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Appunti sulla mondialità

Calcio globale, la Superlega dovrà aspettare ancora

Gli Stati Uniti hanno aperto la strada con la pallacanestro e il football americano. Ma anche da noi esistono già tornei ai quali si partecipa soltanto in base all’appartenenza, senza qualificazioni né retrocessioni, e uno di essi riguarda addirittura le nazionali: il Sei Nazioni di rugby. Ed è proprio l’esempio del rugby quello più calzante, perché oltre al Sei Nazioni europeo e al “simmetrico” Quattro Nazioni dell’emisfero Sud, gli appassionati non seguono quasi nessun altro torneo, almeno fuori dai Paesi dove il rugby è nato. Uno sport minoritario come il rugby, grazie a questi tornei e a un gioco che è stato reso più scorrevole da nuove regole e più spettacolare, anche per merito dei neozelandesi, è diventato mediamente globale. Lo stesso vale per la pallacanestro statunitense, che ha conquistato un mercato mondiale. Invece, lo stesso approccio non ha funzionato per il baseball o per il cricket. Questo perché non basta costruire un prodotto vendibile fuori dal contesto dov’è già conosciuto, bisogna poi che quel prodotto trovi davvero il favore del mercato globale.

Da questo punto di vista la Superlega europea durata, almeno per ora, soltanto 48 ore avrebbe tutte le carte in regola per far diventare il calcio lo sport simbolo dell’umanità. Il calcio unisce storia, passione, genialità e simbologia sociale come poche altre realtà. Gli eroi del calcio, i Pelé, i Maradona, incantano per il gioco e raccontano una fiaba sociale di ascesa e ricchezza che fa sognare ovunque. Nel calcio si può identificare chiunque, indipendentemente da colore della pelle, lingua o appartenenza sociale.  È uno sport multietnico e multiculturale. Nel mondo esistono sport “da ricchi”, con una declinazione che va dal polo al tennis, mentre il calcio è lo sport “di tutti” per eccellenza. Perciò è già diventato sport globale da tempo, con la vendita dei diritti delle partite dei campionati nazionali più importanti alle televisioni di tutto il mondo. Con l’operazione Superlega si voleva infiocchettare il prodotto. Eliminando le fastidiose partite con le squadre minori, offrendo partite che sono sempre un derby, una classica, e con i più famosi calciatori in campo. Non è il calcio per chi lo ha praticato da bambino in un campetto e nemmeno per chi va allo stadio. È il calcio per chi sta dall’altra parte del mondo e vuole consumare un prodotto esotico e di qualità che, per motivi che a lui rimangono ignoti, è così amato nei Paesi più ricchi dell’Europa da esserne diventato un simbolo. Milan come Armani, Real Madrid come Zara.

Il calcio brand e spettacolo globale vale miliardi: ma per questo potrebbe ammazzare il calcio minore? A vedere cos’è successo negli altri sport, si direbbe di no. L’entrata dell’Italia nel Sei Nazioni di rugby nel 2000 ha portato alla moltiplicazione del numero dei giovani che hanno scelto questo sport, e lo stesso potrebbe succedere altrove con il calcio: si moltiplicherebbero le scuole e le squadre in Paesi che non hanno una grande tradizione calcistica. In poche parole, ci sarebbe un calcio recitato dai più forti economicamente, che farebbero parte del club esclusivo della Superlega, e un calcio popolare finalmente liberato dalla zavorra di dovere partecipare a tornei nei quali da tempo non c’è storia. Perché le squadre che avrebbero voluto giocare nella Superlega erano già ultra ricche e quindi ingaggiavano tutti i migliori calciatori e allenatori. Un campionato nazionale senza quelle squadre “condannate” a vincere dal loro stesso budget potrebbe tornare finalmente una competizione dove vince il migliore, a parità di risorse o quasi. Insomma, il calcio non morirebbe a differenza di quanto stanno dicendo in molti, e anzi ci sarebbero buone probabilità che rinasca più forte di prima. Basta prendere atto del fatto che già da tempo le cose stanno andando verso questa conclusione, divenuta ormai inevitabile. Il calcio non è più un patrimonio culturale europeo e latinoamericano ma, a colpi di miliardi, volente o nolente, diventerà patrimonio dell’umanità. Il naufragio della Super Lega è da considerarsi temporaneo: quasi sicuramente ne sentiremo presto parlare ancora.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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La nave di Penelope

Ancora senza una rotta

I ragazzi delle superiori devono tornare tutti in classe. Percentuale di presenza: 100 per cento. Ma no, abbiamo scherzato, facciamo tra il 60 e il 100. Dai, sforzatevi di più, mettiamo la soglia minima al 70. Vabbè ma se non riuscite non importa, diamo una deroga fino al 50 per cento. Insomma, come prima.

La triste parabola del ritorno a scuola per tutti quanti almeno per un mese.

Del resto, non bastava dirlo per renderlo possibile. L’annuncio di un ritorno al 100 per cento, senza direttive precise, aveva già creato scompiglio. In primo luogo perché non tutte le scuole hanno gli spazi adeguati per poter rispettare le distanze di sicurezza e tutte le norme pandemiche e, allo stesso tempo, far tornare tutti gli studenti al proprio banco. Qualcuno ha dato loro spazi nuovi? No, ovviamente.

Poi ci sono i trasporti, con capienza al 50 per cento. Il servizio andrebbe rimodulato per aumentare quantomeno le corse negli orari di entrata dei vari gruppi di studenti. Con rinforzi ulteriori in zone specifiche, con un’alta concentrazione di istituti. E, come in parte è stato fatto a Milano, anche le attività della città dovrebbero aprire a orari scaglionati, per non congestionare i mezzi. Come mettere tutto a sistema in così poco tempo e con così tante incertezze?

I presidi, rassegnati, in questi giorni si sono messi a fare calcoli su calcoli per capire come rispettare le percentuali di presenza e mantenere la situazione sotto controllo. Ogni giorno hanno ripreso in mano i numeri e ragionato sulle possibili combinazioni, in base alle sempre nuove percentuali che sembravano emergere dagli incontri tra ministri e presidenti di Regione.

Nel frattempo gli studenti si saranno preparati per il grande ritorno di oggi. Un ritorno che sembrava finalmente sicuro per tutti. E che da sicuro è diventato probabile. E poi un amaro “chissà”.

Oggi qualcuno è tornato e qualcuno no, insomma.

Il livello di confusione, tanto per cambiare, resta alto. La nave continua a navigare a vista.

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Mia cara Olympe

Piccolo pensiero per la sera del 25 aprile

In quel libro bellissimo che è La ragazza del secolo scorso Rossana Rossanda, che fu staffetta partigiana,  ha raccontato: “Prendere e portare stampa clandestina, messaggi, armi, medicine, fasce e cercar soldi non era difficile. Gli appuntamenti erano precisi, nessuno mancava e se mancava si sapeva che cosa fare, chi avvertire e come. Non ci facevamo domande, ci proteggevamo l’un l’altro”.
Sul finire di questo strano 25 aprile, in cui siamo usciti  dalle nostre case, ma  ancora ci è preclusa la  piazza – e quanto è bella la piazza di Milano il 25 aprile –  mi risuona questa ultima frase: non farsi troppe domande, ma proteggersi l’un l’altro. Forse, mi dico, è anche un insegnamento per questa stagione che non chiede il coraggio grande, immediato, giovane che ebbero in tante e in tanti allora e che ancora ci lascia ammirati e grati e con quell’eterna domanda a girarci per la testa: “Ma io avrei capito che era quella  la cosa giusta? E  avrei avuto la forza per farla?”
Anche questo tempo, quello della pandemia domanda coraggio. Forse più dimesso, più piccolo, ma prezioso. Quello appunto, della protezione reciproca, per quel poco,  che  poco non è, che ciascuno di noi può fare per resistere e non da soli. Non è in caso che in tanti abbiano avvertito l’atto di vaccinarsi come un gesto che trascendeva l’ovvio, individuale sollievo. Ne ha benissimo scritto qui Raffaella Romagnolo, scrittrice, vaccinata tra i fragili : “E poi che ne sappiamo di che effetto fa il vaccino a chi ha la sclerosi multipla? A chi assume farmaci antirigetto? Ai diabetici gravi? Ai “fragili” tutti? Ma ciascuno fa la sua parte e noi la nostra e per questo provo una piccola fierezza. Non parlo di Guerra, ha ragione Michela Murgia a respingere le metafore belliche. Anche se poi, quando sei nei pasticci, ti fai andar bene l’immaginario che hai. Non Guerra, allora, ma qui, 12 aprile 2021, primo piano del padiglione 3 dell’ospedale di San Martino, per me è Resistenza”. 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Breaking Dad

Sta’ a guarda’ il capello…

Ok, si sa: i parrucchieri chiusi sono stati una delle grandi tragedie nazionali. Persino il presidente della Repubblica ebbe a farlo notare, ricordate? Ma ora, signore e signori, bambine e bambini, gioite: i parrucchieri sono di nuovo aperti! Gaudio!

FIGLIO 1

“Papà, potremmo andare a tagliare i capelli…”

“Dici davvero? Secondo me stai bene così. Ti fa un po’… Queen anni Settanta”

“Fammi vedere un video!”

“Meglio di no…”

 

FIGLIO  2

“Papà, dobbiamo assolutamente andare a tagliare i capelli!”

“Dici davvero? Secondo me stai bene così, i ricciolini sono belli…”

“Ma no dai, mi fa schifo, sembro un neonato! E comunque Franci non sembra Freddie Mercury…”

“E chi sembra?”

“Chewbecca”.

 

Ok. Mi hanno convinto. Bisogna andare dal parrucchiere. Anche l’ultimo tentativo, dopo questi dialoghi, è fallito. La proposta mi era sembrata ragionevole, anzi persino allettante: un bel taglio estivo (in prospettiva, ragazzi, si guarda avanti) con la macchinetta. Belli corti, ché il papà lo sa fare, come dimostra la sua perfetta acconciatura self made. Niente, bocciata.

E allora cerchiamo un parrucchiere, avete vinto vanesi, mi arrendo alla vostra frivolezza. Solo che c’è un problema: il parrucchiere dove andavamo prima di ‘sto delirio non mi sembra adatto al momento. Faccio una perlustrazione in incognito per verificare. Confermo. Un bugigattolo con quattro poltrone appiccicate.

Mi ricordo, prima di ‘sto delirio, che il simpatico ragazzo che taglia i capelli, era solito passare di tanto in tanto il pettine sui jeans, come per pulirlo, quando cadeva per terra. E che teneva delle mollettine in testa che, alla bisogna, staccava dai propri capelli per utilizzarle sul/la cliente durante la realizzazione dell’acconciatura. Mi ha sempre fatto simpatia. Ma adesso, dopo ‘sto delirio, in effetti, non è forse l’ideale.

E quindi vado su Google e cerco: parrucchiere + Covid. Vien fuori un po’ di tutto, ovviamente, ma anche quello che avevo immaginato: i siti di quei parrucchieri che hanno la parola “Covid” in primo piano. E ovviamente non per un’analisi epidemiologica, ma per reclamizzare le proprie misure antivirus in bella evidenza. Centro! Ne scelgo uno che sembra  – almeno dal sito – più igienizzato della sala operatoria dello Spallanzani.

Si va. I ragazzi sono euforici. Fabri favoleggia di tagli da rapper improponibili, Franci è andato a vedere il video di “We are the Champions” e, tutto sommato, ci ha fatto un pensiero.

Arriviamo, ci misurano la temperatura (“Oh, papà, allora è vero che stanno attenti!”), ci fanno disinfettare le mani, ci portano le giacche a sanificare “con l’ozono” (boh, non chiedetemi di più, annuisco e lascio fare). Tutti indossano la mascherina FFP2. Io mentalmente faccio i conti del sovrapprezzo per tutto questo, ma va bene così.

Dopo una mezz’ora è tutto finito. Ho sentito mio figlio dire: “boh, sì cioè, un po’ più corti…”.  E l’altro mio figlio dire: “allora, li vorrei rasati ai lati e dietro, ma non troppo, il ciuffo invece lungo e, se possibile, lo vorrei schiarire con dei colpi di sole”. Ho visto un giovane parrucchiere tatuato rivolgermi uno sguardo solidale e attendere un mio assenso. “Ok, va bene”. Faccio mentalmente i conti del sovrapprezzo “figlio tamarro”. Aggiungo.

Adesso stiamo camminando verso casa. Fabrizio è al settimo cielo, si specchia nelle vetrine, si passa la mano nel ciuffo sbiondito. “Posso andare da Marco a fare vedere i miei capelli nuovi?”. Ma certo, tesoro. Ah, mi devi 25 euro, ti faccio lo sconto, grazie.

Francesco non si guarda nelle vetrine. Ma, appena arriviamo a casa, prende la chitarra elettrica e butta lì l’assolo di Killer Queen.

Foto | Markusspikse, Pixabay

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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DisOrdine internazionale

Da SuperLega a supersega è un attimo

Quanto pesa una consonante quando non la puoi comprare

E diciamocela tutta: non se ne può più di tutti i fenomeni – ex filosofi, ex marxisti, ex giovani – che ci hanno spiegato che “i fessi siamo noi”, quelli che non hanno capito che lo sport, e il calcio più di ogni altra disciplina sportiva, è ormai da molti anni “una questione di soldi”, che “la SuperLega esiste già” e avanti così, di banalità in banalità.

Abbasso la retorica, dunque, morte alla poesia e lunga vita al cinismo, che poi è la versione stracciona e italica del realismo… Premetto che personalmente ritengo qualunque pallone che non sia ovale e qualunque maglia a righe verticali un esperimento malriuscito e mi irritano le sceneggiate che i protagonisti della pedata mettono in atto a ogni minimo contatto o supposto tale. Ma qui evidentemente non stiamo parlando dei nostri gusti e neppure del fatto che nello sport più diffuso e famoso del pianeta i soldi contano.

La SuperLega – questa che in meno di 48 ore si è dimostrata essere una “supercazzola”, per citare l’Ugo Tognazzi di “Amici miei” – non è questo. L’ideona  di Real Madrid e Juventus(cui si sono accodati gli altri club) non era quella di assicurare una competizione più appassionante e spettacolare. Era semplicemente quella di mettersi al sicuro dai propri rispettivi errori di investimento.  Tipo comprare Ronaldo per vincere la Champions ed essere regolarmente buttati fuori. Si voleva azzerare l’errore di merito finanziario, comprandosi l’azzardo morale, il rischio (mal)calcolato.

Ma come? Ci avete tirato scemi con la meritocrazia in ogni ambito, compresa la vaccinazione anti Covid 19, che devi meritarti in quanto “soggetto produttivo”, e poi volete la garanzia che rientrerete dei vostri investimenti sbagliati? Caro Andrea Agnelli e caro Florentino Pérez, volete il “6 politico”? Proprio voi? E pensare che lo sport è il solo ambito in cui il merito ha (o dovrebbe avere) un valore assoluto. Sei più, forte, giochi meglio e vinci. Ed è giusto così.

Ma se fai investimenti a capocchia, se non sai fare il tuo mestiere di manager, invece trovi ingiusto che la conseguenza sia un bilancio in rosso? La questione è che in termini di etica sportiva, una simile richiesta  sarebbe irricevibile e scandalosa. Ma in termine di “etica” degli affari è già così. Il capitale giustifica se stesso in nome del capitale. Il solito refrain del “too big to fail”.

E’ questo che è già così ed è inaccettabile. Il flop della SuperLega ha semplicemente disvelato persino al popolo dei tifosi come funziona davvero il “capitalismo d’azzardo” di questi anni, in cui a pagare sono sempre gli altri, siamo noi: con la compressione dei diritti, delle aspettative, delle tutele, delle speranze. Ed ecco perché tanti mentori e paladini del capitalismo finanziario sono subito intervenuti a bloccare la cosa. Mica per coprire il rapporto tra calcio e denaro, ma quello ben più complessivo e rilevante tra denaro e denaro.

Chi ha irriso poeti e sognatori è sodale e utile idiota di questa trasformazione, non di quella del gioco del calcio. E se non lo capisce è perché, molto probabilmente, gli conviene così. Ma per lo meno che non ci faccia la lezioncina col dito alzato…

  • Vittorio Emanuele Parsi

    Insegna Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica a Milano, dove dirige l’ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – e all’USI di Lugano. Si occupa da molti anni dello studio delle trasformazioni del sistema globale, al crocevia tra politica ed economia e tra ambito domestico e internazionale. Ultimi volumi: Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo (2021), The Wrecking of the Liberal World Order (2021).

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    Percorsi PerVersi - 20-04-2025

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    Musica che si piglia perché non si somiglia. Ogni settimana un dj set tematico di musica e parole scelte da Piergiorgio Pardo in collaborazione con le ascoltatrici e gli ascoltatori di Radio Popolare. Mail: mischionepopolare@gmail.com

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    Che cos’hanno in comune gli Area e i cartoni giapponesi? Quali sono i vinili più rari al mondo? Giunta alla stagione numero 16, Bollicine ogni settimana racconta la musica attraverso le sue storie e le voci dei suoi protagonisti: in ogni puntata un filo rosso a cui sono legate una decina di canzoni, con un occhio di riguardo per la musica italiana. Come sempre, tutte le playlist si trovano sul celeberrimo Bolliblog.com. A cura di Francesco Tragni e Marco Carini

    Bollicine - 20-04-2025

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    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - secondo episodio

    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Speciale Podcast Ho detto R1PUD1A - primo episodio

    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    La Pillola va giù di domenica 20/04/2025

    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

    La Pillola va giù - 20-04-2025

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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