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L'Ambrosiano

Requiem per il centro

I funerali di Stato son per l’uomo Silvio Berlusconi, ma la solennità della cerimonia sancisce una svolta collettiva; nel Duomo di Milano va in
scena il Requiem per una formula politica svuotata: “centro”. Cade la foglia di fico: dal 14 giugno il governo Meloni-Salvini è formalmente ciò che nei primi sei mesi ha mostrato di essere: dura e pura destra. Berlusconi non ha eredi, se non i figli; anche da politico, per lui contava la famiglia. E Marina, Piersilvio insieme a fratelli e sorelle han da pensare a salvaguardare le aziende visti i segnali della Borsa resa euforica da appetiti non occulti. Nessuno ha la sfera di cristallo su cosa saranno Forza Italia, i quadri del partito-azienda, gli eletti grazie al nome Berlusconi in ditta. Ma gli equivoci vengon sepolti con il Cavaliere. Questi non sarà più il “garante per l’Europa” che l’Italia, pur orientata a destra, sarebbe rimasta ancorata al centro: moderatismo, estro e alcuni valori di tipo liberale. Bruxelles e Cancellerie han già potuto constatare ideologia, revanche, determinazione di Meloni su: diritti (Cutro, Sindacati espropriati del 1° maggio, coppie omogenitoriali); rispetto istituzionale (ostracismo a Bonaccini sulla pelle dei romagnoli); equità fiscale (flat tax, condoni); servizi (tagli a sanità, scuola, territorio);
atlantismo ed europeismo (con salamelecchi a Paesi ricchi di gas che evitano sanzioni a Mosca e violano diritti); moralità pubblica (codice degli appalti criticato dall’Anticorruzione); insofferenza verso Magistratura contabile e ordinaria (Corte dei Conti nell’angolo e Giudici sotto inchiesta per il magnate russo non sorvegliato); opere pubbliche (miliardi per il Ponte del Carroccio mentre il Paese frana indifeso). Attenzione però. I toni gravi del Requiem per il centro suonano anche a sinistra. Alibi, paure, calcoli, giochini: finiti! Urgente è decidersi a far politica per: lavoro; giovani; casa; scuola; sanità pubblica; giustizia sociale; fisco progressivo; cultura; diritti; pace; ambiente; Costituzione antifascista (né autonomia differenziata, né presidenzialismo!); informazione (basta videoveline). Con piazze mobilitate su obiettivi! Poi le alleanze. Chi fa distinguo non è al centro ma strizza l’occhio a destra.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

I social sono già vecchi

La maxi-stangata nei confronti di Meta, il colosso di Mark Zuckerberg, arrivata dopo che la Commissione irlandese per la protezione dei dati personali ha accertato una sistematica violazione del regolamento europeo sulla privacy, è la più grande multa mai comminata a un soggetto del mondo high-tech in Europa: ben 1,2 miliardi di euro. L’attività giudicata illegale, che Meta dovrebbe cessare entro sei mesi, è il trasferimento dei dati degli utenti europei dei social della compagnia sui server ubicati negli Stati Uniti. Potrebbe sembrare una questione marginale, invece riguarda il core business di social come Facebook e Instagram che vivono, commercialmente parlando, proprio dell’accumulo, del trasferimento e della vendita a scopo pubblicitario dei dati che ogni giorno gli utenti “donano” loro, più o meno consapevolmente. Una massa di dati che tocca ogni aspetto della vita privata delle persone, dai gusti culinari alle idee politiche. Informazioni che mai prima d’ora erano state raccolte in modo così dettagliato e in tale quantità, per giunta senza spendere un dollaro, e traendone poi grandi guadagni.

La diatriba tra la Commissione e i colossi che gestiscono i social risale a qualche anno fa, quando per la prima volta, dopo le rivelazioni di Edward Snowden, si cominciò a parlare del trasferimento dei dati negli USA e del conseguente utilizzo che ne fa anche l’intelligence di Washington. Intanto gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra al colosso cinese Huawei perché sospettato di compiere un’operazione analoga: raccogliere i dati degli americani che usano i suoi device e renderli accessibili alle autorità cinesi.

Proprio questa è stata la rivoluzione che i social hanno portato nel mondo dello spionaggio: più che indagare per procurarsi dati specifici, relativi alle persone o alle società che si intende controllare, oggi basta sapersi muovere in una massa enorme di dati, cercando quelli che questi soggetti riversano volontariamente in rete.

C’è poi anche il tema della pubblicità, sempre più mirata perché tarata in base ai nostri gusti e preferenze, e che già si annuncia come un altro terreno di sbarco dell’intelligenza artificiale. Senza dimenticare la questione dei meccanismi che queste società hanno oliato per pagare poche tasse – se non nessuna – a fronte di immensi profitti. È quasi paradossale che l’Irlanda, Paese chiave nella strategia di “evasione legale” elaborata a livello europeo dai giganti dell’high-tech, oggi sia lo Stato chiamato a comminare la maxi-stangata a Meta: ma è anche inevitabile, trovandosi in Irlanda la sede europea dell’azienda.

Questa vicenda andrà avanti nei tribunali finché durerà il negoziato tra Washington e Bruxelles sul trattamento dei dati, regolamentato diversamente sui due lati dell’Atlantico. Visto l’errore compiuto scommettendo sul successo commerciale del metaverso, che invece ancora annaspa, Meta ora si concentrerà sulla riduzione dei costi e sugli introiti della pubblicità sui social network. Quest’ultima è già aumentata esponenzialmente su Facebook, al punto da far allontanare molti utenti perché bombardati di pubblicità mirata.

Per il settore si tratta di una crisi di crescita, nel senso che social come Facebook hanno ormai quasi esaurito il bacino potenziale di utenti, e c’è sempre un nuovo competitor, come accaduto con TikTok, che erode la posizione acquisita negli anni. In ogni caso, non sono tempi facili per chi aveva promesso una rivoluzione nella storia della comunicazione tra gli esseri umani e, alla fine, ci vende un “new media” infestato di pubblicità. Forse, più che nuovo, questo mondo è già vecchio, si è logorato con la stessa velocità con cui i social fanno invecchiare le notizie. E forse siamo pronti per qualcosa di nuovo, che però ancora non conosciamo.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

La videopremier

Leggio, microfono, fogli, modi di chi parla a interlocutori. Ma di fronte Giorgia Meloni non ha nessuno. In un set allestito in un palazzo governativo tunisino va in scena la versione della Premier circa l’incontro col Presidente Saied. Nessuna domanda né chiarimenti chiesti da qualche giornalista che facendo il suo mestiere vorrebbe disporre di elementi per raccontare cosa il governo ha trattato con un Paese in difficoltà democratica quanto a: migranti; petrolio e gas per Italia ed Europa; fondi internazionali miliardari per salvare il regime come contropartita dell’alt alle continue partenze di disperati; tutela dei diritti umani delle migliaia di profughi che provenendo da altre regioni dell’Africa nella speranza di varcare il Mediterraneo incappano in trafficanti (come in Libia) e discriminazioni in Tunisia in una disperata lotta tra poveri. Da Tunisi a Roma: stesso copione. Meloni è una videopremier: non dialoga, s’impone. Nel mese passato ha parlato via video su temi per i quali sarebbe stato utile un confronto con l’opinione pubblica: 1° maggio, set allestito a Palazzo Chigi per far passare il messaggio melosalviniano «noi lavoriamo, loro cantano»; Stati Generali dei Commercialisti; Festival dell’Economia di Trento; Convegno su temi identitari “Nazione e patria. Idee ritrovate”; visita alla Romagna alluvionata, dove l’”evitare le passerelle” in realtà è stato frutto d’un’accorta regia anche nei tempi di ritorno dal G7. Giornalisti evitati con riprese fornite da Palazzo Chigi (una volta veline, oggi video): stivali, luoghi, persone giuste da cui essere accolta come un’apparizione, regia di Galeazzo Bignami (viceministro oggi; per la storia: ritratto in divisa nazista in una festa d’addio al celibato), candidato di Meloni a sfrattare Bonaccini in Regione e commissario alla ricostruzione. Nei compiti di Ordine e Sindacato dei Giornalisti c’è la moral suasion perché esponenti pubblici che preferirebbero soliloqui accettino dialogo coi media e pluralità delle fonti; poi le mobilitazioni qualora si preferiscano i dischi della Voce del Padrone al confronto. Continuiamo a tutelare la libera manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione antifascista, nel suo 75°. Se non ora, quando?

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

#Losapevamotutte, ma ci abbiamo sperato

È vero, lo sapevamo tutte, come da hashtag da tante condiviso, quando si è saputo che Giulia Tramontano, 29 anni e un bambino in grembo, era stata uccisa dal suo compagno e il suo povero corpo ritrovato in un’intercapedine poco lontano da quell’appartamento in cui fino a qualche giorno fa sperava di accogliere e crescere suo figlio insieme al padre.

Lo sapevamo tutte, come non saperlo quando il copione si ripete con tanta frequenza, quando lui denuncia la scomparsa, appare stranito e, via via, si aprono buchi nella ricostruzione che il lavoro paziente degli inquirenti chiarisce: la lite, la scoperta di un’altra – pure lei incinta e poi costretta ad abortire – i messaggi via chat alla mamma e all’amica per far reggere il fragile castello di una scomparsa volontaria. Lo sapevamo tutte, non è purtroppo neanche la prima volta che una donna incinta viene uccisa: mi torna in mente una storia che avevo seguito nel lontano 2006, la morte crudele di Jennifer Zaccconi,  22 anni appena, al nono mese di gravidanza, massacrata e sepolta che era ancora viva  dall’uomo con cui stava, sposato e padre di due figli. Di recente quella storia è tornata fuori: i parenti della ragazza non hanno diritto a nessun risarcimento, hanno stabilito i giudici d’appello.

Lo sapevamo tutte. Molte cose sappiamo della violenza contro le donne, i numeri innanzitutto e sono più di 100 ogni anno le vittime, la trasversalità a ogni condizione sociale ed economica, il tema dell’autorizzazione maschile e della violabilità del corpo delle donne, la gigantesca questione culturale che impasta ancora le relazioni tra uomini e donne e non le fa libere e non le fa eguali.

Lo sapevamo tutte dunque, lo sapevo anche io e per tutti i motivi di cui sopra. Eppure ieri, passando dalla Stazione centrale e vedendo così vicino il bel volto di Giulia nei tanti manifesti che chiedevano di attivarsi per ritrovarla, ho dato per un attimo retta al mio desiderio che per una volta, una sola volta, ci potessimo sbagliare, che lei tornasse da chi le voleva bene, che una famiglia affettuosa, che si era precipitata a cercarla dalla Campania a Milano, riuscisse a riabbracciarla, ad aiutarla a guarire il dolore, a uscire da una relazione tossica, e ad accogliere il suo bambino come vanno accolti i bambini. Lo stesso desiderio  sconfitto l’ho visto ripetersi nei commenti di tante donne oggi, quando si è saputo – in tutti gli orribili dettagli, in tutta la sua atroce dinamica – che invece era stata uccisa dal suo compagno. Non si sperava in  un lieto fine – sarebbe comunque stata una storia atroce e un uomo da cui scappare a gambe levate –  ma in una salvezza sì. Molti anni fa uno slogan della Casa d’accoglienza delle donne maltrattate recitava più o meno così: ‘Prima di tutto vive’. Ferite, deluse, a pezzi, ma almeno vive. Ce l’ho fisso in mente: siamo ancora lì, a cercare di raggiungere almeno questo, ad essere ancora una volta smentite.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

La Repubblica è vita

La Festa della Repubblica del 2023 sembra messa lì per rincuorare. Non c’è da abbattersi dopo che la destra ha vinto le elezioni (a Catania anche con il “pizzo di Stato!); in Spagna spicca Vox; i popolari europei se va bene tolgono la fiamma missina dal logo ma integrano FdI; in Turchia rivince il “dittatore (parola di Draghi) Erdogan che coi miliardi di Bruxelles tiene i siriani (Assad alleato di Putin) in orrendi campi. Anzi, da Ankara soffia il vento più forte della destra: la poesia che libera e fa sperare. Ha le parole di Hazim Hikmet, che fece 13 anni di galera perché s’oppose a Kemal Ataturk, laico ma di metodi simili al successore. S’intitola: “Alla vita”. Invita a prenderla così sul serio «che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi / non perché restino ai tuoi figli / ma perché non crederai alla morte, / pur temendola, / e la vita peserà di più sulla bilancia». La Repubblica è vita, la nostra, anche nel 2023, nonostante i miti identitari difensivo-aggressivi della destra; balbettii e gelosie delle opposizioni; le frustrazioni della maggioranza degli elettori che non vota perché non sente prospettive e bisogni rappresentati dalla politica; lo smarrimento dei giovani prima ritenuti bamboccioni ora pericolosi perché oppongono tende e verniciature inaccettabili a governi incapaci di pensare al futuro loro e del pianeta. La Repubblica è la nostra vita da quando il popolo non la nazione mandò a casa il re complice di Mussolini (di cui La Russa tiene il busto a casa), le donne cominciaron col voto la battaglia che dura ancora, s’insediò l’Assemblea che in nome della Liberazione dal nazifascismo combattuta da patrioti avrebbe generato la pianta sempreverde della Costituzione antifascista. La Repubblica è vita perché con Hikmet e altri poeti (pensiamo a Turoldo che nel 1985, temendo per la democrazia, scrisse «Torniamo ai giorni del rischio / quando tu salutavi a sera / senza esser certo mai / di rivedere l’amico al mattino») possiamo piantare ulivi sapendo che noi non li vedremo crescere, ma loro continueranno a germogliare per figli e nipoti. Nonostante le eventuali Meloni d’ogni tempo. Un Mattarella ci sarà sempre a vegliare: speriamo.

  • Marco Garzonio

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    Luigi Pagano, già direttore di Bollate e San Vittore, ex provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, è il nuovo garante dei detenuti di Milano e ci racconta cosa non funziona nel sistema carcerario ben oltre il sovraffollamento e il numero di suicidi e atti di autolesionismo fuori controllo: “La politica in atto mi sembra quella di utilizzare il carcere nell’ottica dell'ordine pubblico”. Decreti sicurezza e criminalizzazione di determinate fasce di popolazione riempiono le carceri delle questioni sociali: “Andando a guardare chi sono oggi i detenuti nella maggior parte sono irregolari, tossicodipendenti, malati di mente e poveri tout court che hanno commesso reati ma non hanno alcuna possibilità di ottenere misure alternative”. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia a Presto Presto.

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    Pubblica, mezz’ora al giorno di incontri sull’attualità e le idee con Raffaele Liguori

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    Un appuntamento quasi quotidiano, sintetico e significativo con un autore, al microfono delle voci di Radio Popolare. Note dell’autore è letteratura, saggistica, poesia, drammaturgia e molto altro. Il tutto nel tempo di un caffè!

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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    Mentre i tank israeliani circondano Gaza pronti per l'operazione di terra, la Sumud Global Flotilla, si prepara a prendere il mare, come ci racconta Barbara Schiavulli, inviata di guerra e direttrice di Radio Bullets, a bordo di una delle barche a vela pronte a salpare dalla Sicilia. Oxfam rilancia in un rapporto di 65 pagine la richiesta all'Europa di vietare il commercio con gli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, Paolo Pezzati, Portavoce Oxfam Italia, ci racconta cosa dice il rapporto. Luigi Pagano, già direttore di Bollate e San Vittore, ex provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, è il nuovo garante dei detenuti di Milano e ci racconta cosa non funziona nel sistema carcerario ben oltre il sovraffollamento e il numero di suicidi ormai questione sociale.

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