ne ha ben 87, abbia perso un po’ di, chiamiamola “brillantezza” per non usare altri termini, e questo lo abbia portato a scherzare in maniera inappropriata con quel bambino.
Premesso questo, non penso vi fosse alcuna morbosità nei suoi gesti. Ha giocato e scherzato senza nessuna malizia. Come farebbe un bambino con un altro bambino, in totale innocenza. Una cosa che Sua Santità ha sempre fatto, anche in contesti importanti. Penso al tirare la barba ai mullah, dare baci all’arcivescivo anglicano Desmon Tutu, oppure togliere scherzosamente il copricapo a vari capi religiosi incontrati nella sua ultraottuogenaria carriera, per metterseli lui in testa.
Il tirare fuori la lingua é invece un’ antica tradizione tibetana di saluto. E non dimentichiamo, anzi ribadiamolo con forza, che il tutto si é svolto davanti a 200 persone.
La frase “sucks my tongue” si fa invece più fatica a spiegarla. Lama Trinle Gyatso, sulla sua seguitissimi pagina Facebook non ci trova nulla di strano e spiega l’espressione molto candidamente. Nella cultura tibetana é usanza che i nonni diano il cibo ai nipoti, in particolare i dolci, direttamente da bocca a bocca. Quando poi i bambini vogliono ancora dolci ma i nonni non ne hanno più, si lasciano andare all’espressione “CheLa Sa”, che vuol dire “mangiarmi la lingua”, come a significare “ti ho dato tutto quello che avevo, l’unica cosa che posso ancora offrirti é la mia lingua, mangiatela pure.”
In questa ottica, secondo Trinle Gyatso, vanno inquadrate le parole del Dalai Lama, che ha usato quella tipica espressione col bambino indiano come a dirgli: “ti ho ricevuto, abbracciato, dato baci e consigli, non ho più niente a parte farti succhiare la mia lingua”.
Il termine “succhiare” invece di “mangiare” sarebbe una differenza minima, dovuta alla traduzione dalla lingua tibetana a quella inglese, ma ne manterebbe intatto il significato.
Monia Sangermano, su Stretto web, opta invece per un’altra teoria e senza peli sulla lingua afferma: “Se sei il Dalai Lama non puoi permetterti di avere la demenza senile”. E aggiunge: “avete mai visto un pedofilo agire pubblicamente, come se niente fosse? Avete mai visto un deviato sessuale mostrare spudoratamente davanti a milioni di persone la propria squallida devianza? Sono quasi certa che nessuno possa rispondere di sì a queste due domande. Allo stesso tempo, però, avete mai visto un anziano mostrare in pubblico, e in privato, segni di demenza senile? Avete mai sentito un anziano dire cose senza senso e pensare: “è proprio vero che la demenza fa tornare tristemente bambini“. Sicuramente a queste due domande molti risponderanno di sì”.
Dejanira Bada, giornalista, insegnante di mindfulness a autrice del fortunato libro” Il Pensiero Tibetano” mi spiega che “quello che ha fatto Il Dalai Lama è assolutamente sbagliato, ma il punto è che non credo si tratti di pedofilia. Il Dalai Lama bacia in bocca chiunque incontri, abbraccia le persone, avvicina la fronte a quella del suo ospite, spessissimo tira fuori la lingua perché in Tibet è un gesto di saluto che viene fatto per far capire a tutti che non si è un demone, perché i demoni hanno la lingua nera… quindi a volte può capitare che le lingue si sfiorino. Anche a detta di chi lo ha incontrato, il Dalai Lama è sempre stato come un bambino giocoso, anche oggi che ha novant’anni (infatti c’è chi ha parlato anche di demenza senile). Ciò non toglie che un conto è fare certe cose molto affettuose ma non maliziose con un adulto e un conto con un bambino che ancora non capisce quello che sta accadendo, e che sì, potrebbe pure restare traumatizzato.”
Va poi sottileato come la nostra cultura sia profondamente diversa rispetto a quella tibetana.” Più viaggio più studio e più mi occupo di queste cose e più mi rendo conto di quanto siamo diversi dagli orientali” aggiunge Dejanira, “la pensiamo in modo differente praticamente su tutto, sulla religione, sulla concezione della vita stessa. Anche i diritti e le regole che valgono per noi laggiù non valgono, e non siamo noi i detentori della verità, non lo è nessuno. Se si sapessero i vari riti che esistono in India o in Tibet riguardo al rapporto con la morte, i defunti, il sesso ecc., verrebbero tutti rinchiusi nei nostri ospedali psichiatrici”.

Quindi, dove sta la verità?
È stato tutto un equivoco
Sua Santità ha la demenza senile?
Si é trasformato all’improvviso in un pedofilo così allupato da non riuscire a trattenersi nemmeno davanti a 200 persone?
Al netto di ipotesi, teorie e discorsi, quello del Dalai Lama rimane quasi l’ultimissimo messaggio di quelli puri, che scaldano il cuore. Per questo credo, e soprattutto spero, si sia trattato di un grande, maledetto equivoco.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Appunti sulla mondialità

La guerra normalizzata

Dopo i primi mesi di caos economico e di timori generalizzati sui rifornimenti energetici e sul mercato dei cereali, e sul rischio che lo scontro potesse degenerare in un conflitto nucleare, il mondo sembra ora avere metabolizzato la guerra in corso in Ucraina. Una guerra che resta un mix di vecchio – anzi, di molto vecchio – e di nuovo. Una guerra di conquista territoriale che ha anche risvolti etnici, con la “difesa” delle minoranze russofone in Ucraina, che si combatte all’ultimo sangue, addirittura in trincea, come non capitava dalla Prima guerra mondiale. D’altra parte, questa è anche una guerra moderna nella quale si usano droni e armamenti sofisticati, che possono così essere messi in mostra anche sul piano commerciale come non capitava da molto tempo. Dal punto di vista militare, la superiorità numerica e missilistica della Russia è stata pareggiata grazie alle moderne armi cedute dai Paesi Nato al più modesto esercito ucraino. Ne è derivata una situazione di stallo che oggi non lascia intravedere vie di uscita, se non il prolungamento di un conflitto che, nel frattempo, sta radendo al suolo l’economia e le infrastrutture ucraine e rovinando economicamente la Russia, che comincia a sentire il peso dell’embargo imposto dall’Occidente: Mosca non poteva immaginare che l’Europa, in così poco tempo, sarebbe riuscita a ridurre ai minimi termini la sua dipendenza energetica dal gas siberiano.

In realtà, tutto il conflitto è un grande concentrato di malintesi e di calcoli sbagliati, a partire dalla convinzione, smentita dai fatti, che l’Ucraina si sarebbe arresa poche ore dopo l’invasione russa e che la dipendenza dal gas importato avrebbe legato le mani all’Unione Europea. Ma ciò non può distogliere l’attenzione dal fatto che nulla è cambiato rispetto agli schieramenti internazionali di un anno fa. L’embargo economico contro Mosca è stato decretato dal 19% degli Stati del mondo, che rappresentano però il 59% dell’economia mondiale. Restano ancora fuori tre giganti, tra l’altro membri dei Paesi Brics, come la Russia: India, Cina e Brasile. In questo primo anno di guerra, ciò è bastato perché la Russia non restasse senza ossigeno, ma ora cominciano a farsi pesanti le conseguenze delle sanzioni, con una flessione del PIL russo stimata in 4-6 punti percentuali per il 2023, che andrà ad aggiungersi al meno 3% circa del 2022.

Sul fronte della pace, invece, va registrato che al momento ci sono solo due proposte sul tavolo: quella avanzata da Zelensky all’ONU, che ha il peccato originale di essere stata proposta da una delle parti in guerra, e quella cinese, alla quale sia i Paesi Brics sia l’Europa stanno prestando attenzione. Dalle potenze che fino a oggi hanno permesso all’Ucraina di reggere militarmente, cioè dagli USA, dal Regno Unito e dall’UE, ancora non è arrivato nulla. Come se questi Paesi pensassero, ipotesi altamente improbabile, che la guerra possa risolversi sul campo a favore dell’Ucraina.

È questa impasse, una mancanza generalizzata di volontà negoziale, che sta relegando la guerra in Ucraina tra le notizie di secondo piano. Come accadde per la guerra in Iraq o per quella in Afghanistan, ormai si dà per scontato che lo scontro andrà per le lunghe e ci si concentra quindi su altre questioni. Invece, questo conflitto non solo è potenzialmente molto più pericoloso degli altri, ma potrebbe anche essere il primo di una lunga serie, destinata a sancire i confini tra la sfera d’influenza geopolitica dell’Europa occidentale e quella della Russia: un tema del quale non si è mai voluto discutere dopo la fine della Guerra fredda, perché la tanto evocata conferenza per la pace e la sicurezza tra l’Europa e la Russia, diventata una repubblica democratica dopo il 1991, non c’è mai stata. Abbiamo avuto la fine del Patto di Varsavia da una parte, la crescita della Nato dall’altra; e una Russia integrata velocemente nello spazio economico europeo ma sempre tenuta ai margini dello spazio politico.

Sono ancora molte le cose che questo conflitto racconta: eppure, a meno di sconvolgenti novità, ne sentiremo parlare sempre di meno. Perché il nostro mondo è fatto così, si sfugge dal trovare una risposta alla complessità per ripararsi nel quotidiano. Un “giorno per giorno” che non risolve nulla e che, anzi, esaspera i problemi.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Madri

Mi domando quali differenze ci siano tra la mamma di Enea, che ha lasciato il suo piccolo alla Mangiagalli perché qualcuno gli dia un futuro, e la mamma di Amin, una delle innumerevoli madri irachene, afghane, siriane, subsahariane che con strazio e un sogno nel cuore affidano ogni giorno i loro bambini a parenti o compagni di sventura perché li portino in Europa, oltre il mare. Per la prima c’è la “culla della vita” in una città che si sente autorizzata a parlare di amore, solidarietà, accoglienza, famiglia, adozioni (salutare imprevisto è Enea per i sensi di colpa della Milano che corre e lascia indietro chi non è performante). Per la seconda mamma una carretta del mare, “culla della morte” attende Amin. Per la mamma di Milano e il suo bimbo ci son comprensione, coccole, promesse. Per quella d’un piccolo migrante affidato a chi lo porti lontano da guerre, fame, miseria c’è un Governo che accusa lei e le altre mamme di aver messo a repentaglio la vita dei bambini (infanticidio colposo in caso di naufragio cioè) o di aver partorito un “carico residuale” se i soccorsi hanno buon esito. Madri e bambini sono tutti uguali per natura, civiltà, diritti, umanesimo, vangelo (qualcuno lo dica a mamma Giorgia), ma non per la destra e il sonnambulismo di molti. Per Enea c’è un futuro, giustamente; per i suoi fratellini siriani, iracheni, afghani arriva lo stato d’emergenza, con commissario da lottizzare tra Lega e FdI. Una sfida umana epocale è derubricata a ordine pubblico: espulsioni, riduzioni di protezioni, cura, assistenza, con possibili clandestinità o sfruttamenti da parte della criminalità. Dal punto di vista politico l’insistente campagna con monopolio tv su invasioni migratorie evita di parlar di poveri, giovani, sanità e scuola pubblica impoverite, informazione libera in pericolo, Costituzione violata da una fiscalità non proporzionale al reddito, diritti, democrazia nata dalla lotta di Liberazione disconosciuta da cariche istituzionali. Il Governo Meloni & Salvini parla poi di politica della famiglia ma vanno a vuoto le gare per i nidi, obiettivo del Pnrr: un ritardo causato da chi governava prima. «È colpa degli altri» è il motto-madre di tutte le battaglie della destra. La sua cultura.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Di homeless e di incontri, nel tempo di Pasqua

“Mi lascia il posto per favore? Grazie, siete molto gentili. No, lì non mi posso sedere, vede ho con me il mio castello…”. Il castello in questione è in realtà un ammasso di roba su un traballante carrellino tenuto insieme da cinghie, chi lo porta a fatica è un signore in età e  abbastanza male in arnese, il tutto dichiara una vita di strada. Teatro della conversazione è la 60, a Milano gli autobus, si sa, sono declinati al femminile. La giovane coppia  cui si è rivolta si alza prontamente, lui  si accomoda con tranquillità , sistema la sua roba e continua a parlare. In un ottimo francese e si può immaginare l’effetto spiazzante sul popolo della 60 che lo guarda e lo ascolta in quel misto di curiosità e diffidenza che si può ben immaginare. Quando a mia volta gli passo accanto per scendere e lo ringrazio, perché mi si rivolge spostando il castello, mi dice con tono quasi mondano: “Vedo che anche lei ama questa bella lingua, è così musicale…”. 

Giusto qualche sera fa al teatro dell’Elfo ho visto con mio figlio il lavoro di Nicola Russo ‘Cristophe o il posto dell’elemosina’ che racconta l’incontro a Parigi dell’autore con un homeless, un sans papier tunisino, lunga vita di strada sulle spalle. Da quell’incontro tra galassie lontane nasce una corrispondenza, dalle originali lettere che Cristophe – così si vuol far chiamare –  invia a Nicola origina il testo dello spettacolo che è una riflessione sugli stereotipi, sulla difficoltà di scrollarseli, sulla capacità di aprirci e farci sorprendere nell’incontro con l’altro. Colto, appassionato di cinema, divoratore di vocabolari, utente di cineteche e biblioteche, si rivela Cristophe, ma anche soggetto politico: il suo dire a proposito dell’elemosina, del valore pedagogico con cui sceglie dove farla – nel posto delle famiglie, dove ci sono i bambini  e le loro domande – ribalta la gerarchia sociale in cui siamo quasi tutti tranquillamente accomodati, ciascuno al posto suo.  

Mi chiedevo in questi giorni cosa significa per me, non credente, Pasqua: quella di quest’anno poi che è la prima senza la depositaria dei riti familiari – in presenza o a distanza perché ne avevamo di ogni tipo a seconda fossimo o non fossimo insieme – ovvero mia madre. Me lo chiedevo perché ho anche mancato, su richiesta della destinataria, al piccolo rito del pacco da mandare alla mia figlia lontana e me ne sono un po’ dispiaciuta.  Che senso ha questa Pasqua, oltre la generica e piacevole sensazione della primavera, le piante nuove su balcone, il sole che si fa più caldo? Mi sembra di averla incontrata nella sorprendente coincidenza di questi due incontri che hanno delle similitudini – il signore dell’autobus e il suo castello e il sans papier Cristophe – mentre intorno e nella mia vita continuano ad affollarsi i guai, le cose di cui preoccuparsi, arrabbiarsi, rammaricarsi. Poi però sale uno un po’ conciato sull’autobus, si prende un posto che per molti non è destinato a lui, lo fa con cortesia, in un buon francese e con il senso di un diritto di cittadinanza: ti  sorprende, ti fa sorridere e pensare a Cristophe e a quanto sia importante l’elemosina, alle considerazioni sul privilegio e sul pregiudizio fatte con tuo figlio al ritorno dal teatro e ti sembra che stavolta Pasqua, la tua Pasqua laica, sia questa, nello stare, per una volta, scomodo di chi sta sempre abbastanza comodo, nell’alzarsi per fare posto.  

  • Assunta Sarlo

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    Pubblica di mercoledì 22/01/2025

    Braccia tese e saluti pericolosi. Elon Musk mette in scena alla festa di Washington il nuovo ordine trumpiano. Fa discutere in Europa la coreografia del saluto del padrone di SpaceX, tanto simile ad un saluto nazista. Sempre a Washington la vescova episcopale Mariann Edgar Budde supplica Trump per gli ordini esecutivi anti-immigrati. «Le chiedo di avere pietà, signor Presidente, per coloro che nelle nostre comunità hanno figli che temono che i loro genitori vengano portati via», ha detto la religiosa. Trump l’ha accusata di aver avuto un «tono sgradevole» e di essere «un’estremista della sinistra radicale che odia Trump». Pubblica ha ospitato Mattia Diletti, scienziato politico dell’università “La Sapienza” di Roma, e Chiara Volpato, psicologa sociale, già docente all’università di Milano Bicocca.

    Pubblica - 22-01-2025

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    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 22-01-2025

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    TERESA MARESCA - IL PRIMITIVO DEL SOGNO - presentato da Cecilia Di Lieto

    Note dell’autore - 22-01-2025

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi ai microfoni di Radio Popolare. Condotta da Massimo Bacchetta, a cura di Massimo Alberti

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di mercoledì 22/01/2025

    L'esercito israeliano si concentra ora sulla Cisgiordania, morti e feriti a Jenin, per compiace e i coloni e colpire ancora Hamas, l'analisi di Eric Salerno; con l'arrivo di Trump come cambia la diplomazia mediorientale secondo Laura Guazzone, docente di Storia contemporanea del mondo arabo alla Facoltà di Studi orientali dell'Università di Roma "La Sapienza". La cancellazione del green deal e l'uscita dagli accordi di Parigi sono già fatti, mentre l'Europa guarda a India e Cina come alleati per la transizione secondo Luca Iacoboni, responsabile relazioni esterne del centro studi ambientalista Ecco. Leonard Peltier torna a casa, ai domiciliari, ma come dice lui nell'audio che mi faccio sentire "casa è come essere liberi", il racconto di Andrea De Lotto che per 14 anni ha sostenuto la causa per la grazia e la liberazione del leader del Indian Movement in carcere da 49 anni.

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