Ricorre, in questi giorni, il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani.
Leggendo in questi anni i suoi scritti, ho pensato a un po’ di cose, magari non troppo intelligenti, riguardo al suo magistero spesso frainteso o peggio forzatamente attualizzato.
Ma le volevo esprimere comunque, in ordine sparso.
– Il pensiero di nessun altro personaggio può essere considerato (ovviamente, ripetiamolo, SE BANALIZZATO e FRAINTESO) più dannoso del suo, per la scuola italiana di oggi.
– Quando diceva “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”, sospetto che il priore di Barbiana volesse porre l’accento (al netto di cifre messe lì solo a mo’ di esempi di proporzionalità, non certo veritiere… mannaggia a Galimberti!) su quanto fosse importante provare ad allargare il lessico dell’operaio, per fare in modo “che anche lui ne conoscesse 1000”; e non, come a volte si fa nella scuola di oggi, di agire didatticamente “affinché l’operaio riuscisse a cavarsela comunque soltanto con quelle 100”.
– “Se si perdono i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. E qui mi prudono le mani: e chi non sarebbe d’accordo? Il punto è che però in questo ospedale spesso ci sono tantissimi, o forse troppi, pazienti: chi con la gamba spezzata, chi con la polmonite, chi con ustioni varie, chi con un infarto. Tutti bisognosi di cure assolutamente diverse tra loro, solo che… solo che nelle nostre scuole spesso il chirurgo è uno solo, massimo due. In questo sistema, è assolutamente normale e prevedibile che qualcuno potrebbe morire: ci si dovrebbe sorprendere del contrario. E bisognerebbe tener conto del numero di forze disponibili, e adoperarsi per estirpare la piaga delle classi-pollaio, se non ci si vuole limitare a cianciare di “scuola inclusiva”, ma si volesse davvero cercare di trasformare in azione viva e concreta l’insegnamento di Don Milani. In sostanza: Don Milani non aveva da fare il PDP per i suoi alunni Bes… ma è una cosa ovviamente positiva che questo strumento in più oggi ci sia.
– Non mi capacito di come, parlando del successo della scuola di Barbiana (“Ammazza come lo seguivano, a Don Milani, i suoi ragazzi: usiamo i suoi stessi metodi!”) e provando quindi a emularne oggi goffamente pratiche e attività, non siano stati in molti a tener conto del contesto storico sociale (da citare almeno l’articolo “Io sto con la professoressa” di Lorenzo Tomasin). A rischio di sembrare ora io quello banalizza, ricorderei, e non per spirito di contraddizione contro il “santino” Don Milani, che egli operava con ragazzi che avevano, come alternativa al passare con lui a scuola dieci/dodici al giorno, quella di ammazzarsi di fatica nel lavoro nei campi per lo stesso numero di ore. Se potessi io, oggi, porgere io una di queste sliding doors ai miei alunni e alunne (in molte parti del mondo questa alternativa c’è, e se non c’è è perché c’è solo quella del lavoro): “O vi impegnate seriamente nell’attività scolastica, o andate a lavorare in miniera tutto il giorno”, ecco, le mie classi si popolerebbero come per magia di sopraffini dantisti, indefessi matematici, divoratori di libri ignari di cosa sia TikTok, Instagram e tutti gli influencers. Vedi come amerebbero subito Shakespeare, la derivata, le guerre puniche egli affluenti di destra del Po. Ma, appunto, è un’alternativa che preferisco non avere.
– La scuola di Barbiana era organizzata in un modo oggi semplicemente improponibile: non c’era ricreazione e non era vacanza nemmeno la domenica; era una scuola a tempo pieno e che poteva essere replicata solo, diceva Don Milani, da una coppia di insegnanti (marito e moglie) che potessero accogliere in casa propria gli alunni. Se no, l’altra soluzione per essere docenti come li intendeva lui? Il celibato.
– La coincidenza storica della morte (nel 1967, l’anno prima del ’68), ha nuociuto non poco nell’ottica di una sua lettura laica, critica, non ideologica: sull’onda emotiva della sua scomparsa, i movimenti studenteschi adottarono i suoi scritti in maniera forse superficiale, quasi trovandone legittimazione: del resto, un sacerdote scomodo, spesso in contrasto con l’ortodossia del Vaticano, che parlava di una scuola democratica come strumento di eliminazione delle diferrenze di classe… non si poteva trovar di meglio: ovvio che diventasse subito facile vessillo, comodo “argumentum ab autorictate” buono per ogni stagione e a portata di mano per i valori rivendicati in quelle lotte.
– Alcune affermazioni nella “Lettera… “ stridono terribilmente con indirizzi pedagogici – neanche troppo moderni – ormai pacificamente accolti dalla comunità educante, ad esempio in frasi come “meglio usare la frusta che bocciare”, o come quando rigetta l’interdisciplinarietà tra materie diverse; o, ancor peggio, quando deride le “opinioni personali” espresse dagli alunni sui testi letterari: se di Petrarca l’alunno avrà letto al massimo due sonetti, che opinione potrà mai avere? Che ce ne facciamo del suo punto di vista? “Un ragazzo che pensa di avere un’opinione personale su cose più grandi di lui è un imbecille”.
– In ultimo, la cosa più curiosa (che, volendo, potrebbe fungere da perfido giochetto per sgamare chi ha davvero frequentato gli scritti di uno tra i più citati ma meno letti personaggi della cultura italiana del Novecento): nella “Lettera…” è celebre la contrapposizione tra i due bambini, Gianni e Pierino, figli uno di ricchi borghesi di città, l’altro di poveri contadini. Uno diligente, l’altro quasi una discola bestiolina difficilmente scolarizzabile. Ecco, per una sorta di controintuitiva operazione onomastica, il bravo borghesuccio è, contro le nostre aspettative barzellettistiche, Pierino, non Gianni. Il “Gianni”, nella lettera di Don Milani, è il figlio di contadini. Su questo aspetto, si confondono più persone di quanto possiate credere…
Quindi, più che alla pedissequa riproposizione del suo modello, lunga vita alla sua altissima testimonianza di personale sacrificio pedagogico, al senso di assoluta dedizione ai suoi ragazzi, al suo monito “I Care” come immanente presidio morale e civico sulle nostre istituzioni scolastiche. Perchè se siamo tutti d’accordo che il primo aspetto è sostanzialmente inattuabile, sarebbe però motivo di speranza che il sistema permettesse almeno la sopravvivenza dello spirito che animava il secondo.
Buon compleanno Don Lorenzo!
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