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L'Ambrosiano

Dolore dell’altro, speranza

Sperare contro ogni evidenza. Bisogna sembrar folli, far cose diverse da ciò che altri s’aspettano, dal conformismo che ottunde, dalle simmetrie che innescano guerre, vedersi nell’altro; il mondo brucia, l’Italietta soffoca. Se prevale lo schema “noi siam buoni, bravi, giusti, amati da Dio; loro son cattivi, brutti, odiatori, dannati e se negli schieramenti non si distinguano carnefici e vittime, ci si distrugge tutti, si va a «rotolarsi nel fango» con la Premier che pensa di volare alto quando dice di risolver le cose e proietta su chi non la pensa come lei la causa dei guai, non vede le ombre nere a destra. Sperare contro ogni speranza, come le Madri di Women Wage Peace (“Le donne portano la pace”), dal 2014 (altra guerra di Gaza!) movimento che unisce israeliane, palestinesi, cristiane; dopo il 7 ottobre (una di loro è tra gli ostaggi, un’altra ha avuto il figlio ucciso da Hamas) han gridato: «fermatevi, la guerra non è la risposta». Sperare come il Patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa: s’è offerto in ostaggio al posto dei bambini israeliani rapiti, gesto un po’ silenziato: governi, terroristi, media amano più chi riduce Dio a idolo ergendosene a difensore; imbarazza invece chi segue Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv, 15, 13). Sperare, come Ami Ayalon, già capo dello Shin Bet, servizio segreto israeliano (beffato da Hamas: Netanyahu schierava i militari a proteggere i coloni che osteggiavano i palestinesi) che ha detto da Jacona: «Avremo sicurezza quando i palestinesi avranno speranza». Il Cardinal Martini, profeta dei giorni nostri, diceva: «Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo». Vedeva lontano lui. In Terra Santa Martini era vicino a Parents Circle-Families Forum di famiglie israeliane e palestinesi che persi i propri cari a causa del conflitto lavora a un processo di riconciliazione per raggiungere una pace duratura, bene che gli estremisti d’ogni parte aborrono. Raccomandava Martini: «Impariamo a guardare il dolore dell’altro». Vale per Israele, Palestina, tutto il mondo (Italia pure) dove si scagliano parole come pietre o si alzano spade contro l’altro, il fratello; si sfida la speranza.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

La love song più bella del mondo, quella capace di spiegare l’amore…

Qualche tempo fa un caro amico mi ha chiesto quale fosse, a mio parere, la canzone d’amore italiana più bella di sempre.
“Impossibile stabilirlo, è una cosa troppo soggettiva e influenzata da centinaia di insondabili fattori…” ho risposto ridendo, e pensavo di essermela cavata con una risposta abbastanza figa, da chi la sa lunga. Ma mi sbagliavo.
“No, Fede, non intendo bella in senso lato, intendo quella più profonda, di spessore, capace veramente di spiegare cosa voglia dire davvero amare”.
Wow… una parola! Anche se, questo va ammesso, la sua articolata descrizione restringeva parecchio il campo ed eliminava tutti quei pezzi del tipo “mi ha lasciato, tradito, fatto soffrire, mi manchi, torna, non tornare, vaff, eccetera eccetera”.
“Intendo proprio” proseguì il mio amico “la canzone più di ogni altra capace di custodire le parole che vorresti sentirti dire da chi speri ti ami tanto, da chi sai che sarà sempre pronto ad afferrarti se cadi, la persona per la quale TU sei davvero speciale, unico…”.
A quelle ultime parole, mi illuminai come una torcia, poi mi prese un groppo alla gola mentre aprivo il “tubo” e premevo play sulla canzone d’amore più “bella” di sempre, quella che avrei voluto sentirmi sussurrare nelle orecchie da chi amo.
Già perché ora sapevo…
“Ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo dai fallimenti che per natura attirerai…”.
“La Cura” di Franco Battiato, è una canzone meravigliosa, un vero manifesto di quell’autentico amore disinteressato che si incontra poche volte nella vita. Probabilmente da piccolini con la propria mamma, molto raramente dopo.
La verità, ammettiamolo, è che la maggior parte di noi non sa cosa sia esattamente l’amore. Conosciamo il desiderio, la paura della perdita, l’orgoglio della conquista, la soddisfazione di sentirci necessari. Ma l’amore vero è questo?
Non lo so proprio, qualcuno ha detto che per chiamarsi tale dovrebbe essere disinteressato. Ma perché sia disinteressato non deve esserci attrazione, altrimenti l’interesse arriva eccome. E allora questo “amore disinteressato”, pare possibile con un figlio, un genitore, un amico, ma non certo col proprio partner.
Magari ci vuole una via di mezzo, chissá…
Quello che so è che la descrizione più simile a un amore nobile e delicato, di quelli che vale veramente la pena vivere, me l’ha regalata il testo di “La Cura” della coppia Franco Battiato/Manlio Sgalambro.
“Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie, supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare, e guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale e io avrò cura di te”.
Amo questo passaggio, qui il duo Battiato/Sgalambro non millanta di anelli, viaggi intorno al mondo, pazzie stravaganti e cafonate assortite – tutte cose che paiono più effetti speciali da filmetto per teenager che reali dimostrazioni d’amore – ma va dritto nel seme più puro del rapporto, quello che se accudito cresce, diventa albero e regala frutti. Il protagonista di “La Cura”, semplicemente, dà tutto se stesso, tutto il suo tempo e la sua attenzione perché tu, essere speciale, possa risplendere e stare bene.
E allora il rapporto, questo amore dalla A maiuscola, non si ferma, non può fermarsi, è un viaggio che cresce, che scorre e frantuma le difficoltà come una cascata tra le rocce.
“Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza, porteremo insieme le vie che portano all’essenza”. Un essenza che da spirituale diventa anche una completa fusione fisica “i profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi, la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi, tesserò i tuoi capelli come trame di un canto, conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.”
Vedete, l’amore di questa canzone è assoluto. Per il proprio partner, l’autore è padre, madre, compagno, amico e anima nell’anima.
Per questo “La Cura” è il pezzo d’amore più “bello” di sempre.
Dal profondo del cuore auguro di trovare un amore così al mondo intero.
Dal profondo del cuore auguro di trovare un amore così a tutti noi.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Inermi

Mi sento inerme dal 24 febbraio dell’anno scorso: fu svolta, schiaffo, sveglia a una coscienza resistenziale intorpidita Putin che invase l’Ucraina. Inerme non perché privo di armi; inerme senza strumenti umani per parare le aggressioni di chi semina violenza, odio, negatività, morte; non la morte-fine-d’un-ciclo ma annientamento, il nulla, come non si fosse mai esistiti. L’odio è eliminazione, damnatio memoriae, in chi l’agisce e in chi risponde in modo simmetrico. L’orrendo attacco di Hamas a Israele ha chiuso un cerchio? Improprio: le bolge infernali vanno a spirali, più giù. L’odio ha il volto di atti terroristici sconvolgenti, sovversivi; ma il suo è un potere diabolico: genera l’impensabile, il non umano. Sono inumane le stragi: sparare nel mucchio, uccidere per uccidere, esibire crimini efferati come avvertimenti mafiosi; lo sappiamo noi dalle stragi neofasciste: piazza Fontana, piazza della Loggia,
stazione di Bologna. Dal 7 ottobre mi rende inerme un assillo ulteriore: il non umano non è solo la mattanza, ma anche indurre l’impotenza. Non è umano il non trovare in sé – oltre a indignazione, condanna, solidarietà per le vittime d’ogni parte – la pensabilità e l’agibilità d’una reazione: per sé, in gruppo, in piazza. Inerme avverto il non umano di non sapere immaginare cosa posso fare io contro il male perché sia detto un “no” squillante, attivo, che non s’esaurisca in testimonianza, non salvi la falsa pace delle coscienze ma crei inciampi condivisi ai gironi infernali. Se non prendo coscienza che anch’io
posso pensare e fare qualcosa, che fermare le stragi dipende anche da me, dal cambiare qualcosa a casa mia, dal disporre l’animo a uguaglianza, rispetto, giustizia, non seminare odio sui social e contrastare politiche discriminatorie, finirò per divenir corresponsabile del degrado etico, identificato con lo spirito
di tempi bui, agito da un inconscio collettivo caotico, irresponsabile, distruttivo. Inermi, nudi, provata la vergogna d’aver colto il frutto dell’albero della conoscenza e d’aver scelto il male invece del bene ci salva il ritrovare la comune umanità. È poesia Dante che fuori dall’Inferno torna «a riveder le stelle». Realtà noi divenuti forti della coscienza d’essere inermi; lì ripartire.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Restiamo Umani: il monito sempre attuale di Vittorio Arrigoni

Non voglio parlare di quello che sta succedendo tra Israele e Palestina. Quando muoiono i civili, tra i quali donne e bambini, la guerra mostra la sua vera natura, che è incommentabile.
Inoltre non avrei qualcosa di particolarmente interessante da dire, tranne trasmettervi un profondo sgomento, simile a quello di tutti quanti.
L’attacco di Hamas è stato indegno. La risposta israeliana, con bombardamenti su una striscia di terra in cui vivono ammassati milioni di persone già piegate dalla povertà, una risposta completamente folle e di una cattiveria inaudita.
Nel mezzo il resto del mondo, con i suoi media servili, sempre al guinzaglio dei potenti e del potere. Quando sento dire: “O si sta con Israele oppure con Hamas” mi sale un profondo disgusto. Le persone non funzionano solo e unicamente col sistema binario. Personalmente non sto – che brutto termine, tra l’altro, nemmeno fossero squadre di calcio – con Israele, esattamente come non sto con Hamas. Gli unici per cui parteggiò sempre e comunque sono gli ultimi, i senza voce, quelli che non hanno nulla. La povera gente in difficoltà.
Dopo la pandemia la coscienza collettiva, per quasi tre anni sotto stress, è andata completamente in black out. Prima l’Ucraina, adesso questo.
Era prevedibile? Forse sì.
Si è fatto qualcosa? Certamente no.
Ma come ho detto in apertura, non voglio parlare di questa assurdità. Voglio invece raccontare la storia di un ragazzo italiano che ben conosceva la situazione ebreo-palestinese, uno scrittore e attivista di raro coraggio che abbandonò una vita agiata per vivere nel cuore della Palestina e aiutare quella gente, documentando tutta la follia che non documentava mai nessuno.
Si chiamava Vittorio Arrigoni e concludeva ogni suo articolo con due parole, due semplici parole ma di una forza inaudita: “stay human”, restiamo umani!
Don Gallo, lo citava spesso durante gli incontri pubblici e quel “restiamo umani” di Vittorio lo aveva fatto suo. Gliel’ho sentito ripetere tantissime volte.
Arrigoni era un bel ragazzo originario di Besana Brianza, dove era nato nel 1975. Figlio di una coppia di imprenditori, era cresciuto in una famiglia impegnata, fieramente antifascista.
I nonni erano stati partigiani, la madre Egidia aveva fatto per dieci anni il Sindaco del comune di Bulciago e la sorella maggiore Alessandra era diventata assistente sociale. Una famiglia, quella di Vittorio, votata alla solidarietà e all’aiuto. Tutte caratteristiche che Vik, come lo chiamavano gli amici, aveva prima fatto sue e poi era andato oltre, facendo del tendere la mano e del combattere contro le ingiustizie una ragione di vita.
Aveva iniziato a viaggiare e scoprire il mondo a vent’anni, e i suoi erano stati viaggi consapevoli, pregni di significato, finalizzati a conoscere certe situazioni e ad aiutare quelle persone le cui sorti troppo spesso finiscono nascoste sotto il tappeto.
Vittorio collaborava con diverse ong, che operavano nella ristrutturazione di sanatori, nella manutenzione di alloggi per disabili o senzatetto, nell’edificazione di nuove abitazioni per profughi di guerra e in tante altre attività solidali.
Dopo un periodo ad operare nell’Europa dell’est, Vik si era spostato prima in Perù e poi in Africa. Era stato prima in Togo e poi in Tanzania.
Ma non pensate a lui come a un integralista votato solo alla causa umanitaria. Vittorio era un ragazzo innamorato della vita e acceso da mille passioni. Amava la poesia e la letteratura, aveva divorato i libri di Bukowski, di William Burroughs e di tutta la beat generation, era un lettore onnivoro e un appassionato di rock. Prima di ogni viaggio si registrava le cassette con i suoi artisti preferiti, roba seria tipo Rem, Jeff Buckley, Soundgarden, Jimi Hendrix, Guns N’ Roses.
Il suo primo viaggio in Israele avviene nel 2002 con la ong IPYL, l’anno dopo entra a far parte dell’ong International Solidarity Movement. Completamente assorbito dalla causa palestinese, Vik scrive sul blog le sue prime corrispondenze dove prende posizione schierandosi contro il comportamento di Israele nei confronti della popolazione della Striscia di Gaza, che vive in una sorta di affollata prigione a cielo aperto. I suoi veementi articoli gli valgono l’inserimento, a sua insaputa, nella lista nera delle persone sgradite a Israele. E infatti lo fermano alla frontiera con la Giordania. Vittorio viene picchiato dai militari israeliani e lasciato in territorio giordano dove fortunatamente viene soccorso.
Qualche mese dopo, ritorna in Israele per partecipare all’International Nonviolence Conference e, nuovamente, viene picchiato, arrestato e poi espulso dopo sette giorni d’ospedale.
Lo scrittore israeliano Amos Oz dice pubblicamente che Israele ce l’ha con Vittorio per i suoi articoli, che squarciano il silenzio sui crimini di guerra perpetuati a Gaza, e possono costare a Israele pesanti sanzioni internazionali.
Vittorio però non si ferma, la Palestina ormai per lui è più che una missione. Si tatua sul braccio Handala, il bambino creato dal disegnatore palestinese Naji Ali che gira le spalle al mondo perché il mondo le gira a lui. Poco alla volta Vik impara l’arabo, si crea una fitta rete di amici, esce in mare coi pescatori palestinesi costretti a restare entro le tre miglia pena le sventolate di mitra da Israele (peccato che vicino alle coste il pesce sia inquinato), accompagna i contadini a raccogliere i frutti della semina al confine, anche qui fra le pallottole dei soldati e rischi inauditi. E poi scrive, scrive e ancora scrive. Scrive e documenta tutto. È a Gaza, dove ha ottenuto la cittadinanza onoraria palestinese, durante i 21 giorni di bombardamenti consecutivi dell’operazione Piombo Fuso, con l’esercito israeliano che mette a ferro e fuoco la striscia. Durante quei giorni, Vittorio aiuta i feriti, gira con le ambulanze e scrive i suoi reportage sotto le bombe, inviandoli poi al Manifesto che li pubblica ogni mattina, regalando al mondo una delle poche testimonianze dirette di quella mattanza.
Gli accorati reportage di Vittorio diventeranno il libro “Gaza – Restiamo Umani”, che verrà tradotto in inglese, francese, spagnolo e tedesco. Manco a dirlo, Arrigoni devolverà in beneficenza alla causa palestinese i propri diritti d’autore.
Coraggioso, appassionato, sincero, Vittorio era uno che zitto non ci stava. Quando lo scrittore Roberto Saviano disse pressappoco che Israele, e in particolare Tel Aviv, erano un esempio di accoglienza e democrazia, Vittorio realizzò un video da Gaza dove “asfaltava” lo scrittore di “Gomorra” con inattaccabile precisione.
Amante della giustizia e paladino dei senza voce, Vittorio ha chiuso la propria esperienza di vita a soli 36 anni.

È la sera del 14 aprile 2011 quando Arrigoni esce dalla palestra di Gaza dove quasi ogni sera va ad allenarsi. Con la scusa di un passaggio a casa, viene rapito da un gruppo terrorista dichiaratosi appartenente all’area jihādista salafita, anche se tre di loro successivamente smentiranno l’appartenenza al gruppo. Poche ore dopo viene mostrato un video in cui Vik appare bendato e legato, mentre i sequestratori accusano l’Italia di essere uno “stato infedele” e Vittorio di essere entrato a Gaza “per diffondere la corruzione”. I terroristi lanciano un ultimatum, minacciando l’uccisione di Arrigoni entro il pomeriggio del giorno successivo se non verrà scarcerato il loro leader, Hisham al-Saedni noto anche con il nome di battaglia Abu Walid al-Maqdis, e altri militanti jihādisti detenuti nelle carceri palestinesi. E chiedono pure un milione di dollari, giusto per non farsi mancare niente.
Non aspetteranno nemmeno una risposta, perché Vik viene ammazzato qualche ora dopo.
La morte di Arrigoni crea grande scalpore internazionale e viene condannata da tutti, a partire da Hamas fino all’ultimo poveraccio sulla striscia di Gaza a cui Vittorio aveva teso la mano.
La polizia palestinese uccide due dei sequestratori durante l’arresto mentre altri tre finiscono in prigione, condannati all’ergastolo.
Riflettendo su questa triste storia a distanza di dodici anni e in un momento in cui sembra essere ritornati proprio ai maledetti giorni dell’operazione Piombo Fuso, sorge spontanea una riflessione: nei suoi anni dedicati alla questione arabo-israeliana, Vik è stato pestato e incarcerato dagli ebrei e ucciso da un gruppo di arabi estremisti. Assurdo, vero?
Ma più di tutto a Vittorio l’ha ucciso l’ignoranza, quella che si annida in ogni conflitto. Quella che trasforma gli uomini in bestie. Quella che uccide l’amore.
La guerra è ignoranza, la guerra è cattiveria, e fa gli uomini ignoranti e cattivi.
E questo Vittorio lo sapeva bene, anzi benissimo. In uno dei suoi articoli aveva scritto: “Io che non credo alla guerra, non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera”.
Spero col cuore che si fermi presto tutto questo sangue.
Amore immenso per la memoria di Vittorio “Vik” Arrigoni.
Restiamo Umani!

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Gli ultimi giorni di Jim Morrison a Parigi in un libro

Da qualche settimana è stato pubblicato in Italia un libro che sta facendo parecchio discutere. Sto parlando di “Jim Morrison – Ultimi Giorni a Parigi” di Hervé Muller, noto giornalista musicale francese che frequentò parecchio Morrison negli ultimi mesi della sua vita. Se un briciolo di verità sulla morte del Re Lucertola negli anni è venuto fuori è proprio grazie all’indagine che Muller realizzerà poche settimane dopo la scomparsa del frontman dei Doors. Un’indagine che lo vedrà parlare con testimoni affidabili e inaffidabili, spacciatori e tagliagole, e che racconterà poi nel suo libro. Un libro potente, visionario, che prima analizza la vita di Jim, la condisce con succose curiosità, ne sviscera influenze letterarie e contesti culturali, soffermandosi su un’esistenza consumata a cento allora e su alcuni aspetti solitamente tralasciati. E poi, una volta ben rosolati al fuoco lento della visione, ci porta nella Parigi del 1971, aprendo lo scatolone dei ricordi personali della sua frequentazione con il Re Lucertola, fino all’oscura indagine successiva alla sua misteriosa morte.
Strana figura Hervé Muller, scomparso un paio di anni fa dopo una vita abbastanza incasinata, fra problemi di salute, centri per i disturbi mentali e tanta, ma tanta musica. E strano è anche come sono entrato in contatto con questo libro. E dico strano per non dire profetico.
Era il 21 gennaio del 2023 ed ero appena uscito dal Père-Lachaise con mia moglie Daria, emozionato dopo una lunga visita alla tomba di Jim. Mentre ci dirigevamo di buon passo verso l’uscita del cimitero, Daria candidamente mi disse: “Dirigi la collana musicale del Castello ormai da tre anni, e non avete ancora fatto niente su Jim, mi sembra impossibile”.
Sorrisi, quasi con supponenza. Morrison è stato, insieme a Marley, la mia più grande influenza culturale, era ovvio che ci avessi pensato ma se non lo avevo fatto c’era una ragione.
“Il punto è” le risposi “che ormai su Jim è stato pubblicato di tutto, a cosa serve un altro il libro di qualcuno che magari è nato dopo che lui è morto? A cosa servono i bla bla bla di gente che non l’ha mai conosciuto? C’è solo un titolo che pubblicherei ma…”
“E quale sarebbe?” chiese incuriosita Daria.
“Quello di Hervé Muller, ma è impossibile”.
“E chi è?”
“Un giornalista francese amico di Jim, con lui a Parigi negli ultimi mesi. Scrisse un libro nel 1973, che poi aggiornò a inizio anni Novanta, e fu grazie alla minuziosa indagine riportata sulle sue pagine che si scoprì che Jim probabilmente non era morto nella famosa vasca di casa ma al locale Rock ‘n’ roll Circus.”
“E perché non ne prendi i diritti e lo pubblichi, come fate di solito coi libri dall’estero?”
“Perché dopo la pubblicazione, Hervé ha avuto problemi personali seri, è diventato un accumulatore compulsivo, la sorella ha cercato addirittura di farlo internare, anzi mi pare che per un periodo ci sia pure riuscita; inoltre si è ammalato di fibromialgia e, travolto da tutti questi problemi, si è dato alla macchia e non ha autorizzato più ulteriori pubblicazioni del libro, che è sparito dagli scaffali.”
Soddisfatta la sua curiosità femminile, mia moglie cambiò discorso e continuammo la nostra passeggiata per Parigi, fino alla metro, diretti a Montparnasse a cercare la casa di Modigliani. E fu lì, a pochi passi dalla Rotonde, dove Pablo, Amedeo e gli altri si riunivano a bivaccare, che vidi, ve lo giuro, l’edizione francese del libro di Hervé Muller in vetrina! Entrai di corsa e chiesi lumi alla libraia. Mi disse che era uscito da pochi giorni! In tempo zero lo comprai, rintracciai l’editore francese e ne trattai immediatamente l’acquisto per il mercato italiano. A quanto capii dalla spiegazione che mi diedero al telefono in un inglese stentato, dopo la morte di Hervé, avvenuta nel 2021, la sorella aveva autorizzato una nuova release del libro, con il testo che era finalmente tornato nelle librerie francesi.
A volte le cose capitano così: giochi dell’universo capaci di togliere il fiato.

  • Federico Traversa

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    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

    Alice, chiacchiere in città - 24-11-2024

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    Gr in breve domenica 24/11 17:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    GR in breve - 24-11-2024

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    Bollicine di domenica 24/11/2024

    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 16, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

    Bollicine - 24-11-2024

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    Ricordi d'archivio di domenica 24/11/2024

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

    Archivio Ricordi - 24-11-2024

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    Gr in breve domenica 24/11 15:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    GR in breve - 24-11-2024

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    Giocare col fuoco di domenica 24/11/2024

    Giocare col fuoco: storie, canzoni, poesie di e con Fabrizio Coppola Un contenitore di musica e letteratura senza alcuna preclusione di genere, né musicale né letterario. Ci muoveremo seguendo i percorsi segreti che legano le opere l’una all’altra, come a unire una serie di puntini immaginari su una mappa del tesoro. Memoir e saggi, fiction e non fiction, poesia (moltissima poesia), musica classica, folk, pop e r’n’r, mescolati insieme per provare a rimettere a fuoco la centralità dell’esperienza umana e del racconto che siamo in grado di farne.

    Giocare col fuoco - 24-11-2024

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    La Pillola va giù di domenica 24/11/2024

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese in questo momento di emergenza, cercando di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 24-11-2024

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    Comizi d’amore di domenica 24/11/2024

    Quaranta minuti di musica e dialoghi cinematografici trasposti, isolati, destrutturati per creare nuove forme emotive di ascolto. Ogni domenica dalle 13.20 alle 14.00, a cura di Stefano Ghittoni.

    Comizi d’amore - 24-11-2024

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    Giornale Radio domenica 24/11 13:00

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 24-11-2024

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