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La nave di Penelope

Studenti in mare

“Molti studenti non parlano più, faccio fatica anche a fare l’appello, a volte, perché non rispondono”. Me lo racconta una professoressa di lettere di un blasonato liceo milanese. È preoccupata, come tanti colleghi, per i ragazzi. Questa volta non si parla di difficoltà legate alla Dad per mancanza di mezzi o di connessione, come capita altrove. Qui si parla di un liceo del centro, con famiglie per lo più benestanti. I ragazzi hanno tutti i mezzi e gli stimoli culturali, il contesto è favorevole. Non hanno problemi a connettersi e a seguire le lezioni, eppure qualcosa non va. Sono stati investiti da un’altra “epidemia”. Quella dei disturbi psichiatrici che sta abbattendosi sulla generazione Dad senza pietà e senza favoritismi.

I professori e i genitori lo raccontano: i ragazzi non trovano più la motivazione. Non provano più interesse in quello che fanno o studiano. Alcuni faticano anche a trovare una ragione per alzarsi al mattino. La scuola smette di essere uno stimolo.

Non vale neanche la scusa del “certo, se fanno tutti lezione frontale, come se fossero in aula, gli studenti fanno fatica a seguire”. Questa docente, come tanti altri durante questa pandemia, utilizza la Dad per sperimentare metodi didattici diversi e innovativi, come quello della classe capovolta. Spinge gli studenti a fare ricerche e poi a presentare i loro elaborati e le loro riflessioni alla classe e generare un confronto, chiede loro di realizzare video-schede, riporta gli argomenti di studio all’attualità.

Questi sono alcuni degli “espedienti Dad” messi in campo per sfruttare gli strumenti digitali ed evitare le lezioni frontali, cercando di stimolare e coinvolgere i ragazzi anche a distanza. Ma se durante la prima ondata la risposta era ancora abbastanza positiva, quest’anno i professori vedono gli studenti spegnersi lentamente. Non sono più interessati.

Un problema nascosto tra le curve della pandemia ma che, come tutto quello che non è strettamente connesso al coronavirus, viene messo in secondo piano. Eppure la mancanza di relazioni umane, di confronto, dello sport, della vita normale di un adolescente lascerà tracce. Lo sta già facendo. Dal punto di vista della preparazione, secondo i docenti, ci sarà un abisso rispetto ai diplomati precedenti. Per quanto riguarda gli apprendimenti, certo, non potrebbe essere altrimenti. Ma a preoccupare più di tutto i professori è quello che succederà ai loro studenti dal punto di vista della crescita personale e della salute mentale.

Negli ultimi mesi gli psichiatri hanno lanciato l’allarme. Si parla di un raddoppio delle richieste di ricovero nei reparti di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. Depressione, ansia, autolesionismo, disturbi alimentari gravi, comportamenti aggressivi. E tentativi di suicidio. Tanti.

Maria Antonella Costantino, direttrice dell’unità operativa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Policlinico di Milano e presidente della Società italiana di neuropsichiatria infantile, sul Corriere della Sera, ha presentato dei dati sconvolgenti: “A gennaio, gli accesi alle neuropsichiatrie infantili per tentato suicidio, in Lombardia, sono stati 86, quasi un raddoppio su un anno prima”.

Stesso trend che mi aveva spiegato Renato Borgatti, direttore di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza della Fondazione Mondino dell’Istituto neurologico nazionale di Pavia, durante un’intervista per il Gr di Radio Popolare poco tempo fa. E questo, aveva detto, “non è un dato solo lombardo”, anche i colleghi di altre regioni confermano la tendenza.

Borgatti aveva anche condotto, durante la prima ondata, uno studio che aveva coinvolto oltre 1.600 adolescenti a livello nazionale tra i 12 e 17 anni. Erano emersi già i primi campanelli d’allarme. Che poi, in parte, si sono tradotti in disturbi più o meno gravi negli ultimi mesi. Alla base, secondo Borgatti, la mancanza di relazioni dei ragazzi, costretti alla didattica a distanza, senza poter frequentare luoghi d’aggregazione e senza adulti intorno in grado di leggere i segnali. Così i sintomi si sono aggravati.

La soluzione per Borgatti è riaprire le scuole e i luoghi di socialità. E pensa che si sarebbe dovuto partire da lì con i vaccini, dando la priorità ai ragazzi e agli insegnanti. Ora però è tardi per fare queste considerazioni. Resta da capire come si affronterà questa “nuova epidemia” che sta riempiendo i posti letto nei reparti di neuropsichiatria infantile.

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Breaking Dad

Il giallo della porta chiusa

In attesa davanti alla scuola. Ci sono tornati da due giorni i pargoli delle elementari. Che ore sono? Le quattro e cinque minuti. Strano, sono sempre puntualissimi, com’è che non escono? Battute varie a tema rientro, Dad, virus variamente assortiti e variati.

Fatto sta che alle 16.10 le allegre faccette non sono ancora spuntate dallo scorcio della porta a vetri che divide il cortile della scuola dall’ingresso. “Scrivo sulla chat di classe!”. Ma se siamo tutti qua? “Ah, già”. La tensione comincia a crescere. Si cerca di parlare d’altro. Ma è difficile, anzi impossibile. Poi, una mamma lo dice.

“Deve essere successo qualcosa”. Giro di sguardi tra genitori, nonni e baby sitter. Parlano gli occhi, sbucano dalle mascherine e si scambiano sconcerto e preoccupazione. [MUSICA CUPA IN CRESCENDO]

“Eh, deve essere successo qualcosa”. Santiddìo, ho capito, ma cosa? Incuranti dello sgomento generale, due cagnolini si azzuffano allegramente. “Eh, che carini, giocano…”.

Ma va? Ma davvero giocano? Pensavo stessero mettendo in scena una versione cinofila (e cinefila) de “I duellanti”. Ma secondo te a noi ce ne importa qualcosa? Ti pare il momento di pensare ai quei due botoli che si menano?! [PENSIERI INESPRESSI]

Alle 16.14, quando già sono stati inviati i primi dispacci alla Protezione civile e a qualche Generale, la porta a vetri si apre. Mezzo secondo di suspense. Poi, il primo faccino spunta e strizza gli occhietti per il sole. E il secondo, e il terzo e tutti quanti. Gioia e tripudio. [PIANOFORTE E ARCHI PASSANO DA TONALITA’ MINORE A MAGGIORE, POSSIILE INSERIMENTO ARPA, MA FORSE E’ TROPPO]

Ma, certo, un bravo genitore sa mantenere un contegno, accidenti. Secondo voi basta così poco per fargli perdere il necessario self-control? “Tesooooroooooo, ciaoooooo piccolinooooooo, come staiiiiiiii??!!”. Appunto.

Qualcuno sostiene di aver sentito la maestra spiegare l’accaduto, ma la versione non è confermata. E’ un giallo. Non resta che indagare. E, come il tenente Colombo, provare capire dai diretti protagonisti cosa abbia turbato tanto profondamente un sereno pomeriggio di primavera. [QUI CAMEO DI PETER FALK NEI PANNI DEL BIDELLO]

Non sono necessarie domande, per la verità. I bimbi e le bimbe non parlano d’altro. Alcuni piagnucolano, altri sono visibilmente agitati. Altri ancora, con aria risoluta, mettono in fila i fatti, quelli assodati e quelli che rimangono da verificare.

Su un punto tutti concordano: la porta dell’aula si era chiusa e non si apriva. Ecco.

“Ma voi eravate dentro da soli?”

“Sì, la maestra era uscita un attimo”.

Eccola lì, davanti ai nostri occhi, la scena-madre: soli, dietro una porta chiusa, privati della libertà come Tim Robbins, li immagino già scavare un tunnel con i cucchiaini in plastica della macedonia. Alcuni, presi dallo sconforto, lanciare e riprendere ossessivamente una palla da tennis come Steve Mc Queen. Per 12, 15 minuti, forse di più, mentre l’ossigeno si fa via via più rarefatto.

Ma cosa è successo davvero? Chi ha chiuso la porta? Perché? E soprattutto, come è possibile che la stessa non si aprisse più, né dall’interno né dall’esterno?

Ecco. Questo è “Il giallo della porta chiusa”. La cui risoluzione non riveleremo perché i diritti sono già stati venduti a Netflix che ne realizzerà un serie in 86 puntate (la prima stagione).

In realtà, noi genitori eravamo piuttosto divertiti. Un po’ incuriositi, al limite. Ma i bambini erano davvero scossi. Fabrizio e il suo amico Marco sono tornati a casa a piedi insieme. Si tenevano vicini, con il braccio a cingere le spalle dell’altro. Erano serissimi. La mamma di Marco e io ce la ridevamo, stando dieci passi dietro loro. “Ma sai che bello, starsene chiusi in classe, tutti insieme, senza le maestre!” “Festa! Ah, se fosse successo a me, ai nostri tempi…”

Fulminato con lo sguardo.

“Papà, basta. Evita, per cortesia, di sovrapporre la tua necessità di ri-affermazione alla mia esperienza. La narrazione postuma di eventi dell’infanzia è fallace, perché travisata dal vissuto successivo. Riproporla, facendone un termine di paragone con il quotidiano dei figli, è un non-senso. Che rischia di sminuire le emozioni del bambino, anziché valorizzarle in funzione pedagogico/esperienziale”.

Ecco, non ha detto esattamente così. Ma il senso era quello. E allora, più tardi, abbiamo cercato di analizzare tutto quello era successo, passo passo, con divertimento e impegno, come se fosse davvero un giallo a lieto fine di cui Fabrizio e i suoi amici sono stati protagonisti.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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I giorni dell'Ira

Un nuovo giorno dell’Ira: (non) fatemi ridere

RInascita! RIpresa! RIpartenza! RIgenerazione! REsurrezione!

Sembra una battuta di Brecht, imbastardita con una formula di meditazione da new-age tardiva. Invece, è quello che andiamo RIpetendo tutti da mesi.

Quante volte sono state pronunciate queste o simili (volenterose quanto generiche) parole, nell’anno e più che abbiamo alle spalle? All’inizio, era inevitabile. Comprensibile, anche. Ma dopo l’altalena dei lockdown, la fiera dei vaccini, i parossismi di confusione imperiale, sono diventate una sorta di mantra da assumere prima o dopo i pasti, come l’aspirinetta o gli integratori di vitamine. Dico, in termini di comunicazione pubblica, ma anche privata.

“Buongiorno, signora Belli. Come va?”

“Buongiorno, signor Brutti. Bene, facendo gli scongiuri… e lei?”

“Per ora, tutto ok. Ma speriamo di RIpartire presto, eh?”

“Eh già, abbiamo proprio bisogno di RIprenderci!”

E poi via, verso i bidoni della differenziata, dopo avere sanificato le maniglie del locale condominiale.

Ma insomma, possibile che nessuno di noi ricordi che per una RIgenerazione occorre uno straccio di messa in discussione, di autocritica, di ammissione della colpa, di catarsi… chiamatela un po’ come volete? Non dovevamo uscirne migliori? RIpartire sì, ma non dal punto in cui avevamo lasciato a mezzo l’ultimo aperitivo.

E allora, basta. Da oggi mi sforzerò di non RIpartire, RIsorgere, RInascere e RIcominciare se non quando sarà veramente opportuno. E dato che anch’io sono incapace di vera autocritica, scelgo un diversivo: invece di RIsorgere, cercherò di RIdere un po’ di più. Ahahah! Temo tuttavia di non essere la sola ad avere avuto questa intuizione di sfinita autoconservazione. Almeno, a giudicare dal successo che hanno recentemente riscosso alcuni bolsi e stracotti format TV a base di comicità un po’ isterica (per i più grandi, quelli che adesso fanno Astrazeneca) o dalla dipendenza da stand-up in streaming (per i più giovani, quelli che per ora non fanno nessun cazzo di vaccino o se lo fanno, hanno saltato la fila).

Già, c’è ridarola nell’aria. Non credo sia mancanza di rispetto per la drammaticità del momento. Credo piuttosto sia la versione estesa di quella strana reazione che spesso prende chi va a un funerale. L’emozione provoca gesti goffi, crea effetti involontariamente grotteschi e a tutti, almeno una volta, è capitato di ridere alle commemorazioni del caro estinto. Il meraviglioso sketch dei Monty Python, quello della killer joke, la barzelletta killer, ci insegna che si può ridere anche della guerra. Se non lo conoscete, cercatelo in rete. L’idea che si possa ammazzare il nemico di risate, resta una delle intuizioni più geniali del secolo breve.

Chissà, forse se Erdogan e Michel avessero avuto la prontezza di spirito di dire a Ursula von Der Leyen “Scherzone! Dai, te la sei presa per così poco?” adesso sarebbero considerati gli artefici di un nuovo disgelo turco-europeo. E se Eco (Umberto) ha consegnato ai lettori di tutto il mondo la sua opera più celebre mettendoci al centro il Riso, racchiuso nel fatale e perduto secondo libro della Poetica di Aristotele, anche noi possiamo provare a ridere almeno un po’ in questo nerissimo tempo storico.

Anche perché di polaroid da guardare per farsi una RIsata ce ne sono dappertutto, se si presta attenzione. Ecco qualche esempio.

Cosa fare, se non ridere, quando a un caro amico annoverato nelle categorie “fragili” viene praticato il vaccino e, la mattina dopo, gli arriva un SMS che dice più o meno “Buongiorno! Ti comunichiamo che da oggi puoi fissare un appuntamento per ricevere il vaccino contro il COVID-19”?

E perché non ridere di un tamponamento fra due signore over 70, straordinariamente simili di aspetto, che si sono scontrate mentre entrambe stavano andando al più vicino centro vaccinale? Saranno finite in fondo alle graduatorie per non essersi presentate in tempo, a causa della constatazione amichevole?

Come si fa a non sghignazzare insieme alla parrucchiera, impaziente di riaprire quanto le sue zazzerute clienti, che confida telefonicamente “Pazzesco! In questo ultimo lockdown sono tutte ingrassate da far paura! Gli ci vorrà un anno per buttare giù quei chili…”

E infine, prendiamo un premier europeo che incute diffidenza ma anche una sorta di rispetto, grazie alla fama di glaciale stregone dell’economia planetaria. Uno che per settimane ha fatto imbizzarire i travet della cronaca politica perché “non comunicava”? Non è meraviglioso che uno così, che fra l’altro in questo momento è anche il Presidente del Consiglio italiano, abbia pestato un merdone come quello di annoverare Erdogan fra i dittatori del mondo? E per giunta con una frase semiconfidenziale, da ascensore, da buvette, non da conferenza stampa coi microfoni sguainati? Sublime. E qualcuno si domanda ancora se dietro ci fosse una precisa strategia diplomatica.

Dai, (non) fatemi ridere.

 

  • Ira Rubini

    Nata in Belgio, vive a Milano. Studia insieme legge e teatro. A 20 anni inizia a scrivere per la TV e firma oltre 40 trasmissioni, come la diretta della notte degli Oscar in cui vinse Benigni. Come antidoto, scrive teatro (anche con Franca Valeri) e gira il mondo per fare documentari. Insegna teatrologia alla Paolo Grassi e coordina il corso di Sceneggiatura alla Luchino Visconti. La radio è il primo amore: esordisce a Radio Popolare a 14 anni, poi ci torna a condurre il quotidiano culturale. Lavora a RadioRAI e alla Radio Svizzera Italiana. A volte, le piace tornare in scena con l'ensemble Ottavo Richter.

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Piovono Rane

Perché (di nuovo) non sta andando tutto bene

Non è questione di polemica politica, è questione di numeri, di dati di realtà.

E i numeri dicono che anche questa volta non sta andando tutto bene, che la campagna vaccinale in Italia sta mancando gli obiettivi.

Anzi uno l’ha già mancato: quello delle 300 mila dosi al giorno.

Doveva essere raggiunto entro fine marzo, invece così non è stato e anche la settimana successiva – quella  fra il 3 e il 9 aprile – la media quotidiana di somministrazioni è stata di 237 mila,  cioè oltre il 20 per cento in meno.

Basta vedere i grafici per capire cosa succede: si vaccina bene il mercoledì e il giovedì, si scende il venerdì, si sprofonda nei week end, si riparte un po’ il lunedì e si raggiunge di nuovo numeri buoni il mercoledì dopo.

Si  procede “a salto di rana”, come ha detto alla nostra radio il docente del Politecnico Davide Manca

I dati sono ancora più inquietanti se si guarda agli anziani.

Il report appena rilasciato dal governo dice che il 32 per cento degli over 80 non ha ancora ricevuto nemmeno la prima dose,  cifra che supera l’80 per cento nei cittadini tra i 70 e gli 80 anni

I vaccini ci sono, ha detto in conferenza stampa Draghi,  e anche i centri vaccinali ci sono. Il collo di bottiglia è creato da altri fattori, come la carenza di personale sanitario.

Sono pochissimi i centri vaccinali aperti di notte, quasi tutti chiudono invece tra le 18 e le 19, e nei fine settimana si vaccina molto meno per i turni di riposo. In Lombardia il centro più efficiente, il  Niguarda, deve chiudere alle 14 sia il sabato sia la domenica.

Non si tratta ovviamente di far lavorare 24 ore al giorno medici e infermieri che già fanno turni lunghissimi, si tratta di chiamarne – pagandoli tanto – molti, molti di più.

Medici di base, in pensione, farmacisti, dentisti, specializzandi, personale delle cliniche private e ogni altro operatore possibile che legalmente può somministrare le dosi. Con l’obiettivo di tenere tutti i centri vaccinali sempre aperti e sempre a massimo regime.

Non sta andando tutto bene, il governo lo sa e striglia le regioni, Draghi minaccia di legare le riaperture al numero di vaccini, Figliuolo emette ordinanze nella notte, Speranza fa capire che le regioni  troppo in ritardo potrebbero essere commissariate

Tutti segni di nervosismo, un nervosismo giustificato ma che potrebbe e dovrebbe essere superato da decisioni forti centralizzate: non vogliamo sentire, tra un mese, che non ce l’abbiamo fatta e che la colpa viene rimpallata, con il solito scaricabarile, tra regioni e governo.

 

 

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Appunti sulla mondialità

Le sanzioni internazionali, tra ipocrisia e geopolitica

L'arma a doppio taglio delle sanzioni internazionali.

Quando si parla di sanzioni internazionali, spesso si fa riferimento in modo generico a una categoria molto composita di provvedimenti, che possono essere applicati legittimamente oppure no. Le sanzioni militari o economiche sono considerate dal diritto internazionale come uno strumento lecito per colpire un Paese, o le persone fisiche che controllano un Paese, quando lo stesso viola diritti fondamentali oppure diventa una minaccia per la pace. In realtà, nella storia solo in pochi casi le sanzioni sono state applicate in nome del diritto internazionale. Le più note sono probabilmente quelle che isolarono il Sudafrica per via dell’apartheid: la Convenzione ONU contro l’apartheid entrò in vigore nel 1976 e a metà degli anni ’80 vi aderirono anche Stati Uniti e Regno Unito. Pochi anni più tardi, nel 1990 furono varate sanzioni contro l’Iraq reo di avere invaso il Kuwait.

Perché le sanzioni abbiano legittimità devono discendere dalla condanna espressa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ed è qui che generalmente si inceppa il meccanismo. Come noto, lo statuto del massimo organismo delle Nazioni Unite per la sicurezza e la pace prevede che cinque nazioni (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito) godano di uno status particolare: sono membri permanenti (mentre gli altri 20 Stati lo sono a rotazione) e hanno potere di veto su qualsiasi argomento discusso dal Consiglio. Questo meccanismo “truccato”, che fu pensato nella logica della Guerra Fredda, è quello che impedisce, al netto di rarissime eccezioni, che il Consiglio di Sicurezza sia davvero una guida del diritto internazionale. Lo si è drammaticamente verificato nelle ultime settimane, dopo il sanguinoso colpo di Stato in Myanmar, non condannato a causa del veto cinese.

Questa situazione porta quindi diverse potenze, tra le quali figurano quelle stesse che a turno paralizzano l’ONU, a imporre sanzioni unilaterali. Cioè decise in autonomia, senza il riscontro delle norme del diritto internazionale. L’elenco è lungo, ma il caso più antico tuttora in corso è l’embargo statunitense contro Cuba: risale al 1962 ed è stato condannato dall’Assemblea Generale dell’ONU per ben dieci volte, con una schiacciante maggioranza che include l’Europa.

Negli ultimi anni le sanzioni economiche si sono concentrate sulle persone fisiche individuate come responsabili di particolari situazioni o sugli scambi commerciali. Contro il Venezuela, ad esempio, gli Stati Uniti hanno cambiato strategia rispetto al caso cubano, imponendo sanzioni nei confronti di aziende, militari e politici legati al governo bolivariano. Ora lo stesso strumento viene usato per i generali birmani golpisti. Si tratta di un’evoluzione delle sanzioni che parte da una presa di coscienza: quando si agisce contro un intero Paese si rischia che a pagarne le conseguenze siano soprattutto i più poveri. Perciò attualmente si tende a colpire gli interessi personali dei responsabili delle violazioni dei diritti umani.

Nel caso delle sanzioni commerciali la vicenda si fa più complessa: addirittura rischiano di diventare un boomerang. Talvolta chi le impone ne è consapevole, e ciò ne indebolisce la portata. È il caso delle sanzioni europee contro la Russia per l’intervento in Ucraina, varate sì, ma senza interrompere l’afflusso di gas dalla Siberia verso l’Unione. A volte però la situazione sfugge di mano, ed è il caso della guerra dei dazi dichiarata da Donald Trump contro la Cina per obbligarla a bilanciare i rapporti commerciali, situazione che alla fine ha colpito più l’economia USA di quella cinese.

Si può concludere quindi che le sanzioni unilaterali sono rischiose, oltre che spesso ingiuste. D’altra parte sono l’unico strumento possibile, giacché il sistema ONU è bloccato. Proprio questo dato di fatto dovrebbe portare a dare massima priorità alla riforma del Consiglio di Sicurezza, così da restituire legittimità a uno strumento spesso usato in modo improprio. Per fortuna però, sia pur raramente, qualcuno lo adopera per una giusta causa: come quando vengono colpiti nelle tasche i generali birmani.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Terzo episodio: Giù dal piedistallo Come si costruisce la propaganda? Con la paura di un nemico, militari che sfornano scenari catastrofici e politici, banchieri e imprenditori che dal loro pulpito ci ammoniscono che “le risorse dedicate al welfare sono un lusso non più sostenibile” (o più semplicemente ci invitano a scegliere tra “la pace o i condizionatori accesi”). Ma scuola e sanità pubbliche, ad esempio, non sono concessioni di “lorsignori”, sono diritti conquistati dai cittadini. Bisogna ricordarlo forte e chiaro a chi ci sta trascinando nel baratro di conflitti che, come spiega Pietro Parrino di EMERGENCY, hanno sempre più i civili, ovvero noi tutti, come bersaglio. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Speciale 25 aprile - 21/04/2025

    Intervista di Chawki Senouci a Paolo Maggioni autore del libro “Una Domenica Senza Fine” (SEM Libri). Domenica 29 aprile 1945 si compie la Storia in piazzale Loreto dove sono esposti i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e di alcuni gerarchi. Nella stessa giornata un gruppo di anarchici guidati dal comandante “Carnera”, un repubblicano anarchico antifranchista, attraversa Milano in direzione opposta per cominciare un’altra rivoluzione. Nell’intervista a Paolo Maggioni si è parlato della missione segreta del Comandante anarchico Carnera (nella vita reale si chiama Laureano Cerrada Santos) e dei luoghi e personaggi che hanno segnato quella lunga giornata: le donne e gli uomini che hanno sconfitto il fascismo, Il Duomo di Milano, Palazzo Marino, Il quartiere Affori, Marta Ripoldi, tranviera e staffetta partigiana, il radiofonico Daniele Colpani diventato la voce del fascismo, Piazzale Loreto.

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    In onda dal 2001, Prospettive Musicali esplora espressioni musicali poco rappresentate. Non è un programma di genere, non è un programma di novità discografiche, non è un programma di classici dell’underground, non è un programma di gruppi emergenti. Ma è un po’ tutte queste cose mischiate insieme dal gusto personale dei conduttori. Ad alternarsi in onda e alla scelta delle musiche sono Gigi Longo e Fabio Barbieri, con un’incursione annuale di Alessandro Achilli che è stato uno storico conduttore del programma.

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    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Musica che si piglia perché non si somiglia. Ogni settimana un dj set tematico di musica e parole scelte da Piergiorgio Pardo in collaborazione con le ascoltatrici e gli ascoltatori di Radio Popolare. Mail: mischionepopolare@gmail.com

    Mash-Up - 20-04-2025

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    Alice, chiacchiere in città di domenica 20/04/2025

    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

    Alice, chiacchiere in città - 20-04-2025

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    Bollicine di domenica 20/04/2025

    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 16, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

    Bollicine - 20-04-2025

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    Ricordi d'archivio di domenica 20/04/2025

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

    Archivio Ricordi - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - secondo episodio

    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    La Pillola va giù di domenica 20/04/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 20-04-2025

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

    C’è di buono - 20-04-2025

Adesso in diretta