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In alto a sinistra

La retorica del buon padre di famiglia ha stufato

Era da molto tempo che volevo parlare di questa questione ma non ne avevo ancora trovato né il modo né il tempo. Le parole di Matteo Salvini dopo il suo rinvio a giudizio per la vicenda della nave della Ong spagnola Open Arms me ne danno ora l’occasione. Sono veramente stufo di sentire politici che quando parlano del loro operato dicono di essere “buoni padri di famiglia”.

Il segretario della Lega, nella conferenza stampa che ha tenuto appena dopo la decisione dei giudici, ha sgranato (quasi come il rosario che ogni tanto tiene tra le mani) la solita tiritera cui ci ha abituato da tempo: i giudici politicizzati, la magistratura rossa (manco fosse Silvio Berlusconi), il suo vittimismo, il suo ruolo di vero difensore della patria (per lui rigorosamente con la P maiuscola) e altre amenità simili.

Poi, la trita retorica del buon padre di famiglia. Lui che adesso deve spiegare ai suoi figli che non andrà in galera e che li potrà portare ancora al parco et similia. E che le scelte che lui fa come politico e amministratore le fa “da buon padre di famiglia”.

Ecco, la retorica del buon padre di famiglia ha rotto il cazzo. Perché mai un buon padre di famiglia dovrebbe necessariamente essere anche un buon politico e amministratore? Che c’azzeccano le due cose?

Eppure sembra che questa retorica piaccia, soprattutto ai politici leghisti. Nella mia attività giornalistica e nella mia militanza politica ho incontrato sindaci, assessori o consiglieri comunali (quasi sempre del Carroccio) che narrano orgogliosi a ogni piè sospinto che loro sono dei bravi padri di famiglia, che le scelte che fanno sono guidate dallo “spirito del buon padre di famiglia”, che la pubblica amministrazione va guidata “facendo scelte che farebbe un qualsiasi buon padre di famiglia”. Poi magari non sanno nemmeno come i loro figli vanno a scuola, o non li portano a giocare al parchetto perché impegnati in uscite clandestine con le loro amanti. Ma queste sono questioni che riguardano la loro vita personale, in cui non voglio mettere il becco.

Ma perché un politico, per essere un bravo politico, deve per forza essere un bravo padre di famiglia? I maschi eterosessuali single, senza figli (per scelta o per avverse condizioni) non possono essere dei bravi amministratori?

I maschi omosessuali (che magari sarebbero anche buoni padri di famiglia, ma anche solo per essere padri devono fare i salti mortali perché quegli stessi bravi padri di famiglia non approvano leggi che potrebbero permetterglielo) non possono essere in grado di guidare un comune?

E le donne? Le donne etero forse, nella mentalità dei “bravi padri di famiglia”, devono essere solo “brave madri di famiglia” e non possono neanche lontanamente pensare di essere politiche o amministratrici. Per non parlare di quelle lesbiche, che manco buone madri di famiglia possono essere nella mentalità bigotta dei buoni padri di famiglia.

Credo che la categoria del “buon padre di famiglia” non sia una categoria della politica. A me non interessa che il mio sindaco, o il mio parlamentare, o il mio presidente di regione sia un bravo padre di famiglia.

Mi piacerebbe che prendesse decisioni che io condivido, che vadano nella direzione di una società più giusta, che provi a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali tra i cittadini. Pretese utopiche di questi tempi, ma almeno vorrei che fosse un bravo politico e amministratore. Che sappia quello che fa, che conosca le leggi, che porti avanti provvedimenti che ha studiato (scritti bene e corretti anche da un punto di vista formale magari).

Che motivasse politicamente le scelte che fa, senza far ricorso ogni due per tre alla retorica del buon padre di famiglia. Chiedo gentilmente per il futuro che mi venga risparmiata la stucchevole lezione su quanto il mio sindaco, il mio parlamentare, il mio presidente di regione sia un bravo padre di famiglia.

Perché la retorica del buon padre di famiglia ha sinceramente (scusate il francesismo) rotto il cazzo.

  • Alessandro Braga

    Classe 1975. Giornalista professionista, prima di approdare a Radio Popolare ha collaborato per anni col Manifesto. Appassionato di politica, prova anche (compatibilmente col tempo a disposizione) a farla

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Breaking Dad

Fantasmi a cena

Ora di cena. E’ un bel momento. Siamo tutti e tre un po’ stanchi ma abbiamo ancora cose da dirci. Fabrizio è decisamente affamato. Lo è anche Francesco ma, con il suo tipico aplomb, alla domanda: hai fame? risponde: un po’. La luce entra dalla finestra che dà sulla piazza, una luce dorata (giallastra, direbbe Fabri, ma il concetto è quello), il tram passa sferragliando (facendo casino, direbbe sempre Fabri). Ci mettiamo a tavola. La pasta alla carbonara riempie i piatti.

-Volete che vi racconti una storia?

-Papà, veramente le storie si raccontano a letto, non a tavola!

-E chi lo ha detto? E poi questa non è una favola per dormire…

-In che senso?

-Nel senso che si tratta di una storia di fantasmi.

Francesco alza lo sguardo dal piatto. Fabrizio smette di masticare.

-Maddài!

-Ma fa paura?

-Solo un po’, Fabri, ma poco…

 

C’era una volta un principe. Anzi: un conte, ma siamo lì. Era tanti anni fa, quando i nonni erano ragazzi.

-Gli Anni 60?

-Sì, Franci, proprio gli Anni 60.

Questo conte era molto ricco e costruiva case, strade, palazzi, da tutte le parti. Un giorno vide un piccolissimo paese in collina, in un posto molto bello, sopra un lago e decise di comprarlo. Visto che era molto ricco e che era un conte poteva farlo: si comprò tutto quanto. Le case, i boschi, persino la collina: tutto diventò di sua proprietà.

-E perché se lo comprò?

– Anche le persone, papà?

Aspettate, aspettate. Ci arriviamo. No, le persone non se le può comprare nessuno, neanche un conte ricchissimo. Anzi, ricordatevelo. Ma le loro case sì. E sapete perché lo fece? Perché voleva costruire – proprio lì, proprio in quel luogo bellissimo – una città magica.

-Cioè, magica in che senso?

Una città dei balocchi, una città delle meraviglie. E così, il conte fece costruire dai suoi operai una strada nuova di zecca per arrivare facilmente al paese. E un giorno le sue ruspe arrivarono e cominciarono a buttare giù tutto: case, fattorie, alberi. La gente fece appena in tempo ad andare via, portare via le proprie cose e le proprie mucche. Buttarono giù perfino un pezzo di collina perché non faceva vedere bene il panorama…

-Ma era un conte cattivo, allora!

Era un po’ cattivo ma era anche un po’ strano. Ben presto, al posto del paesino che c’era prima, fece costruire: un castello, un grande albergo, una torre tipo quella della “Lampada di Aladino”, una pagoda come quelle che ci sono in Cina e sopra ci mise pure un grande cannone come quello dei Pirati dei Caraibi. E poi, ancora, luci, tante luci colorate e un trenino che faceva tutto il giro della collina, e posti per mangiare e per ballare tutta la notte…

-Fico!

-Ma era matto!

Aspettate… Dovete sapere che il paesino, in poco tempo, diventò famoso. Tutti ci volevano andare. Ma costava tanto e allora solo i più ricchi ci potevano andare. E c’erano feste bellissime, e musica, anche con cantanti famosi.

-Tipo Fedez?

-Ma sei scemo? Fedez non era neanche nato!

Per un po’ di anni il paesino fu un posto magico. Strano, un po’ tipo l’Isola che non c’è. Il conte non era mai soddisfatto e continuava a costruire nuove cose: come una grande fontana illuminata che faceva giochi d’acqua e spruzzi altissimi.

Poi, un giorno, nel 1966, una frana distrusse la strada e danneggiò un po’ di palazzi del conte. Lui fece cominciare subito i lavori per rimettere tutto a posto ma nel paesino, per un po’, non ci poté andare nessuno. Poi tutto ricominciò ma non era più come prima. La gente si era un po’ stancata, non era più una cosa nuova. E poi qualcuno diceva che forse era un po’ pericoloso, che buttare giù boschi e pezzi di collina a casaccio e metterci al loro posto il cemento poteva causare frane e altre cose simili.

-Ed è vero? Avevano ragione?

Oh, sì che avevano ragione. E infatti, piano piano, le persone lo capirono e capirono che quel posto non era tanto magico. Era buffo, era strano, era scintillante. Ma non tanto magico. E così smisero di andarci. Il conte era arrabbiato, cercava di convincere tutti a tornare al suo paese dei balocchi. Pensò anche di costruire una pista per le macchine da corsa proprio lì, sopra la collina. Ma poi lasciò perdere. Aveva capito che ormai la storia del paese incantanto stava finendo.

Poi, un giorno, nel 1976 una frana ancora più grande della precedente distrusse di nuovo la strada. E, questa volta, il conte non aveva più tanta voglia di rimetterla a posto. Passarono gli anni e, a poco a poco, il paese si svuotò. I palazzi vennero abbandonati, le luci spente, le fontane chiuse. Il tempo si fermò.

-In che senso il tempo si fermò, papà?

Nel senso che tutto quanto, il cannone, il trenino, la torre di Aladino, tutto rimase lì, fermo, spento, silenzioso. Tutti se ne andarono. Finì la storia del paese magico. E cominciò quella del paese fantasma.

-E c’è ancora? Ci si può andare?

Certo, ci si può andare. Bisogna stare un po’ attenti però…

-Ai fantasmi? C’è il fantasma del conte?

Mmm… chissà, può essere. Ma bisogna soprattutto stare attenti a non farsi male in mezzo a tutti quei palazzi mezzi rotti.

-Ci andiamo?

-Dai, papà ci andiamo?

Affare fatto. La prossima gita sarà al paese fantasma.

P.S.

Il paese fantasma esiste davvero: si chiama Consonno ed è una frazione del Comune di Olginate, nella Brianza lecchese. La storia che ho raccontato ai ragazzi è suppergiù vera: il conte, la torre, il cannone, la frana. E’ successo davvero. Esistono siti Internet che la raccontano e pubblicano immagini d’epoca. E c’è pure una associazione –Amici di Consonno – che lavora per riqualificare la zona.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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Il puntaspilli

La società del rischio… incalcolabile

Draghi e l'errore dell'azzardo economico

Dietro le parole pronunciate da Draghi circa le riaperture (‘un rischio calcolato’) c’è un richiamo al pensiero di Ulrich Beck e alla sua Risikogesellschaft: una società che si assume il rischio positivo di traguardare una sostanziale riforma di se stessa? La domanda non è peregrina, se pensiamo che il rischio di cui ha detto Draghi è relativo alle riaperture, al rialzo delle serrande, al disgelo di una fetta di economia di prossimità. Tuttavia penso che Draghi abbia inteso, piuttosto, giocare sul negativo del rischio: sull’azzardo. L’azzardo è categoria usata da Beck per raccontare la deriva distruttiva che può prendere la società contemporanea. L’azzardo, dunque, il rischio intrapreso dall’Italia con le riaperture. Un azzardo che, per quanto possa essere contenuto in un algoritmo, non può tener conto di tutta quella informalità economica che non si è mai spenta del tutto. Quello che stiamo pagando, tutti, è il rafforzamento dell’economia sotterranea, criminale, che ha inquinato per decenni l’economia reale, che si è nutrita di relazioni sociali sporche e di stratificazioni di potere inadeguate a quello che sta accadendo. Se l’Italia è il Paese Ue che prede più posti di lavoro e più Pil, se è quello che matura più debito, è proprio perché si è giocato d’azzardo per lungo tempo e si è accettata questa economia come parte di tutto il nostro universo economico. Si è pensato di poter convivere con queste economie illecite, grigie, nere, oscure. Quanta economia sporca sta dentro il sistema, per esempio, della ristorazione? Tantissima. Quanto riciclaggio? Quanto lavaggio? Allora, pensare di riaprire senza tener conto di questa dimensione, è un azzardo, non un rischio. Un azzardo che favorisce la vittoria dell’economia dei furbi sul rischio legittimo d’impresa che molti vogliono assumersi, purché messi, finalmente, nella possibilità di poter imprendere e competere secondo regole vere e rispettate. Adesso è il momento di fare pulizia tra le imprese, non domani. Adesso è il momento di verificare se chi riapre o chi accede ai ristori è un imprenditore vero o un criminale mascherato.

  • Leonardo Palmisano

    Bari 1974, autore e presidente della cooperativa di LegaCoop Radici Future Produzioni. Colomba d'oro per la Pace e premio Livatino contro le mafie. Per Fandango Libri ha pubblicato la trilogia dello sfruttamento (Ghetto Italia, Mafia caporale e Ascia nera), e ha iniziato la serie di gialli dedicata al bandito Mazzacani (Tutto torna, Nessuno uccide la morte, Chi troppo vuole). Dirige il festival antimafia LegalItria. Editorialista per il Corriere del Mezzogiorno e altre testate.

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Urlando furiosa

“Carpi Diem!”

 

Oggi, sabato 17 aprile, in alcune città Italiane si è espressa solidarietà al coro antifascista I Violenti Piovaschi di Carpi.

Al Piccolo Teatro Aperto lo hanno fatto i Saltimbanchi che, accompagnati dalle immancabili note della Banda degli Ottoni, hanno regalato un’atmosfera dimenticata, un’isola piena di colori sgargianti, una visione d’incanto, uno spazio spontaneo e vitale, dove destrezze, prodigi e goffaggine fondevano insieme tutto il loro fascino per offrire agli spettatori un respiro altro da quello che abita questa città privata del teatro.

Sono corpi in movimento, ma la loro leggerezza è fuori dal comune, la loro libertà diventa una prodezza di cui la grigia umanità è incapace.

I giullari, si sa, hanno un’eccentrica superiorità rispetto al potere, ne deridono le aberrazioni, mettono a nudo i soprusi e non tacciono le ingiustizie.

Così oggi è stato. 

Le capriole si fermano, gli acrobati smettono di volteggiare e i fiati intonano Bella Ciao.

A Carpi ventisei persone sono in attesa della sentenza di un processo per aver espresso il loro dissenso alla manifestazione di Forza Nuova avvenuta nel 2017.

Rischiano di ricevere una condanna dal Tribunale di Modena per aver cantato “Bella Ciao” in una riunione pubblica non autorizzata.

Un processo ingiusto che fa emergere le gravi contraddizioni del nostro Paese che pur avendo una Costituzione nata sui valori e sugli ideali della Resistenza continua ad avvalersi del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza emanato durante il regime fascista e in contraddizione con la libertà di riunione e di espressione sancite dalla Costituzione Italiana.

Davanti al Piccolo Teatro Aperto viene letta una testimonianza che racconta l’accanimento degli interrogatori e l’assurdità delle domande: “lei ha cantato? Ha sentito cantare? E che canzoni erano? Claudio Baglioni o piuttosto canti politici?” 

L’incredulità che suscita ascoltare una simile domanda lascia senza parole. 

Sarà una risata che vi seppellirà!

  • Rita Pelusio

    Attrice e regista, nei suoi lavori con la drammaturgia di Domenico Ferrari utilizzano il linguaggio dell’arte comica per affrontare tematiche sociali e civili. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche. E’ amica di Radiopopolare con la quale si sveglia ogni mattina.

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Palazzeide

Salvini e il gioco della Liberazione

Matteo Salvini, si sa, non ha mai avuto un buon rapporto con il 25 aprile.
Il capo della Lega si ostina a chiamare il giorno della Liberazione dal nazifascismo il “giorno della Libertà”, termine neutrale, antistorico, non ha connotazioni politiche e va bene su tutto.
Infatti il 25 aprile si fa sempre trovare un po’ lontano da Milano, ad esempio qualche anno fa era a Corleone, a dire che quel giorno preferiva festeggiare la liberazione dalla mafia.
Eppure ieri in tutti i messaggi social, nei quali si capiva che non vedeva l’ora di intestarsi la vittoria delle riaperture, poi qualcuno deve avergli detto di non strafare, infatti poi ha aggiunto “non è una vittoria mia ma del buon senso”, ecco in quei messaggi social ha abbondato nelle espressioni “un aprile di liberazione”.
Sapendo bene che il 26 viene dopo il 25, Salvini gioca con la liberazione, che per lui è quella dei commercianti, ristoratori, e tutti i suoi possibili futuri elettori a cominciare già dalle elezioni di ottobre.
La liberazione, quella che poi ha portato alla democrazia per lui è in secondo piano, l’ha sempre sfuggita, non è mai stata fondamentale, anche perché ha sempre un po’ strizzato l’occhio a chi va a Predappio in corteo a rendere omaggio al ventennio fascista.
Se il 26 aprile viene dopo un giorno a me molto caro, l’anno scorso le riaperture di negozi, bar e ristoranti sono arrivate il giorno del mio compleanno, il 18 maggio. A parte questa coincidenza, ciò che mi colpisce è la similitudine di parole, dichiarazioni, rassicurazioni, raccomandazioni, promesse di un’uscita a breve dalla pandemia e del ritorno alla vita normale.
Sono andata a rivedermi le dichiarazioni di allora, le parole sono spesso uguali.
Eppure ad ottobre siamo finiti di nuovo nel tunnel.
E allora penso che il rischio ragionato, che segna la svolta di questo 26 aprile, debba accompagnarsi anche ad un altro sostantivo, “corsa”, la corsa, ma fortissima, della campagna vaccinale, che deve andare più forte delle riaperture, deve staccare in velocità ristoratori, commercianti, tutti noi che comprensibilmente vorremmo tornare al cinema o in piscina, e correre veloce verso la meta, perché è l’unica cosa che segna la differenza tra oggi e ieri.
L’anno scorso i vaccini non c’erano, quest’anno sì. E per avere la certezza che ad ottobre non ci ritroveremo di nuovo a casa, i vaccini devono arrivare in estate a mettere al sicuro i più deboli, e poi tutti noi.
Il rischio ragionato è anche il rischio che deve essere sempre minore, sempre meno presente di finire contagiati e in ospedale.

  • Anna Bredice

    A Roma con il cuore, una figlia e la testa, a due passi dai tetti belli di Garbatella e dal Gazometro di Ostiense, atmosfere tra Ozpetek e il caffè sospeso di Casetta Rossa. A Milano con gli affetti, la famiglia e la radio della vita. Seguo la politica per Radio Popolare da tanti anni, con impegno, partecipazione, a volte rabbia e passione.

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    Intervista di Chawki Senouci a Paolo Maggioni autore del libro “Una Domenica Senza Fine” (SEM Libri). Domenica 29 aprile 1945 si compie la Storia in piazzale Loreto dove sono esposti i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e di alcuni gerarchi. Nella stessa giornata un gruppo di anarchici guidati dal comandante “Carnera”, un repubblicano anarchico antifranchista, attraversa Milano in direzione opposta per cominciare un’altra rivoluzione. Nell’intervista a Paolo Maggioni si è parlato della missione segreta del Comandante anarchico Carnera (nella vita reale si chiama Laureano Cerrada Santos) e dei luoghi e personaggi che hanno segnato quella lunga giornata: le donne e gli uomini che hanno sconfitto il fascismo, Il Duomo di Milano, Palazzo Marino, Il quartiere Affori, Marta Ripoldi, tranviera e staffetta partigiana, il radiofonico Daniele Colpani diventato la voce del fascismo, Piazzale Loreto.

    Gli speciali - 21-04-2025

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    In onda dal 2001, Prospettive Musicali esplora espressioni musicali poco rappresentate. Non è un programma di genere, non è un programma di novità discografiche, non è un programma di classici dell’underground, non è un programma di gruppi emergenti. Ma è un po’ tutte queste cose mischiate insieme dal gusto personale dei conduttori. Ad alternarsi in onda e alla scelta delle musiche sono Gigi Longo e Fabio Barbieri, con un’incursione annuale di Alessandro Achilli che è stato uno storico conduttore del programma.

    Prospettive Musicali - 20-04-2025

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    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Poesie, liriche, sonetti, slam poetry, rime baciate, versi ermetici, poesie cantate. Ogni settimana Percorsi PerVersi incontra a Radio Popolare i poeti e li fa parlare di poesia. Percorriamo tutte le strade della parola poetica, da quella dei poeti laureati a quella dei poeti di strada e a quella – inedita – dei nostri ascoltatori.

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    Musica che si piglia perché non si somiglia. Ogni settimana un dj set tematico di musica e parole scelte da Piergiorgio Pardo in collaborazione con le ascoltatrici e gli ascoltatori di Radio Popolare. Mail: mischionepopolare@gmail.com

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    A cura di Elena Mordiglia. Nella città frenetica, in quello che non sempre sembra un paese delle meraviglie, ci sono persone da raccontare e da ascoltare. Quale lavoro fanno? Come arrivano alla fine del mese? Quale rapporto hanno con la città in cui vivono? Registratore alla mano e scarpe buone, queste storie ve le racconteremo.

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    Bollicine - 20-04-2025

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    Ricordi d'archivio di domenica 20/04/2025

    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - secondo episodio

    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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